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Come fermare l’invecchiamento

Cos’è l’invecchiamento? Perché invecchiamo? Sembrano domande ovvie, con facili risposte, ma le cose non stanno così

Come fermare l’invecchiamento

Cos’è l’invecchiamento? Perché invecchiamo? Sembrano domande ovvie, con facili risposte, ma le cose non stanno così. Esistono decine di teorie diverse, forse centinaia, per spiegare come mai un organismo “nuovo” si degrada piano piano, dai trent’anni in poi, fino ad arrivare a quella situazione che chiamiamo, appunto, invecchiamento. E non tutte concordano fra loro. Un opuscolo scritto per gli studenti delle scuole toscane dal professor Ettore Bergamini, ex-direttore del Centro di ricerca interdipartimentale sull'invecchiamento dell’Università di Pisa, dà comunque una risposta molto sintetica, drastica, ma efficace: invecchiamo perché respiriamo l’ossigeno. Esiste un vero e proprio paradosso, scrive Bergamini: se l’ossigeno ci manca, moriamo subito; se abbiamo ossigeno, si muore dopo essere invecchiati...

Il problema nasce dal fatto che l’ossigeno (necessario per estrarre energia dal cibo) è estremamente reattivo e produce sostanze pericolose, i “famosi” radicali liberi (o, per usare il termine inglese, reactive oxygen species, in sigla Ros). Il nostro organismo, naturalmente, possiede strumenti potentissimi e molto sofisticati per annientare questi radicali (che sono frammenti di molecole, privi di un elettrone, e capaci di fare qualunque cosa pur di rubarlo ad altre molecole, compreso il Dna, danneggiandole). Anzi, gli esseri umani hanno forse i meccanismi di riparazione più efficaci nel mondo animale, e infatti riescono a vivere anche 120 anni. Ma qualche radicale sfugge comunque al controllo e, nel tempo, la somma di tutti i danni al Dna (il nostro codice genetico), si fa sentire. In pratica, invecchiamo. O, se i danni dei radicali liberi e di altre sostanze pericolose colpiscono i cosiddetti oncogèni, che sono destinati a gestire la duplicazione delle cellule, si può sviluppare un tumore.

Secondo alcune stime, ogni giorno i radicali liberi sono in grado di generare fino a 10.000 danni (mutazioni) nel Dna di ogni singola cellula, e di questi ben 9.999 vengono riparati. Dunque, solo uno sfugge, in media. Ma se una persona vive 100 anni, possono allora accumularsi 36.500 mutazioni  (una al giorno, 365 all’anno, 36.500 in un secolo) nelle cellule che non si duplicano quasi mai, come quelle nervose, e vivono altrettanto. Non c’è quindi da sorprendersi se dopo i 50 o  60 anni certe cellule nervose non riescono più a funzionare bene, e muoiono (anche se le capacità mentali in molti casi non ne risentono, per la “ridondanza” del cervello), o vanno incontro a degenerazione.

Pur esistendo il problema dei radicali liberi, e pur essendo rimasto uguale (più o meno) il Dna umano negli ultimi 250.000 anni, l’aspettativa di vita degli uomini si è però innalzata in modo clamoroso. Agli inizi del Novecento era di appena quarant’anni in Europa, adesso di oltre ottanta. Ai primi del secolo scorso solo il 20% della popolazione raggiungeva i 65 anni, adesso il 70%. Cos’è successo? Sono intevenuti i vaccini e gli antibiotici, che hanno salvato letteralmente la vita a miliardi di persone, consentendo anche di invecchiare più a lungo... Ed è aumentata la qualità della chirurgia, della prevenzione, degli strumenti diagnostici. Ma certamente la scoperta dei meccanismi con cui l’ossigeno ci danneggia ha fatto la sua parte, aiutando le persone a scegliere stili di vita e tipi di alimentazione che riducono la produzione dei radicali liberi. Mangiare molta frutta e verdura, che contengono efficacissime sostanze antiossidanti (capaci di bloccare i Ros); perferire i grassi insaturi, come l’olio extra vergine di oliva, evitando quelli saturi di origine animale; sottoporsi a un moderato esercizio fisico quotidiano; evitare le sigarette, che portano a una grandissima produzione di radicali liberi; cercare di non vivere in zone urbane troppo ricche di polveri sottili; ridurre al minimo il consumo di alcol.

Sono consigli ormai entrati nella consuetudine dei medici, ma che creano una reale differenza: si è calcolato che queste scelte di vita possono frenare i danni dell’invecchiamento, e le malattie collegate, fino al 70%. Certo, molto dipende anche dalla forza dei meccanismi di riparazione cellulare che ognuno di noi possiede, fin dalla nascita, e che riceviamo direttamente dai nostri genitori. Se però certe persone hanno un orologio biologico che corre meno di altri, e un aspetto fisico molto più giovane rispetto a quello dei coetanei, il merito è moltissimo anche della “volontà”.

Ma torniamo per un attimo alla domanda iniziale: che cos’è l’invecchiamento? L’opuscolo del professor Bergamini ci dà l’ennesima risposta inattesa, e inquietante: come pensavano i filosofi antichi, l’invecchiamento è una sorta di patologia innata cronico-degenerativa, con un periodo di incubazione così lungo da essere compatibile con il successo riproduttivo della specie umana. In altre parole: l’Evoluzione si è preoccupata di fare in modo che gli esseri umani (come tutti gli altri esseri viventi) riuscissero ad arrivare integri all’età della riproduzione, e ha “lavorato” perché gli inevitabili danni legati all’ossigeno non si facessero sentire fino ai 20-30 anni. Poi, però, si è disinteressata di quello che succedeva dopo, e - per certi aspetti - ci ha lasciati soli. E’ questa la nostra “malattia”, che ognuno deve saper gestire, e che non ci impedisce, comunque, di vivere momenti molto felici.

Paolo Rossi Castelli



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