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L’utopia della democrazia diretta

Gianroberto Casaleggio è stato un ambasciatore del mondo futuro. Adesso però la sfida da lui lanciata è nelle mani dei «millennials»

L’utopia della democrazia diretta

Gianroberto Casaleggio: un marziano tra noi, un ambasciatore del mondo futuro. Solo così si spiega che abbia potuto cogliere nelle potenzialità di Internet la possibilità di attuare la democrazia diretta di cui parla Jean-Jacques Rousseau nel «Contratto sociale». E penso che non a caso il cofondatore del Movimento 5 Stelle abbia chiamato «Rousseau» il sistema informatico che ha lasciato in eredità. Una piattaforma che amplia in modo decisivo la previsione tecnologica che entro breve tempo sarà la normalità votare online. 

Alzi la mano quel cittadino che non si è mai sentito frustrato nel pensare che può influire sulla politica del proprio Paese soltanto nel giorno delle elezioni o dei referendum: un voto che tutto sommato viene dato a scatola chiusa, affidato a un governo democratico «rappresentativo» che poi, nella gestione della cosa pubblica, può finire per discostarsi anche di molto dalle intenzioni e dai desideri della maggioranza che l’ha votato.  Ma che farci? Come uscire dalla frustrazione? Scriveva nel 1762 Rousseau: «Non si può immaginare che il popolo resti riunito senza posa per occuparsi dei pubblici affari. E si comprende, d’altra parte, come non potrebbe stabilire per tale attività delle commissioni, senza che la forma di amministrazione cambi».

Ora, utopia o no, colui che è stato chiamato il guru del M5s ha lasciato in eredità una risposta al problema posto dal filosofo ginevrino. L’impetuosa avanzata della tecnologia informatica potrebbe in pochi anni sostituire alla democrazia «rappresentativa» la democrazia «partecipativa». Per ora la piattaforma operativa «Rousseau» si limita a indicare una strada per gli addetti ai lavori. Gli iscritti del Movimento 5 Stelle potranno,  grazie  a questo programma informatico, partecipare alla scrittura delle leggi nazionali proposte dai parlamentari, alla scrittura delle leggi regionali proposte dai consiglieri regionali,  e alla scrittura delle leggi europee. Si è sempre fatto dello spirito sui Cantoni svizzeri che chiamano i cittadini a votare in ogni fine settimana, ma la prospettiva di partecipare direttamente alla vita politica certamente non sembrerà aliena ai millennials, la nuova generazione nata tra il 1982 e il  2001.

Sarà una moderna versione dell’agorà degli Ateniesi, risuscitando interesse e passione per la cosa pubblica, o fornirà l’ennesima occasione di dondolarsi tra anarchia e qualunquismo? Molto dipenderà (o dipenderebbe:  il condizionale è d’obbligo)  non solo dalla serietà dei cittadini cui viene messo a disposizione un nuovo strumento di democrazia, ma anche dallo spirito con cui la classe politica accetterebbe la novità. Proprio Casaleggio, nell’esaminare i limiti delle democrazie, aveva   rilevato quanto sia difficile concepire una comunità leaderless, cioè senza capi. Bisognerebbe anche, per un fattivo e pacifico sviluppo di una democrazia «di comunità», togliere gli ostacoli che lo Stato, recidivo all’infinito nel complicare le cose, mette tra i cittadini e la «usabilità» della macchina statale. Diceva Casaleggio: «Usabilità è la capacità di rendere intuitivo e immediato un processo online, semplificare un meccanismo complesso. Se in rete un’applicazione non è usabile, è come se non funzionasse. Lo Stato italiano, per esempio, non è quasi mai usabile. E quindi tu, online, non puoi usare i ministeri, non puoi usare i comuni, non puoi usare i servizi pubblici. Non li usi perché non li capisci e li consideri macchine complesse. E ne stai lontano. Pensi pure che la colpa sia tua! Non sei abbastanza intelligente». 

Chi ha conosciuto Casaleggio racconta una persona gentile e disponibile, che però aveva deciso di non voler avere «immagine». Era un italiano serio, alieno da tutte le futilità. Rimarrà nel ricordo una sua puntualizzazione: «Il talk-show è una cosa, l’informazione è un’altra. Se vengono a intervistarti sulla tua attività di sindaco a Parma è giusto che tu faccia l’intervista. Anzi, è positivo. Diverso è un talk-show dove si discute del nulla, si parla di temi astratti, di ideologie, si aizza una lotta tra galli per il dio share».

Umberto Veronesi



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