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Francesca Borsetti
pubblicato il 20-02-2023

Glioma diffuso: il ruolo della proteina ROCK



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Lo studio di questa proteina nei gliomi diffusi della linea mediana potrebbe fornire nuove strategie per controllare la diffusione del tumore: la ricerca di Giulia Pericoli

Glioma diffuso: il ruolo della proteina ROCK

I gliomi diffusi della linea mediana (DMG) sono tumori dell’età pediatrica, caratterizzati per oltre il 90% da mutazioni della proteina H3K27M. Colpiscono alcune strutture mediane del cervello e del tronco encefalico, in particolare il ponte, la parte del tronco encefalico che regola funzioni vitali come il respiro e l’attività cardiaca. Il termine “diffuso” fa riferimento alla loro aggressività, essendo capaci di invadere e infiltrare i tessuti in profondità. Nonostante gli sforzi della comunità scientifica, non esistono ancora trattamenti efficaci.

La proteina ROCK ha un ruolo centrale nella motilità cellulare e alcuni dati preliminari suggeriscono che la sua inibizione determini un aumento dell'invasività e della capacità metastatica del glioma. Giulia Pericoli è ricercatrice presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma: la sua ipotesi è che l'attivazione della “via di segnale” ROCK possa diminuire la capacità invasiva delle cellule del DMG. Il progetto sarà sostenuto per il 2023 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto GOLD for Kids e potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro le forme avanzate di questo tumore.

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Giulia, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«I gliomi diffusi della linea mediana H3K27-alterati sono tumori pediatrici del sistema nervoso centrale per i quali ancora non esiste una terapia efficace. Questi tumori sono molto invasivi e, nonostante l'aumento delle conoscenze sulla biologia di questi tumori, i meccanismi che regolano l’infiltrazione delle cellule tumorali nel cervello sono poco chiari».

Ci spiegavi il ruolo della proteina ROCK…

«La proteina ROCK ha un ruolo chiave nella regolazione della motilità cellulare ed evidenze preliminari suggeriscono che la sua inibizione porti a un aumento dell’invasione e della migrazione delle cellule di DMG. Sulla base di questo, l’ipotesi alla base del nostro progetto è che l'attivazione della proteina ROCK possa determinare una riduzione dell’invasione e della migrazione delle cellule di DMG. L’obiettivo di questo progetto è quello di individuare nuovi farmaci che abbiano la capacità di attivare ROCK e, allo stesso tempo, di inibire il processo invasivo di questi tumori».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Perché questi tumori sono altamente aggressivi e invasivi. Con la nostra ricerca speriamo di fare luce sul ruolo della proteina ROCK nel processo di invasione dei DMG: i risultati potrebbero portare all’identificazione di nuovi approcci terapeutici per i pazienti affetti da questi tumori».

Quali sono gli aspetti poco noti da approfondire?

«Questi tumori sono caratterizzati da un’elevata invasività e diffusione nel cervello, ma purtroppo si hanno ancora poche informazioni e conoscenze sui meccanismi che regolano questo comportamento».

Hai da poco concluso un’esperienza lavorativa all’estero: cosa ti ha lasciato?

«Mi ha arricchito tantissimo. Dal punto di vista professionale ho avuto modo di imparare nuove tecniche e nuovi modelli cellulari per lo studio della barriera ematoencefalica: li potrò applicare in futuro nei vari progetti nei quali sono coinvolta. Dal punto di vista personale, ho potuto dimostrare a me stessa di poter superare limiti difficili da affrontare».

Ti è mancata l’Italia?

«Sì, mi è mancata tantissimo. In particolare, mi sono mancati i miei affetti più cari e l’atmosfera di “casa”».

Ricordi il momento in cui hai capito che la tua strada era quella della scienza?

«La scienza mi ha sempre affascinato, fin dai banchi di scuola. Scienze era la mia materia preferita e capire e conoscere il perché delle cose mi ha sempre incuriosito. In particolare, la biologia e lo studio del corpo umano sono sempre stati una mia grande passione. Durante il tirocinio per lo svolgimento della tesi magistrale, ho avuto la conferma che la ricerca fosse la mia strada. Era la prima vera esperienza in un laboratorio di ricerca e ne sono rimasta entusiasta. Il percorso di dottorato poi, ha solo confermato questa mia grande passione».

C’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare?

«Ce ne sono due: la discussione della mia tesi di dottorato e la pubblicazione del mio primo articolo come ‘primo autore’. Sono state due emozioni grandissime che mi hanno dato grande soddisfazione e la convinzione di poter essere fiera di me!».

Come ti vedi fra dieci anni?

«Sicuramente mi vedo con addosso il camice di laboratorio, gli occhi rivolti al microscopio e - perché no - felice con il mio compagno e due o tre bambini».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Scoperta, futuro e speranza».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita?

«Non ce n’è una sola: mamma, papi e il mio compagno Matteo hanno avuto un ruolo chiave. Tutti e tre sono il mio più grande esempio di onestà, forza e resilienza, doti necessarie nella vita, ma anche nel nostro lavoro. Inoltre, con la loro presenza mi hanno dato sempre la carica per credere in ciò che facevo».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«Sinceramente non ci ho mai pensato. Probabilmente avrei fatto il medico: la mia scelta, comunque, non si sarebbe discostata poi tanto dalla biologia».

Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il senso che dà un significato alle tue giornate lavorative?

«Il senso profondo che mi spinge a fare e scegliere questo lavoro ogni giorno è sicuramente la voglia di cercare di migliorare, anche se in piccolo, il mondo. La ricerca è fondamentale per il progresso e l’innovazione, due condizioni essenziali per rendere il mondo un posto migliore. Un altro sentimento che mi sprona quotidianamente è il desiderio di dare nuove possibilità ai piccoli pazienti».

Cosa fai nel tempo libero?

«Faccio sport e mi piace fare passeggiate e ascoltare musica. Un altro mio grande hobby è disegnare, ma per questioni di tempo non mi ci dedico molto ultimamente».

Se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse di voler fare ricerca, come reagiresti?

«Sarei felicissima, ma vorrei che scegliesse la strada più giusta per lui o lei».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Non mi ricordo precisamente l’ultima volta. Mi capita spesso di commuovermi anche per piccole cose».

Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Mi piacerebbe andare in Islanda per vedere l’aurora boreale. È un sogno nel cassetto che prima o poi realizzerò!».

Sei soddisfatta della tua vita?

«Assolutamente sì! Ho raggiunto molti traguardi e molti altri mi aspettano».

Qual è la cosa che più ti fa arrabbiare?

«L’ipocrisia e la falsità».

Hai un ricordo a te caro di quando eri bambina?

«Ricorderò sempre la nascita di mio fratello Leonardo e di mia sorella Elisa. Non ero più una bambina, ma sono state due delle emozioni più grandi della mia vita».

Giulia, cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie! Per noi è fondamentale il vostro sostegno e sentire che credete in noi, nel nostro lavoro e impegno. Sappiate che noi facciamo quotidianamente del nostro meglio per ricambiare la vostra fiducia».

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