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E vissero così, ubriachi e contenti

Serve l'applicazione delle norme esistenti per evitare il ripetersi dei fatti di Roma. Alla base l'abuso di alcol: i suoi effetti sono noti, ma ancora troppo sottovalutati

E vissero così, ubriachi e contenti

L’alcol è tra le prime cause di danno sociale in Italia, in Europa e nel mondo. Da anni, dalla sua pubblicazione su The Lancet, l’evidenza fornita da David Nutt nel confrontare l’impatto sociale delle droghe illegali, legali e legalizzate è nota e citata in tutte le relazioni che fanno riferimento alle cause evitabili di tutte le conseguenze negative che possono danneggiare la vita sociale di un individuo e la collettività. Uno dei dati più importanti è che l’alcol è la sostanza più dannosa socialmente rispetto a tutte le droghe illegali esaminate e, evidenza non marginale, risulta più dannosa nei confronti di terzi che verso lo stesso individuo.

Un po’ di anni fa ci avevano avvisato che in Europa, la regione geografica in cui il consumo di alcol è doppio rispetto al mondo, i costi che l’alcol genera ammontano a circa 156 miliardi di euro l’anno: l’1,3 % del prodotto interno lordo dell’intera Unione Europea. Certo, costi legati per il 42% alla mortalità causata dal consumo (non abuso si badi bene) di alcol, per il 6,3% al trattamento delle condizioni patologiche alcol-correlate, per il 21,4% ai costi sanitari. Ma per il restante 31% circa correlati ai costi conseguenti ai danni causati alle cose e alle persone in conseguenza di atti di violenza, di criminalità, di aggressione, di incidentalità causati dal bere. Per entrambi i contesti è sicuramente da ravvisare l’irresponsabilità di chi fa uso di alcol sino a determinare i citati danni sanitari e sociali a se stesso e agli altri; pur tuttavia, nota non marginale, per la stragrande maggioranza dei fenomeni a cui queste “categorie” fanno riferimento, elemento fondamentale di mancato contrasto all’espressione della violenza individuale e collettiva è il mancato rispetto del senso di legalità a cui si ispira il vivere civile e della costante effrazione delle norme sottese alla legalità. Pur non essendo possibile generalizzare o criminalizzare categorie professionali ci si può fermare a riflettere su alcuni fattori che caratterizzano la vita sociale così come “scorre” nel quotidiano di ognuno.

Il confronto con il passato è d’obbligo. Uno dei fattori determinanti sulla possibilità che un fattore di rischio possa trovare o meno espressione nella società è la capacità di controllo formale e informale esercitato dalla collettività. Chi ha qualche anno in più sa e ricorda che ai minori non era proprio pensabile che un adulto, in un esercizio pubblico, potesse servire o somministrare bevande alcoliche: il Codice Rocco ne vietava la facoltà e il Codice Penale, attraverso un articolo dedicato (oggi ampiamente disapplicato come tutte le norme sull’alcol in Italia), ne sanzionava e ne sanziona pesantemente l’infrazione. All’epoca non c’erano gli interessi economici miliardari capaci di influenzare le norme, non c’era la logica delle convenienze che abilitasse happy hour e open bar, fonte sicura di intossicazione, non c’erano  quelli che gridavano al proibizionismo e che consideravano in una giusta ottica la vulnerabilità dei minori. Oltre al controllo formale, era attivo e valido quello informale per cui se un minore veniva colto “in giro” a bere, veniva redarguito da chiunque e non era raro accadesse che il “delatore” di turno mettesse a conoscenza il genitore dell’accaduto con conseguenze che probabilmente oggi sarebbero oggetto di esecrato sdegno da parte di molte scuole di pensiero sociologiche e psicologiche e probabilmente anche di denuncia. Verrebbe da commentare che anche quella dei genitori che reagivano alle segnalazioni di atti contrari alla pubblica virtù da parte del minore possano ascriversi alla categoria di violenza correlata al consumo di alcol anche se “di ritorno” in quanto agita da soggetti sobri (si spera). Ma il fatto che l’alcol sia il fattore di rischio di gran lunga più dannoso e impattante per la società, risiede nella lunga disamina che si può reperire dalla letteratura internazionale e dai fatti di vita quotidiana e di cronaca attraverso cui tutti possono rendersi conto che l’alcol è alla base e causa prevalente di episodi  che hanno a che fare con la famiglia e con il lavoro.

Gli indefinibili episodi di vandalismo che si succedono e che possono caratterizzare manifestazioni collettive non nascono dal nulla. Tutt'altro: seguono ritualità e dinamiche note e contrastabili, ma non adeguatamente considerate. La disponibilità fisica ed economica dell’alcol nei luoghi di vita è uno dei fattori che tutte le strategie europee e mondiali di contrasto al rischio causato dall’alcol indicano come fattore chiave per abbattere l’impatto evitabile dell’alcol sulla società, vorrei dire sulle nostre vite. Ricordo, non molti anni fa, una finale di Champions League a Roma tra Manchester United e Barcellona. Avevo organizzato causalmente il meeting finale di un progetto europeo su alcol e invecchiamento proprio nel giorno della finale e nel meeting c’erano amici di Barcellona e Manchester che commentavano stupiti che in nessuna parte di Roma fosse stato possibile acquistare o consumare bevande alcoliche per ordinanza comunale e prefettizia. Persino al ristorante - prima, durante e dopo la partita - non era stato consentito alcuna “debolezza” alcolica, per tutelare la collettività.

Se un evento di violenza collettiva alcol-correlata si manifesta, è perché il sistema ha messo nelle disponibilità di chiunque la sostanza psicoattiva più usata al mondo: l’alcol. Non ha funzionato il sistema e i divieti non sono stati rispettati. Se si è assistito, increduli, alla devastazione di una città come Roma, ipoteticamente più protetta in questi giorni rispetto ai regimi ordinari per l’allerta terroristico, è perché si è verificata la perfetta alchimia tra chi ha ricercato la violazione della norma e chi la norma l’ha violata consapevolmente (vendendo o somministrando alcolici a chi non aveva il diritto né di chiederlo né di consumarlo). Qui non si tratta di minori. Si tratta di adulti, perseguibili penalmente, per i quali è mancato il controllo formale (escluso il tentativo di ridimensionare il danno). Adulti che hanno giudicato legittimo non rispettare la legalità imposta dalle circostanze, forse anche un po’ consapevoli che in Italia puoi fare quello che vuoi e non ti succede niente.

Per chi delinque o si rende responsabile di atti criminosi, c’è dunque anche chi abilita e favorisce (per profitto) tale tendenza pur sapendo che non dovrebbe, ma anche chi non pone in atto i meccanismi di controllo stabiliti dalla legge. Questo pone in tutta la sua evidenza la necessità e l’urgenza di garantire la rigorosa applicazione delle numerose e ottime norme esistenti, attraverso tutti i meccanismi sanzionatori e di controllo che possano impedire che il dilagare del senso di impunità generi i mostri che oggi tutti sono posti in condizione di valutare (e subire) oggettivamente. Il controllo formale della società richiede fiducia nelle istituzioni e in quanti le amministrano a livello locale e applicazioni immediate, non ritardate, dell’uso delle norme che devono agire da deterrente e scoraggiare comportamenti analoghi in analoghe occasioni. Spetta, inoltre, alle categorie che sono responsabili di garantire il rispetto delle norme formare il personale alla legalità e applicare codici deontologici interni che possano garantire i cittadini nel loro diritto di non essere danneggiati o costretti a subire atti di violenza per definizione evitabili.

Le città, le notti, le vite sono di tutti non solo di chi ha convenienza a riempirle di alcol.  Da medico, oltre che da cittadino, mi sovvengono poi molte considerazioni ma una su tutte prevale: non è accettabile che intossicati da alcol possano essere ammessi a partecipare a eventi collettivi, che continuino a intossicarsi e che vengano fatti ritornare insalutati ospiti alle loro case. Gli ubriachi non si mandano in autobus al campo di calcio, ma a disintossicarsi in una struttura di pronto soccorso: parliamone.

Emanuele Scafato
@scafatos



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