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I nostri ricercatori
Francesca Borsetti
pubblicato il 28-02-2024

ERAP1: un possibile nuovo bersaglio terapeutico per il medulloblastoma



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Studiare la proteina ERAP1 e le alterazioni della “via di Hedgehog” potrebbe consentirci nuove opzioni terapeutiche contro il medulloblastoma pediatrico: la ricerca di Ludovica Lospinoso Severini

ERAP1: un possibile nuovo bersaglio terapeutico per il medulloblastoma

Il medulloblastoma è un tumore maligno che si sviluppa nel cervelletto, una parte del cervello coinvolta nel controllo dei movimenti volontari e nella coordinazione motoria. È il tumore cerebrale più comune nell'infanzia e in Italia colpisce circa sette bambini su un milione (dati AIRTUM). Sebbene i trattamenti disponibili abbiano migliorato le aspettative di vita dei pazienti sono necessarie ulteriori ricerche sui meccanismi alla base del tumore, che potrebbero aprire la strada a opzioni terapeutiche più specifiche e meno tossiche come l’immunoterapia.

Ludovica Lospinoso Severini è ricercatrice presso l’Università degli Studi di Roma "La Sapienza" dove studia la cosiddetta “via di segnalazione di Hedgehog” (un serie di meccanismi molecolari a cascata), spesso alterata nel medulloblastoma. Il suo lavoro esplorerà il coinvolgimento immunologico di ERAP1 - una proteina chiave nella risposta immunitaria - come attivatore della via di Hedgehog. Il progetto sarà sostenuto per il 2024 da una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi nell’ambito del nostro impegno contro i tumori pediatrici.

Ludovica, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Il medulloblastoma è il tumore cerebrale pediatrico più comune e spesso insorge a seguito dell’alterazione della via di segnale di Hedgehog, una via fondamentale durante lo sviluppo embrionale. Nel 2019 abbiamo identificato un ruolo, precedentemente sconosciuto, della proteina ERAP1 (un modulatore chiave della risposta immunitaria) come attivatore della via di Hedgehog. Questo progetto nasce con l’idea di definire il contributo immunologico di ERAP1 nello sviluppo del medulloblastoma».

Perché avete scelto questa linea di ricerca?

«Il nostro team si occupa da anni dello studio del medulloblastoma. La ricerca è motivata dalla necessità di comprenderne i meccanismi e identificare nuove vie terapeutiche».

In che modo?

«Abbiamo già dimostrato che l’inibizione di ERAP1 contrasta la crescita del medulloblastoma, ostacolando la via di segnalazione di Hedgehog. Vogliamo studiare quale sia la risposta immunitaria antitumorale guidata da ERAP1, e se (e come) colpire in modo mirato ERAP1 possa rendere il tumore più sensibile ai trattamenti immunoterapici – un insieme di tecniche che attiva il sistema immunitario contro il cancro, N.d.R.».

Come intendete portare avanti il vostro progetto?

«Combineremo tecniche di biologia cellulare, analisi di espressione genica e indagini su modelli preclinici di medulloblastoma per valutare il profilo immunologico legato a ERAP1. Raccoglieremo, inoltre, dati relativi all’uso combinato di inibitori di ERAP1 e farmaci “immunomodulatori” (per l’immunoterapia, N.d.R.) contro il medulloblastoma dipendente dalla via di Hedgehog».

Quali prospettive apre, anche a lungo termine, per la conoscenza biomedica la e salute umana?

«Le attuali terapie contro il medulloblastoma sono spesso poco efficaci e causano effetti collaterali a lungo termine nei giovani pazienti. Nasce quindi la necessità di sviluppare terapie mirate e meno tossiche che aumentino la prospettiva di vita. I risultati nostri potrebbero essere importanti per individuare le migliori strategie di immunoterapia da combinare con trattamenti mirati e contrastare l’attività favorevole al tumore di ERAP1».

Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Sì, due volte. Nel 2017 sono stata ospite del dipartimento di Oncologia dell’Università di Oxford e nel 2019 dell’Istituto Curie di Orsay».

Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

«Solo cose positive. Oggi porto con me molta più fiducia nelle mie capacità, l’amore incondizionato per Parigi con i suoi ponti e tramonti e la certezza che i modi di fare ricerca possano essere infiniti. La cosa più preziosa sono le amicizie. Le persone stupende che ho conosciuto non sono state solo una parentesi nella mia vita, ma rappresentano oggi alcuni dei miei affetti più cari».

Ti è mancata l’Italia?

«Sono partita per periodi brevi, quindi l’Italia non ha fatto in tempo a mancarmi!».

Ricordi il momento in cui hai capito “la tua strada”?

«Ho sempre collegato la mia passione per la scienza con gli anni del liceo: il momento “illuminante” fu la lezione sulla sintesi proteica. Prima di allora sapevo di avere una simpatia verso le materie scientifiche, ma non avevo ancora una risposta alla domanda “Cosa farai all’università?”. Ho conosciuto la ricerca solo dopo, grazie ai tirocini formativi».

C’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno che invece vorresti dimenticare?

«Vorrei incorniciare la faccia che ho fatto mentre leggevo l’email della rivista che ha accettato il mio ultimo lavoro. Vorrei dimenticare la preparazione del mio primo (e per ora unico) intervento in America: non l’ho vissuta molto bene!».

Dove ti vedi fra dieci anni?

«Mi auguro di fare ancora ricerca e di proporre progetti validi con cui ottenere i miei primi finanziamenti. Spero inoltre di diventare professoressa, perché mi piace il processo del “dare e ricevere” che si instaura tra insegnanti e studenti».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Il dinamismo, la libertà di pensiero, l’adrenalina di un’ipotesi da dimostrare».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Il precariato».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Passato, presente e futuro che incessantemente coesistono».

Come rispondi quando ti chiedono che lavoro fai?

«La biologa. Poi tutti mi chiedono: “Nutrizionista?”. Allora dico: “No, lavoro in laboratorio” e puntualmente: “Allora fai le analisi del sangue?”. E lì provo il tutto per tutto: “No, faccio ricerca in campo oncologico in Università”. Dopo un momento di silenzio, segue un: “Ah, bello!”».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita?

«I miei genitori».

Qual è stato il loro insegnamento più importante?

«Il più importante in ambito professionale è: se il lavoro che stai facendo è una tua scelta, è un privilegio».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«Buffo, non ho mai pensato a un’alternativa!».

Qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca?

«Grazie ai risultati di ogni giorno sono un passo più vicina ad aiutare un paziente».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Penso che tante persone non abbiano ben chiaro cosa voglia dire fare ricerca, né a cosa serve. C’è poca educazione alla scienza applicata alla salute umana».

Cosa fai nel tempo libero?

«A periodi alterni ricavo del tempo per l’attività sportiva, ma il mio primo interesse è viaggiare. Cerco sempre di ritagliarmi almeno un paio di fine settimana durante l’anno per allontanarmi dalla routine romana».

Hai famiglia?

«Due genitori da coccolare».

Se un giorno tuo figlio o tua figlia ti dicesse di voler “fare ricerca”, come reagiresti?

«Mi sono sentita e mi sento spesso sopraffatta dal senso di instabilità che questo lavoro ci impone: siamo spesso definiti come eterni studenti, anche se è da anni che lavoriamo al bancone di un laboratorio. Fantasticando sull’ipotesi di essere madre, sarei lusingata dall’aver dato un esempio così significativo ai miei figli, ma chiederei loro quanta tenacia sono disposti ad avere per perseverare in questo lavoro, pur sostenendoli nella loro scelta».

Sei soddisfatta della tua vita?

«Per ora sì, ma ho tanti progetti che vorrei realizzare anche nel futuro più prossimo».

Ludovica, perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Perché la ricerca è, senza false modestie, il lavoro più bello del mondo. È studio costante, ma mai noioso. È giovane, come le persone che la fanno qualsiasi sia la loro età anagrafica. La ricerca è il progresso che rende oggi possibile quello che ieri sembrava fantascienza. È l’evoluzione di un’idea in una terapia. Purtroppo la ricerca fa ancora tanta fatica a farsi spazio e a farsi sentire».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie, perché siete il dietro le quinte del nostro lavoro e avete la pazienza di investire oggi nei risultati che sapremo darvi domani».


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