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Martina Morandi
pubblicato il 27-10-2023

Tumore ovarico: nuove strategie per superare la chemioresistenza



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Studiare il ruolo della proteina NKX3-2 nel rimodellamento del microambiente tumorale: la ricerca di Alessandra Ferraresi

Tumore ovarico: nuove strategie per superare la chemioresistenza

ll tumore ovarico rappresenta il 30% dei tumori ginecologici e si colloca al decimo posto tra tutte le neoplasie femminili: l'eterogeneità di questo tumore e la resistenza alla chemioterapia rappresentano oggi le principali sfide per la ricerca. Uno degli obiettivi è sviluppare una terapia personalizzata per il carcinoma ovarico, una strategia che però richiede l'identificazione di nuovi bersagli terapeutici. Tra le molecole in analisi è stata identificata la proteina NKX3-2, finora poco studiata nella biologia del cancro, che ha mostrato una correlazione con la chemioresistenza nei tumori ovarici.

Alessandra Ferraresi è ricercatrice presso l’Università del Piemonte Orientale di Novara dove studia proprio la proteina NKX3-2 nei tumori ovarici. Il progetto prevede l’impiego di strutture 3D multicellulari per valutare il contributo del microambiente tumorale (la zona intorno al tumore composta da tessuti, cellule, vasi sanguigni e varie molecole) nella risposta alla chemioterapia. ll progetto sarà sostenuto per tutto il 2024 da una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi nell’ambito del progetto Pink is Good, dedicato alla ricerca e alla cura dei tumori al femminile.

 

Alessandra, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Il progetto nasce dalla necessità clinica di identificare nuovi potenziali bersagli terapeutici per il trattamento del carcinoma ovarico, in particolare in quei soggetti che sviluppano resistenza alla terapia. La strada per migliorare la prognosi e la qualità di vita delle pazienti è ancora lunga, sono quindi necessari ulteriori sforzi per raggiungere questi obiettivi».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Per ampliare la conoscenza dei meccanismi molecolari alla base della chemioresistenza, con l’obiettivo di sviluppare strategie farmacologiche sempre più mirate».

Quali sono gli aspetti da studiare?

«NKX3-2 è una proteina finora nota per il suo coinvolgimento nel differenziamento delle cellule cartilaginee. Studi precedenti hanno evidenziato la sua capacità nel promuovere le metastasi e il differenziamento delle cellule immunitarie, anche se il suo ruolo nel cancro resta per lo più sconosciuto. Questo progetto si prefigge di studiare il ruolo di NKX3-2 nei meccanismi di chemioresistenza, un fenomeno alla base delle recidive post-terapia».

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Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?

«ll progetto si focalizzerà sullo studio delle interazioni tra le diverse componenti cellulari presenti all’interno della massa tumorale; questa, infatti, non è composta solamente da cellule tumorali, ma anche da cellule sane che, in condizioni patologiche, possono contribuire ad accentuare la malignità della neoplasia».

Quali prospettive apre per la salute umana?

«Le prospettive a lungo termine saranno quelle di sviluppare delle strategie terapeutiche che consentano di “riprogrammare” il microambiente tumorale e di agire in sinergia con i farmaci chemioterapici al fine di prevenire, o quantomeno ridurre, le recidive».

Alessandra, sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Sì, durante il dottorato ho svolto un breve soggiorno di ricerca negli Stati Uniti presso lo Stephenson Cancer Center all'Università dell’Oklahoma. Volevo mettermi alla prova in un laboratorio all’avanguardia nel campo della ricerca oncologica».

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

«Sono una persona molto curiosa e mi piace comprendere le ragioni che stanno dietro alle cose. Trovo che la ricerca sia molto stimolante sotto questo punto di vista: ti dà la possibilità di trovare le risposte a tante domande e allo stesso tempo di porne continuamente di nuove».

Come ti vedi tra dieci anni?

«Mi piacerebbe essere a capo di un gruppo di ricerca».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Il confronto costruttivo e la condivisione del sapere».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La precarietà e le difficoltà nel poter intraprendere una carriera accademica senza rinunciare alla famiglia e al tempo per sé stessi».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Passione per la conoscenza».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«A dire il vero non me lo sono mai chiesta. Mi sono appassionata alla scienza sin dalla scuola e ho sempre avuto l’ambizione di voler diventare una ricercatrice. Anche la letteratura mi ha sempre affascinato, quindi probabilmente avrei fatto l’insegnante».

Al di là dei contenuti scientifici, cosa ti spinge a fare ricerca?

«Il progresso della conoscenza per poter migliorare le prospettive di vita dei pazienti e contribuire al benessere della comunità».

In cosa, secondo te, può migliorare la comunità scientifica?

«La comunità scientifica dovrebbe indirizzarsi sempre di più verso un approccio integrato tra diverse competenze, dove ricercatori e medici facciano squadra e coinvolgano maggiormente i cittadini e in particolar modo i pazienti stessi, nella diffusione dei progressi della ricerca scientifica».

E da chi, invece, potrebbe essere aiutato il lavoro di chi fa scienza?

«La società e le figure governative dovrebbero investire di più e con una maggior continuità nella ricerca, al fine di favorire una maggiore stabilità lavorativa alla figura del ricercatore, ancora troppo precaria».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Penso che dopo la pandemia la percezione della scienza sia un po' cambiata e la sua importanza rivalutata. Tuttavia, penso che ci sia ancora molta strada da compiere per avvicinare la popolazione alla ricerca e promuovere una maggior fiducia nei confronti del progresso scientifico».

Alessandra, cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace viaggiare, leggo molto, prediligo i romanzi distopici o con ambientazione storica, e amo cucinare soprattutto i dolci. Mi piace molto la musica e ballare».

Se un giorno tuo figlio o tua figlia ti dicesse di voler fare ricerca, come reagiresti?

«Sarei molto felice di aver trasmesso la passione che ho per la ricerca, e orgogliosa di questa scelta. Supporterei il suo desiderio e cercherei di sostenere il suo percorso e le sue ambizioni così come la mia famiglia ha fatto con me».

Sei soddisfatta della tua vita?

«Sì, sono molto soddisfatta della mia vita perché ho avuto la fortuna di poter perseguire i miei sogni e le mie ambizioni».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Donare sostegno alla ricerca scientifica significa dare una speranza a chi è affetto da una patologia, farlo sentire meno solo e più ottimista verso il futuro. Nello specifico, ci tengo a ringraziare queste persone poiché il loro contributo è fondamentale nel supportare la crescita di noi giovani scienziati; concretamente rendono possibile la realizzazione dei progetti di ricerca necessari allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche, a beneficio della salute e della collettività».

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