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Neuroscienze
Cinzia Pozzi
pubblicato il 28-10-2013

I farmaci che spengono il dolore neuropatico non sono gli analgesici



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Le attuali terapie impiegano antiepilettici e antidepressivi, mentre si sperimentano antiossidanti, olio di pesce e fattori di crescita.

I farmaci che spengono il dolore neuropatico non sono gli analgesici

Le strategie: prevenire il danno ai neuroni e ripristinare le naturali vie che inibiscono il dolore. Ma le terapie sono ancora insufficienti. Il limite sono gli effetti collaterali dei farmaci sulla memoria

Per alleviare una manifestazione dolorosa, il riscorso agli antidolorifici è quasi scontato. Non lo è, però, se il dolore è di tipo neuropatico: cronico, irrompe da una lesione permanente delle fibre nervose e i neuroni, alterati nella loro funzionalità, continuano a trasmettere l’impulso doloroso anche quando la causa scatenante è stata rimossa.

Dolore da arto fantasma, polineuropatia diabetica, nevralgia post-erpetica e fibromialgia sono solo alcuni degli esempi per cui un semplice analgesico non basta. Oggi le opzioni terapeutiche disponibili sono ancora insufficienti, sia in Italia che negli altri Paesi, e si riesce solo a dimezzare l’intensità di un dolore neuropatico, non ad estinguerlo. Ma la maggiore comprensione delle vie nervose che regolano il dolore lascia intravedere nuove molecole, potenzialmente efficaci.

IL NOME DEL FARMACO NON CONTA

Ciò che conta è che sia in grado di interferire con il circuito del dolore. Oggi i pazienti con dolore neuropatico – secondo le stime, il 25-28% degli italiani convive con dolore cronico, solo un terzo di essi è neuropatico – sono trattati con antiepilettici e antidepressivi. I primi agiscono sulla tendenza dei neuroni danneggiati a produrre continue scariche elettriche e a riprodurre, quindi, la percezione di dolore.

Gli antidepressivi, invece, potenziano una delle vie naturali per inibire il dolore, quella mediata dall’ormone noradrenalina. «Alcuni pazienti si rifiutano di prendere gli antidepressivi perchè pensano erroneamente che il loro dolore non sia preso sul serio – spiega Paolo Marchettini, responsabile della Medicina del Dolore presso l’Ospedale San Raffaele di Milano– La noradrenalina riesce a controllare il dolore in condizioni di emergenza, come quando siamo di fronte a un pericolo: l’organismo ne libera una quantità importante che ci rende anestetizzati, dando un sollievo immediato al dolore dato dalla paura». Una via efficace, come dimostrano i fachiri: camminano sui carboni ardenti perchè sono in grado di controllarla volontariamente, tramite la meditazione.

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ANTIOSSIDANTI E OLIO DI PESCE

Un altro segnale chimico che inibisce naturalmente il dolore è il GABA (acido gamma-amino-butirrico). Quando c’è una lesione nervosa, i neuroni sensibili a questo neurotrasmettitore non rispondono più in modo corretto e il dolore continua a essere trasmesso. Proteggerli da un danno sembra possibile: in uno studio dell’Università del Texas, pubblicato su Pain, la somministrazione di antiossidanti ha limitato la perdita della via inibitoria nei topi trattati, con riduzione del dolore manifestato.

Anche l’acido docosaesaenoico, ingrediente principale di molti integratori di olio di pesce, ha un ruolo protettivo. Lo hanno scoperto all’Università di Duxe, sempre su modello animale: il composto limiterebbe il rilascio di chemiochine e citochine dopo un trauma nervoso. Come si legge sugli Annals of Neurology, le molecole infiammatorie richiamano i macrofagi sul nervo leso e favoriscono la distruzione di neuroni importanti sulla via sensoriale. Tra le molecole oggetto di studio, anche la dopamina, l’ormone chiave nella malattia di Parkinson, e i fattori di crescita neuronali.

LA MEMORIA DEL DOLORE

Perchè nessuna delle terapie attuali riesce ad azzerare il dolore neuropatico? Il limite principale sono gli effetti collaterali. «Il meccanismo con cui si instaura un dolore neuropatico permanente è molto simile a quello che usa il cervello per immagazzinare i ricordi. I farmaci che prevengono il danno nervoso, quindi, creano amnesie o distruggono la memoria», conclude Marchettini. Individuate le molecole potenzialmente efficaci, ora serve un passo in più: somministrarle senza fare troppi danni.

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