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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 11-02-2015

Se è la mamma a “creare” i disturbi del bambino


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La sindrome di Munchausen porta chi si occupa dei più piccoli a “vedere” delle malattie che non esistono. Le conseguenze per le vittime possono durare anni

Se è la mamma a “creare” i disturbi del bambino

Checché se ne dica, in taluni casi la “fonte” della malattia può essere anche rappresentata dalla persona che, più di qualunque altra, dovrebbe tutelare la salute del proprio bambino. È la mamma a “far ammalare” il proprio figlio, se affetta dalla sindrome di Munchausen per procura”. Trattasi di un disturbo psichiatrico in cui le persone colpite fingono la malattia o un trauma psicologico per attirare attenzione e simpatia verso di sé. A volte è anche conosciuta come sindrome da dipendenza dell'ospedale. Ma, nella fattispecie, la sindrome ha un’altra valenza in quanto riguarda l'ambito dei bambini.

 

DI COSA SI TRATTA?

Il disturbo ha preso piede soprattutto negli ultimi dieci anni. Le certezze sono sempre più precarie e gli affetti troppo distratti. Da qui, secondo gli esperti, la maggiore diffusione di questo disturbo, descritto di recente in una ricerca condotta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e pubblicata sul Journal of Child Health Care.

Nello studio sono stati considerati 751 bambini ricoverati nel reparto di Pediatria del Policlinico Gemelli tra fine 2007 e inizio 2010 e nel quasi 2% dei casi è stato individuato un cosiddetto “disturbo fittizio”. Quasi sempre si trattava di disturbi inventati dal bambino stesso ed è chiaro che quando una simile situazione conduce il piccolo fino a un ricovero, è necessario intervenire per dare una mano concreta al bambino e alla sua famiglia. In quattro casi sono stati riscontrati i criteri per effettuare la diagnosi di sindrome di Munchausen per procura, cioè è stato uno o entrambi i genitori ad arrecare un danno fisico o psichico al bambino e indurlo a pensare di essere malato. In 3 casi su 4 si è trattato della madre.

«La sindrome è una vera e propria forma di abuso nei confronti dei minori che può portare anche a esiti estremi - spiega il professor Pietro Ferrara, docente di pediatria all’Università Cattolica di Roma - . A livello scientifico internazionale la sindrome è ben riconosciuta. Ma in Italia si tratta ancora oggi di un fenomeno sottostimato e riconosciuto con difficoltà, tanto che possono passare anche anni prima di giungere alla diagnosi corretta, cioè può trascorrere molto tempo tra la comparsa dei primi sintomi e l’identificazione della malattia, con il rischio evidente di sottoporre il bambino a esami e terapie inutili o addirittura dannosi».

 

L’AUTOBIOGRAFIA

Recenti fatti di cronaca hanno portato alla ribalta questa sindrome. A Torino, ad agosto scorso, un’infermiera è stata arrestata con l’accusa di aver iniettato insulina al figlio di quattro anni, con l’unico scopo - secondo l’accusa - di indebolire il figlio e renderlo ammalato. Il quadro non è raro, tanto da aver convinto la scrittrice olandese Roos Boum a raccontare la propria storia in una autobiografia (“La Sindrome di Munchausen per procura. Malerba: storia di una infanzia lacerata”, edito da Franco Angeli), in cui racconta il suo calvario di vittima della madre che ha inventato per lei una malattia devastandone la vita.

La sua storia è emblematica. Solo la sua determinazione e la sua capacità di autoanalisi le hanno consentito di rendersi conto di ciò che aveva subìto sia dal punto di vista personale sia da quello affettivo. La malattia non è facile da riconoscere. «Per accorciare i tempi della diagnosi - conclude Ferrara - è utile avere accesso a informazioni sulla storia clinica del bambino: per esempio quante volte è stato ricoverato in altri ospedali, perché spesso le madri o chi inventa la malattia peregrinano da una struttura all’altra. È importante, una volta riconosciuta la sindrome, prestare aiuto al bambino e alla madre, garantendo un’assistenza psicologica adeguata».


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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