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Oncologia
Serena Zoli
pubblicato il 18-05-2017

«Survivors»: chi è guarito da un tumore non sia lasciato solo



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Si chiamano survivors, sopravviventi, e per fortuna sono sempre di più. Sono guariti da un tumore ma conservano strascichi della malattia e delle cure, ferite psicologiche, problemi di inserimento sociale

«Survivors»: chi è guarito da un tumore non sia lasciato solo

Si chiamano survivors, sopravviventi (se da molto tempo: lungosopravviventi) le persone che si sono lasciate alle spalle un tumore. La definizione è: chi ha avuto una diagnosi di cancro ed è ancora in vita dopo la cura primaria e non ha più in sé la malattia. La bella notizia è il loro fortissimo aumento rispetto agli ultimi decenni, ma anche le belle notizie possono sottolineare un problema: occorre creare un’attenzione specifica e una “cura” specifica per seguire i sempre più numerosi sopravviventi affinché la vita che hanno recuperata sia una buona vita. Serve una nuova specializzazione?

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LAVORARE INSIEME PER NON LASCIARE SOLI I SOPRAVVIVENTI

No, le quattro scienziate riunite a discutere del tema all’International Forum on Cancer Patients Empowerment il 16 maggio (Università Statale di Milano con la collaborazione della Fondazione Veronesi), hanno piuttosto parlato di multiprofessionalità: una unità con medici di varie specializzazioni, psicologi, infermieri, operatori sociali, anche volontari.

Come testo ispiratore anche per questo nuovo approccio al problema cancro viene citata la guida europea presentata lo scorso febbraio a Malta: European Guide on Quality Improvement in Comprehensive Cancer Control. L’Europa, che spesso sembra sul punto di sfasciarsi, ha prodotto questo importante testo con il lavoro congiunto di esperti di 25 Paesi. Il tutto stimolato dalla joint action CanCon (da: controllo del cancro) lanciata dalla Commissione Europea nel 2014.

IL “DOPO” DIFFICILE: SALUTE, LAVORO, VITA SOCIALE

Tutte queste informazioni vengono presentate da Claudia Ferrari, medico dell’Istituto nazionale del cancro francese, che insiste sulla creazione di un piano attorno ai sopravviventi pensato su misura («Uno dei problemi sociali può essere come ritrovare il lavoro»), sia per gli adulti sia per i bambini e gli adolescenti. La belga Francoise Meunier, dell’Organizzazione europea sul cancro, ricorda che quando si laureò in medicina nel ’74 cancro voleva dire morte. Oggi può citare straordinari esempi di aumentata sopravvivenza:

  • il tumore al testicolo a zero sopravvivenza nel 1970 oggi è al 95% di salvezza
  • alcune forme di leucemia nei bambini erano al 10% e oggi al 90%
  • il tumore al seno era al 40% e oggi al 90%

Essenziale, ricorda Meunier, è raccogliere dati a lungo termine sull’assistenza alla sopravvivenza. Gli aspetti sono molti: dalla verifica delle tossicità e altri possibili residui della chemioterapia alle assicurazioni di viaggio, per esempio. Spiega: «Se dici che hai avuto la leucemia, difficilmente otterrai un’assicurazione di viaggio. E’ anche la società che deve entrare nel processo di cura di queste persone, aiutarle per la qualità della loro vita». Carla Ripamonti, oncologa e farmacologa dell’Istituto dei Tumori di Milano, a capo di un’unità di supporto con 4 medici di diversa specializzazione, ricorda accanto ai possibili malesseri e cure fisiche (idratazioni, trasfusioni) causati dalle nuove tossicità, altre esigenze vive per diversi sopravviventi: la religiosità e la dignità. «Accade che il 35 per cento abbiano la sensazione di non essere più la stessa persona, un altro 33 per cento è convinto di essere un peso per la famiglia». Insomma, attraversare un cancro non è come attraversare un’altra malattia, pur grave.

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PSICHE E TUMORE: HAI VISTO LA MORTE IN FACCIA

«Il fatto è che ci si confronta con la propria mortalità, la morte è lì, possibile, la tua, non degli altri», interviene la portoghese Luzia Travado, della Società internazionale di Psico-oncologia. Specifica che il cancro non va preso solo come una malattia del corpo, bensì pure come una patologia a livello emotivo (comporta paura, depressione, ansia) che può agire sulla visione di sé e della famiglia. La partecipazione dello psicologo alla cura oncologica non può essere un optional, «non è un lusso», deve esserne parte integrante. Ed ecco un elenco fornito dalla dottoressa Travado dei danni tangibili provocati dalla malattia psicologica non assistita:

  • deterioramento della qualità della vita
  • ridotta compliance nel seguire le terapie
  • minore efficacia della chemioterapia
  • maggiore sensibilità al dolore
  • minore aspettativa di vita
  • ricoveri più lunghi
  • maggior peso per la famiglia
  • aumentato rischio di suicidio

Concludendo sul sostegno ai sopravviventi dopo il termine delle cure, risulta che chi ha più paura ha minori tassi di sopravvivenza, mentre la speranza allunga la vita: e quelli che sperano di più sono in genere i pazienti con più bassi livelli di istruzione.

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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