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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 27-04-2017

Tumore al seno: l'analisi del genoma può far evitare la chemioterapia



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Il test (70 Gene-Signature) è in grado di individuare la presenza di settanta geni responsabili delle metastasi del tumore al seno. L’obiettivo è prevedere il rischio e ridurre il ricorso alla chemioterapia

Tumore al seno: l'analisi del genoma può far evitare la chemioterapia

La chemioterapia adiuvante è una delle armi più utilizzate nel trattamento del tumore al seno. Le pazienti operate per rimuovere una neoplasia allo stadio iniziale (1 e 2) vengono sottoposte alla terapia farmacologica quando la lesione tumorale della mammella è stata asportata, ma rimane il rischio che alcune cellule possano avere abbandonato la sede del tumore mammario ed essere in circolo. Finora la valutazione s’è basata sull’esito dell’esame istologico, l’esame dei tessuti prelevati, ma il futuro potrebbe riservare un ruolo di rilievo alla genomica. Un test genetico, abbinato all’analisi del tessuto asportato chirurgicamente, potrebbe essere utile a ridurre il numero delle pazienti chiamate a sottoporsi alla chemioterapia.

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 SERVE LA CHEMIOTERAPIA? LO DICE UN TEST GENETICO

L’ultima conferma a riguardo giunge da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology. Gli autori, un gruppo di ricercatori olandesi, hanno valutato l’affidabilità di un test genetico (70-Gene Signature) nella definizione della strategia terapeutica più adeguata con cui trattare un gruppo di 660 pazienti. Di queste, sulla base della valutazione clinica, a 270 è stata prescritta la chemioterapia adiuvante. Per altre 107, invece, l’ipotesi è stata esclusa. Nel mezzo sono rimaste 283 donne, rientranti in quella «zona grigia» che porta gli oncologi a valutare caso per caso quale strategia adottare. Subito dopo gli specialisti hanno sottoposto tutte le pazienti al test genetico.


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I RISULTATI DEL TEST GENETICO

Il test è stato condotto su un campione di tessuto tumorale asportato con l'intervento chirurgico, e ha permesso di individuare la presenza di settanta geni ritenuti responsabili della diffusione metastatica della malattia. Una volta noti i risultati, nella metà dei casi per cui era stata prevista la chemioterapia s’è deciso di fare un passo indietro. Complessivamente, nella valutazione dell’opportunità di sottoporre o meno una donna alla chemioterapia adiuvante, le indicazioni del test genetico sono risultate in linea nel 96 cento dei casi con quelle che erano le raccomandazioni fornite dagli specialisti.  

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Un riscontro che ha portato Thijs Van Dalen, chirurgo senologo all’Università di Utrecht, ad affermare che «il test permette di stratificare le pazienti in due classi: alto e basso rischio di progressione metastatica a dieci anni in assenza di trattamento». L’ipotesi di affiancare un test genetico all’analisi istologica è stata peraltro già anticipata da un altro studio, apparso ad agosto sul New England Journal of Medicine. La ricerca era stata portata avanti in 112 ospedali di nove Paesi europei (tra cui l’Italia), e gli esiti erano stati così commentati dagli autori, tra cui Giuseppe Viale, direttore dell’unità di anatomia patologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Circa la metà delle donne operate di tumore al seno ad alto rischio clinico potrebbero evitare la chemioterapia».


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Il supporto della genetica nella definizione del percorso terapeutico è già in realtà negli Stati Uniti, dove tutti i casi di tumore al seno sono trattati valutando anche l’esito del test genomico Oncotype Dx. In Europa, oltre al Regno Unito, il test è attualmente riconosciuto e rimborsato dai sistemi sanitari irlandese e svizzero e da alcune regioni della Spagna. In Italia, al momento, non vengono impiegate procedure di questo tipo. «Per decidere se sottoporre o meno una donna operata per un tumore al seno alla chemioterapia, gli oncologi si basano sulla sua età e su una valutazione clinica che considera l’invasione vascolare del tumore, il suo indice di proliferazione, la percentuale di recettori positivi agli estrogeni e al progesterone - afferma Saverio Cinieri, direttore della divisione di oncologia medica e della Breast unit dell’ospedale Perrino di Brindisi -. La diffusione e la maggiore accessibilità a questi test potrebbero interessare quel quaranta per cento di pazienti (almeno ventimila ogni anno, ndr) di fronte a cui c’è incertezza nel definire l’azione terapeutica più efficace».
 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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