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Fabio Di Todaro
pubblicato il 30-11-2015

Aids, mai così diffusa in Europa dagli anni ‘80



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Più di 140mila le nuove diagnosi nel 2014. Trend costante in Italia. Diagnosi precoce e terapie antiretrovirali non hanno frenato la diffusione del virus

Aids, mai così diffusa in Europa dagli anni ‘80

Non sarebbe corretto parlare di una nuova epidemia. Ma sapere che in Europa sono più di 142mila le (nuove) persone a essersi ammalate di Aids nel 2014, è sufficiente per affermare che da quando si è abbassata la guardia, la malattia ha ripreso a diffondersi. Si tratta del numero più alto di nuove infezioni registrate nel Vecchio Continente dagli anni ’80 a oggi. In alcuni Stati il numero di diagnosi risulta doppio rispetto al 2005. La sfida, dunque, è tutt’altro che vinta.

 

LA NUOVA EMERGENZA RIGUARDA GLI OMOSESSUALI

L’occasione per fare il punto è rappresentata dalla Giornata Mondiale di lotta all’Aids, in programma l’1 dicembre. Il sistema di sorveglianza del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc) ha segnalato una crescita allarmante dell’infezione, soprattutto in tre Paesi dell’Europa dell’est: Romania, Slovacchia e Cipro. Una sensibile flessione (-25 per cento), invece, si registra in Finlandia, Slovenia e Islanda. Dati analoghi a quelli diffusi lo scorso anno che, messi sui due piatti della bilancia, hanno portato Andrea Ammon, direttore dell’Ecdc, ad affermare che «complessivamente l’epidemia non vede grandi cambiamenti: è il segno che la risposta al virus non è stata efficace nell’ultimo decennio».

E che dimostrano come, sebbene negli ultimi vent’anni siano state messe a punto terapie antiretrovirali sempre più efficaci (da assumere a vita) e si sia lavorato molto sul fronte delle diagnosi precoci, l’incidenza della malattia non è calata nemmeno nei Paesi occidentali. Dal documento si evince che sono in aumento le nuove infezioni contratte attraverso rapporti omosessuali non protetti (responsabili anche dell’aumento delle diagnosi di cancro anale negli uomini): si è passati dal trenta al quarantadue per cento, tra il 2005 e il 2014, sul totale delle infezioni. Un fenomeno che il centro epidemiologico di Stoccolma aveva portato a galla già nei mesi scorsi, sottolineando il ruolo preventivo che l’impiego di applicazioni per smartphone mirate agli uomini omosessuali potrebbe avere nella promozione della salute sessuale. Meno preoccupanti invece i dati relativi ai nuovi casi di infezione legati all’uso di droghe iniettabili (4,1%).

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IL PERICOLOSO “ABBINAMENTO” CON LA SIFILIDE

Relativamente alla trasmissione sessuale, esistono evidenze di una sinergia negativa tra l’infezione da Hiv e quella da sifilide. «Si osserva un impatto peggiorativo della sifilide sulla infezione da Hiv e una maggiore suscettibilità dei pazienti sieropositivi alle forme più gravi e neurologiche della sifilide - conferma Francesco Castelli, direttore della clinica di malattie infettive e tropicali agli Spedali Civili di Brescia -. Ecco perché è essenziale una diagnosi precoce della infezione da sifilide nei pazienti Hiv-positivi per instaurare un trattamento immediato con benefici clinici individuali, ma anche limitando il periodo di infezione e dunque la contagiosità del paziente». Quanto alla prevenzione, gli esperti della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) caldeggiano un maggiore dibattito sulla terapia post-esposizione (Prep).

Si tratta di un mix di due farmaci da assumere prima di un rapporto sessuale (non protetto) che, come documentato da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, negli omosessuali è in grado di ridurre del 44 per cento i casi di infezione da Aids. In termini di profilassi, nessuno strumento è più efficace del preservativo. Ma l’alternativa, non rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale, andrebbe quanto meno discussa, secondo Tullio Prestileo, infettivologo all’ospedale civico Benfratelli di Palermo: «Il tema è quanto più urgente se si pensa che le infezioni da sifilide stanno crescendo in maniera preoccupante. Sarebbe molto utile se almeno a titolo personale fosse possibile l’acquisto della terapia della Prep, diffondendo e offrendo parallelamente l’uso del preservativo a scopo preventivo».

 

COSA ACCADE IN ITALIA?

Incrociando i dati europei con quelli italiani, diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, si scopre che la diffusione dell’infezione è costante lungo la Penisola: 3695 le nuove diagnosi di contagio da Hiv riportate nel 2014, per un’incidenza di 6,1 nuovi casi di positività ogni centomila residenti. Dati che collocano l’Italia al dodicesimo posto per l’incidenza tra le nazioni dell’Unione Europea. A preoccupare sono soprattutto l’aumentata incidenza tra i giovani (25-29 anni) e la schiera degli “inconsapevoli”. «Nel 2012 una quota di nostri connazionali compresa tra dieci e dodicimila unità non era cosciente di aver contratto un’infezione da Hiv - afferma Enrico Girardi, direttore del reparto di epidemiologia clinica dell’Istituto Nazionale di Malattie Infettive Spallanzani di Roma -. Esistono poi persone che non accedono ai centri di cura, non ricevono un trattamento efficace o non lo assumono correttamente. Bisogna far si che nessuno abbandoni le terapie».


@fabioditodaro

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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