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Alimentazione
Caterina Fazion
pubblicato il 18-03-2022

Sale in cucina: massimo 5 grammi, meglio se iodato



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Non consumare più di 5 grammi di sale al giorno per evitare ipertensione, eventi cardiovascolari e danni renali. Consigli pratici per ridurne il consumo

Sale in cucina: massimo 5 grammi, meglio se iodato

Quanto sale mangi ogni giorno? Se stai pensando “giusto un pizzico”, potrebbe non essere la risposta corretta. Il cloruro di sodio –il sale che si usa in cucina– si nasconde in moltissimi alimenti trasformati che, senza rendercene conto, possono mettere a rischio la nostra salute. In occasione della Settimana Mondiale per la riduzione del consumo di sale, scopriamo come ridurre i danni provocati dal consumo eccessivo di questo ingrediente, così radicato nella nostra dieta ma, in realtà, superfluo.

SALE: DOVE SI TROVA?

Il sale contenuto naturalmente negli alimenti che assumiamo rappresenta una quota mediamente molto bassa, che non supera il grammo al giorno, vale a dire circa un quinto del limite a oggi consigliato per l’adulto (5 grammi). Tuttavia, è del tutto sufficiente per il benessere del nostro organismo. Frutta e verdura in particolare contengono pochissimo sodio, mentre la quota è leggermente più alta nei prodotti di origine animale, in particolare quelli ittici: molluschi, cozze e vongole sono tra i pochissimi alimenti ricchi di sale. Il sale si nasconde in tutti gli alimenti trasformati su base industriale e artigianale. «Le principali fonti di sodio – illustra il professor Pasquale Strazzullo, presidente della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) –, sono sicuramente il pane, e con esso tutti i vari prodotti da forno, formaggi, salumi, condimenti e alimenti conservati sotto sale. Pensiamo, ad esempio, a prodotti come tonno, sgombro, salmone o ancora pistacchi, arachidi e lupini. In natura contengono pochissimo sodio, ma quando vengono inscatolati e conservati in varia maniera viene aggiunta una notevolissima quantità di sale; prodotti molto salutari al naturale, dunque, diventano un problema per la nostra salute».

I DANNI DEL TROPPO SALE

Un consumo eccessivo di sale può determinare un aumento della pressione arteriosa, con conseguente aumento del rischio di insorgenza di malattie cardio-cerebrovascolari e non solo. «Parliamo di ictus cerebrale, infarto del miocardio, scompenso cardiaco e insufficienza renale. Altri effetti conseguenti all'abuso di sale sono rappresentati dal rischio di calcolosi renale e aumentato rischio di tumore allo stomaco», spiega Pasquale Strazzullo. «Infine, dato che l'eccesso di assunzione di sale comporta una maggiore perdita urinaria di calcio, anche il metabolismo dell'osso ne soffrirà, con maggiore tendenza all'osteoporosi».

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QUANTO CONSUMARNE?

La prima delle cinque raccomandazioni fornite dall’OMS in occasione della Settimana Mondiale per la riduzione del consumo di sale, rappresenta l’invito a non assumere più di 5 grammi di sale al giorno, vale a dire circa 2 grammi di sodio. Per persone con problemi cardiovascolari e renali, e per gli anziani, il consumo di sale deve essere ridotto ulteriormente. I bambini dovrebbero assumere meno di 2 grammi di sale al giorno: l’aumento di pressione arteriosa, responsabile dei principali effetti negativi derivati da un consumo eccessivo di sale, infatti, conduce alla perdita di elasticità delle arterie, causandone irrigidimento, fin dalla tenera età. L'attuale consumo giornaliero di sale nei paesi europei varia tra 8 g e 19 g, ben al di sopra di questa raccomandazione. In Italia il consumo di sale nella popolazione adulta è in media circa doppio rispetto alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e maggiore nelle regioni del Sud (11 grammi al giorno), rispetto a quelle settentrionali e centrali. Inoltre, il consumo è più alto in persone che svolgono lavori manuali rispetto a coloro che sono impegnati in ruoli amministrativi e manageriali. Lo stesso vale anche per il grado di istruzione: gli italiani in possesso della licenza elementare consumano più sale rispetto ai diplomati e ai laureati.

CONSIGLI PRATICI PER LIMITARNE L'UTILIZZO

«I consumatori – consiglia il presidente della SINU – sarebbe importante che diminuissero progressivamente la quantità di sale usata per cucinare, in maniera tale da permettere al palato di adattarsi al nuovo gusto. Così facendo potremo tornare ad apprezzare il sapore naturale degli alimenti. Se non si vuole rinunciare alla possibilità di insaporire i cibi si possono usare, ad esempio, aromi, spezie, limone, peperoncino, pepe ed erbe varie. Fondamentale è anche controllare le etichette dei prodotti alimentari – secondo dei consigli dell’OMS – prima di acquistarli, così da scegliere quelli a minor contenuto di sale. Questo vale soprattutto per il pane che consumiamo in grandi quantità, ma anche per prodotti surgelati come pizze e minestroni. Un altro consiglio può essere quello di scolare e sciacquare verdure e fagioli in scatola per togliere il sale aggiunto».

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UNA STRATEGIA GLOBALE

Alcune raccomandazioni fornite dall’OMS, però, vanno al di là delle scelte attive e consapevoli dei singoli cittadini. Parliamo ad esempio di riformulare i prodotti salati venduti in commercio ed eliminare il sale negli alimenti disponibili nelle app di consegna a domicilio, sempre più utilizzate, specialmente sulla scia della pandemia. L’OMS, inoltre, evidenzia come le persone maggiormente svantaggiate a livello socio-economico, facciano un consumo di sale superiore del 5-10% a causa, in molte occasioni, di una minore conoscenza delle linee guida del governo e di una limitata alfabetizzazione sanitaria. Per questo motivo, per arrivare a ridurre entro il 2025 il consumo di sale del 30%, come proposto dall’OMS, anche industrie alimentari e governi devono essere chiamati a varare una strategia più ampia a tutela della salute della popolazione.

QUALE SALE SCEGLIERE?

Sale blu di Persia, sale rosa dell’Himalaya, sale grigio di Bretagna e sale della Camargue. Sono alcuni dei numerosi sali “gourmet” che ci stiamo abituando a vedere non solo nei ristoranti stellati, ma anche sugli scaffali dei supermercati. «Questi sali sono indubbiamente belli da vedere – commenta il professor Strazzullo – , ma sono assolutamente paragonabili al classico sale da cucina per quanto riguarda il contenuto di sodio, e dunque sono medesimi anche i danni derivati da un consumo eccessivo. Lo stesso vale anche per il sale iodato che, però, ha il vantaggio di contenere una piccola aggiunta di iodio che può essere utile per la funzione tiroidea visto che in natura gli alimenti ricchi di questo micronutriente sono pochi (è contenuto soprattutto in latte e prodotti del mare)». La dieta, seppure equilibrata, garantisce solo il 50-60 % del fabbisogno giornaliero di iodio, per questo in Italia, con la Legge n. 55 del 21 marzo 2005, si è scelto di raccomandare “meno sale ma iodato”. Nella legge viene chiesto ai rivenditori di offrire preferibilmente il sale iodato, promuovendone il consumo in alternativa a quello comune, rendendolo disponibile in tutti i punti vendita di generi alimentari. «Potremmo aver bisogno di una piccola integrazione di iodio – conclude Pasquale Strazzullo –, ma non è detto che questa si debba raggiungere usando il sale iodato: ci sono altri sistemi come fortificare mangimi animali con iodio, in modo tale da trovarlo direttamente nel latte, ad esempio, senza necessità di usare il sale. Il consiglio, tuttavia, anche da parte della SINU, è che il poco sale consumato, sia almeno iodato».


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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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