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Daniele Banfi
pubblicato il 15-01-2015

Dalla dura lezione di Ebola trasfusioni più sicure



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L’epidemia ha costretto gli scienziati a sperimentare cure a base di trasfusioni di sangue. Così facendo si è sviluppata una tecnica che renderà questa procedura ancor più sicura

Dalla dura lezione di Ebola trasfusioni più sicure

La rivista Science l’ha inserita tra le peggiori notizie del 2014. Il mondo della scienza ha sottovalutato e mal gestito l’epidemia di ebola. Una sconfitta dalla quale abbiamo imparato molto. Perché il virus ebola, se vogliamo trovare un lato positivo nel dramma che migliaia di persone stanno ancora vivendo, ha stimolato come non mai la ricerca nel campo delle tecniche di trasfusione. Stimolo che ha portato allo sviluppo di un metodo che in futuro renderà questa procedura ancor più sicura.

 

CURARE CON IL PLASMA

Alcuni mesi fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità fu categorica: «Il trattamento di pazienti con trasfusioni sanguigne dai sopravvissuti alla malattia dovrebbe avere priorità immediata tra tutte le terapie sperimentali in considerazione per l’epidemia». Un approccio che sembrerebbe funzionare, così è infatti stato per il medico italiano di Emergency, dichiarato clinicamente guarito in seguito a trasfusione di sacche di sangue provenienti dalla Germania. Il principio ricorda molto da vicino quello dei vaccini: nel sangue dei sopravvissuti dovrebbero essere contenuti quegli anticorpi in grado di debellare il virus. Ecco perché ricevere sangue - in particolare il plasma - da un ex-malato potrebbe rappresentare una possibile cura per l’emergenza ebola.

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VIRUS E BATTERI ANNIENTATI

Ma trasfondere plasma di una persona guarita è tutt’altro che un’impresa facile. I rischi sono elevati e la necessità di un sangue ancor più controllato diventa la priorità. Ecco perché in quest’ottica è stata sviluppata una tecnica, recentemente approvata dalla Food and Drug Administration (Fda), in grado di eliminare con successo virus e microrganismi presenti all’interno delle sacche. La tecnica consiste nell’aggiungere al plasma una sostanza che, se sottoposta a luce ultravioletta, è in grado di legarsi in maniera irreversibile a Dna e Rna presenti nel sangue. Un legame capace di impedire l’eventuale replicazione dei virus e batteri presenti nel fluido.

 

TRASFUSIONI PIU’ SICURE

Secondo quanto dichiarato dalla Fda, la tecnica funzionerebbe in maniera ottimale nei casi di Hiv, epatite B e C e virus del Nilo occidentale. Al momento sembrerebbero positivi anche i casi di virus ebola. Pur essendo ancora una tecnica sperimentale, secondo Michael Busch - direttore dell’ente no-profit Blood Systems Research Institute e professore alla University of California di San Francisco - «con questo approccio potremo garantire un sangue per le trasfusioni ancor più sicuro».

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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