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Daniele Banfi
pubblicato il 28-07-2021

Epatite C: Covid-19 rallenta la corsa all'eradicazione


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Con Covid-19 rallentano i trattamenti e le nuove diagnosi. L'obbiettivo eradicazione entro il 2030 si fa più lontano

Epatite C: Covid-19 rallenta la corsa all'eradicazione

Oggi si celebra la giornata mondiale dedicata alle epatiti. Una ricorrenza, quella di quest'anno, particolarmente utile per sottolineare la necessità di "rimettersi in carreggiata". Covid-19 ha infatti rallentato notevolmente i nuovi trattamenti per l'epatite C allontanando, di fatto, l'obbiettivo eradicazione fissato per il 2030. 

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CHE COS'E' L'EPATITE C

L'epatite C è una malattia virale che colpisce prevalentemente il fegato. I danni a lungo termine causati dalla sua presenza sono cirrosi e tumore del fegato. Non solo, essendo un'infezione cronica le persone positive sono maggiormente predisposte a diabete, insufficienza renale e malattie cardiovascolari. Eliminare il virus è fondamentale dunque sia per il benessere generale sia per ridurre la mortalità, indipendentemente dal danno al fegato.

COME SI CURA?

Sino a pochi anni fa l'unica cura per l'epatite C era rappresentata dalla somministrazione di interferone e ribavirina. Combinazione che garantiva un successo in meno della metà dei casi e con pesanti effetti collaterali. La situazione si è sbloccata con l'avvento degli antivirali ad azione diretta, molecole che hanno rivoluzionato il trattamento dell'epatite C. Grazie ad essi -le combinazioni approvate ad oggi da AIFA sono 9- il virus può essere eliminato in oltre il 98% dei casi. Trattamenti altamente efficaci, con pochi effetti collaterali e della durata di poche settimane (la cura più breve arriva a durare solo 8 settimane).

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L'EFFETTO DELLA PANDEMIA

Cure disponibili ma poco somministrate, soprattutto a causa della pandemia. “In questo anno e mezzo vi è stata una diminuzione significativa sia delle diagnosi che dei pazienti trattati –sottolinea il professor Alessio Aghemo, Segretario AISF (Associazione Italiana per lo Studio del Fegato) eresponsabile del centro per lo studio e la cura delle patologie metaboliche del fegato e delle complicanze delle cirrosi all'Istituto Clinico Humanitas di Milano-. Solo a maggio 2021 la situazione è migliorata, sebbene l’accesso alle strutture sanitarie sia ancora limitato e incomba il rischio di una nuova emergenza. A causa di questo rallentamento nei trattamenti di eradicazione dell’Epatite C, l’Italia non è più in linea con l’obiettivo dell’OMS, che si sarebbe potuto perseguire solo con il trattamento di 30-45mila pazienti l’anno, un ritmo di marcia ampiamente disatteso. Gli effetti sul lungo periodo rischiano di essere particolarmente negativi: gli studi realizzati da AISF sull’impatto della pandemia a livello mondiale prevedono un notevole incremento di morti da qui a venti anni a causa di mancate diagnosi e controlli; sebbene l’Epatite C abbia una lenta progressione, le sue conseguenze possono essere letali”.

Daniele Banfi
Daniele Banfi

Giornalista professionista è redattore del sito della Fondazione Umberto Veronesi dal 2011. Laureato in Biologia presso l'Università Bicocca di Milano - con specializzazione in Genetica conseguita presso l'Università Diderot di Parigi - ha un master in Comunicazione della Scienza ottenuto presso l'Università La Sapienza di Roma. In questi anni ha seguito i principali congressi mondiali di medicina (ASCO, ESMO, EASL, AASLD, CROI, ESC, ADA, EASD, EHA). Tra le tante tematiche approfondite ha raccontato l’avvento dell’immunoterapia quale nuova modalità per la cura del cancro, la nascita dei nuovi antivirali contro il virus dell’epatite C, la rivoluzione dei trattamenti per l’ictus tramite la chirurgia endovascolare e la nascita delle nuove terapie a lunga durata d’azione per HIV. Dal 2020 ha inoltre contribuito al racconto della pandemia Covid-19 approfondendo in particolare l'iter che ha portato allo sviluppo dei vaccini a mRNA. Collabora con diverse testate nazionali.


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