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Oncologia
Francesca Morelli
pubblicato il 27-01-2015

L’assistenza psicologica che manca dopo la diagnosi di tumore al seno



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È la prima necessità avvertita dalla donna, spesso carente negli ospedali per scarsità di tempo e formazione. I risultati di una campagna condotta in otto paesi europei

L’assistenza psicologica che manca dopo la diagnosi di tumore al seno

Psicologicamente abbandonate dopo una diagnosi di tumore al seno, specie se avanzato, e durante l’iter terapeutico.

È il più grosso "peso", oltre a quello fisico, che le donne italiane avvertono nella loro storia di malattia ed emerso dalla campagna Here & Now, condotta su oltre 300 operatori sanitari e pazienti in otto Paesi europei, Italia compresa.

Ma i sanitari denunciano: colpa anche di una inadeguata formazione che non consente di essere correttamente preparati nel supporto e gestione di esigenze psico-emotive importanti e della mancanza del giusto tempo da dedicare alle pazienti più bisognose.

 

L’INDAGINE

Sono bastate venti domande mirate, somministrate online a operatori sanitari e pazienti tra settembre e ottobre di quest’anno, per conoscere una situazione di disagio che coinvolge sia le donne, direttamente interessate da un tumore del seno, sia chi le assiste, medici e infermieri appunto.

Insoddisfatte le prime di non ricevere attenzione agli aspetti emotivi, invece necessaria, in caso di diagnosi che impattano in maniera importante sulla qualità della vita; insoddisfatti gli altri - in circa la metà o un terzo dei casi - per non poterla adeguatamente offrire.

Talvolta perché non messi nelle condizioni di poterlo fare per carenza di tempo, ma per lo più non formati per dare un aiuto concreto alle implicazioni psico-emotive che la malattia sempre porta con sé. Pur consapevoli che le donne hanno necessità e troverebbero giovamento dalla maggior informazione e presa di coscienza del loro problema, attraverso la distribuzione di materiale ad hoc, spesso non disponibile, o da un ascolto fattivo e condiviso secondo un approccio multidisciplinare alla malattia, supportato da una maggiore attenzione agli aspetti emotivo-psicologici da parte di medici e specialisti. I quali, dibattuti tra il volere e non potere, per una sorta di effetto domino, alla fine vivrebbero la stessa ansia e disagio delle loro pazienti. Un circolo vizioso, insomma.

 

IL SUPPORTO PSICOLOGICO

Specie per il tumore del seno, che compromette l’integrità della donna, minandola nella sua femminilità, non si vive di sola terapia farmacologica, di chemio o di radioterapia.

Occorre molto di più: una presenza "umana", tangibile, attenta e empatica. Per aiutare la donna a superare quello che innanzitutto viene definito un disturbo dell'adattamento.

«Si tratta di un disagio che si manifesta con sintomi propri dell'ansia e della depressione, conseguenti ad una situazione di stress emotivo molto elevato e protratto nel tempo», spiega Gabriella Pravettoni, odinario di psicologia cognitiva all’Università Statale di Milano e direttore dell'unità di psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia.

Il peso psico-emotivo comincia infatti nel momento in cui arriva la diagnosi, accompagna la donna durante tutto il percorso diagnostico e terapeutico e che prosegue poi nel tempo perché si devono imparare ad accettare i cambiamenti fisici, della qualità della vita, di equilibri e esigenze diverse. I progressi della scienza medica hanno portato ad un esponenziale aumento nel numero delle terapie disponibili e di comprovata efficacia per la cura del tumore al seno.

 

L'URGENZA DELLA FORMAZIONE

«Oggi è possibile parlare di “cronicizzazione” nel trattamento di questa neoplasia. Da un punto di vista psicologico - continua Pravettoni - ciò significa che a un aumento nell’aspettativa di vita si sommano anche tutta una serie di nuovi bisogni emergenti, prima sconosciuti in campo oncologico e di cui la comunità scientifica tutta deve oggi prendere consapevolezza».

Aggiunge ancora: «Spesso, in questi contesti, un intervento psicologico clinico di supporto si rende necessario per accompagnare la donna nel processo di adattamento ad un percorso di cura non sempre lineare.

Anche gli operatori sanitari devono quindi ricevere una adeguata formazione agli aspetti comunicativo-relazionali che caratterizzano la relazione di cura con queste pazienti che viene sempre più ad assumere le forme di un legame che dura nel tempo con importanti risvolti soggettivi e di pratica clinica».


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