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Fabio Di Todaro
pubblicato il 28-08-2014

Dal trapianto di feci un’opportunità per i diabetici?



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Cresce l’interesse nei confronti della procedura già utilizzata per trattare le infezioni batteriche da clostridium difficile, diffuse negli ambienti ospedalieri

Dal trapianto di feci un’opportunità per i diabetici?

Le radici affondano nella medicina cinese di 1700 anni fa. Fu il medico Ge Hong il primo a somministrare le feci per via orale ai pazienti colpiti dai sintomi delle intossicazioni alimentari: vomito e diarrea, in primis. Nonostante le origini datate nel tempo, però, oggi il trapianto fecale è considerata una procedura quanto mai innovativa che potrebbero rivelarsi interessante anche oltre il campo per cui finora è messo in pratica.

 

INFEZIONE DA CLOSTRIDIUM DIFFICILE

Recuperata e rimodernata, la metodica oggi è considerata sicura ed efficace per fronteggiare le infezioni da clostridium difficile, un batterio presente nell’intestino e in grado di diventare patogeno, e mortale, in seguito a un elevato consumo di antibiotici, verso cui sviluppa resistenza. Di trapianti di feci, per curare l’infezione che risulta piuttosto diffusa nei nosocomi, ne sono stati effettuati più di 500 nel mondo. Oggi uno studio retrospettivo pubblicato suThe American Journal of Gastroenterology evidenzia come la procedura sia sicura anche nei soggetti immunocompromessi, considerati più a rischio infezione. Dalla ricerca, infatti, emerge come l’89% di essi - malati di Aids, pazienti oncologici o in cura per patologie infiammatorie intestinali, trapiantati - undici mesi dopo l’intervento risultavano guariti dall’infezione.

«Nell’intestino c’è un nucleo di batteri comuni che permette di effettuare il trapianto senza alcun episodio di rigetto - sostiene Antonio Gasbarrini, responsabile dell' unità operativa complessa di medicina interna e gastroenterologia del policlinico universitario Gemelli di Roma -. I donatori sono scelti tra consanguinei e conviventi: abitudini alimentari e stili di vita simili permettono di avere una composizione del microbiota simile a quella della persona ammalata». L’evidenza segue solo di pochi giorni un altro riscontro favorevole giunto da uno studio pubblicato su mBio: sebbene non sia ancora chiaro l’esatto meccanismo con cui i batteri dell’ospite ripristinino la funzionalità intestinale, si è visto come nei pazienti sottoposti a trapianto ci fosse una prevalenza di batteri della specie bacteroidetes, la cui maggiore presenza risulta peraltro correlata - in alcune ricerche condotte sui topi - a un minor tasso di obesità.

 

PROSPETTIVA PER I DIABETICI?

Il liquido viene inoculato per via rettale, attraverso una colonscopia nel duodeno o tramite un sondino nasale. Spesso un solo trapianto è sufficiente per curare il paziente. Ma nei casi più gravi, come nei pazienti che soffrono anche di colite ulcerosa, possono essere necessarie più iniezioni. Il trapianto di microbiota - finora effettuato in Italia al Gemelli e all’ospedale Sacco di Milano - è eseguito nei pazienti affetti da colite pseudomembranosa, ma da pochi mesi il comitato etico del policlinico di Roma ha dato l’ok anche per avviare alcune ricerche mirate a verificare i riscontri sui pazienti diabetici. Vista l’attenzione crescente nei confronti del microbiota intestinale - l’insieme dei batteri che popolano il tratto terminale dell’apparato digerente -, il trapianto potrebbe divenire la soluzione a diversi malanni.    


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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