Chiudi
Neuroscienze
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 19-07-2023

Hikikomori: l'isolamento d'estate pesa di più



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Aumentano le richieste d'aiuto nel periodo estivo per i ragazzi - 100.000 in Italia - che scelgono il ritiro sociale

Hikikomori: l'isolamento d'estate pesa di più

«È estate, gli altri escono e si divertono. Io non ne ho nessuna intenzione. Continuerò a restare chiuso in casa, anzi, blindato in camera mia, giorno e notte e magari pure invertendo le ore di sonno. Tanto, che importanza ha?». Marco ha sedici anni, ha terminato la terza superiore, ma per lui la fine della scuola non esiste, la cesura delle vacanze riguarda esclusivamente i suoi compagni. Per lui il tempo fluisce sempre uguale a se stesso. Non frequentava la scuola da una quarantina di giorni e ora, che è finita da un po’, non è cambiato nulla, anzi, la sua angoscia è solo aumentata. La sua percezione di essere diverso dagli altri è esponenzialmente cresciuta.

«Mi mancano da morire i tempi del Covid, mi sentivo più simile alle mie coetanee. Tutte esattamente come me, senza alcun contatto con il mondo esterno, solo il cellulare e il computer. Era bello quel periodo, rimpiango da morire la pandemia… gli altri conducevano una vita come la mia». Sofia ha 17 anni, un banco vuoto al liceo «finalmente - dice lei - ora che la scuola è serrata», ma da dentro, anche tra le mura domestiche, riemerge continuamente quel terribile senso di inadeguatezza.

 

COME FANTASMI

«Sono tante le storie di coloro che vivono un isolamento forzato» spiega Maria Pontillo, psicoterapeuta, dirigente Psicologo presso l’Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e professoressa a contratto presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Cioè una scelta obbligata, sofferta e faticosa che costringe ragazzi e pure bambini a sfuggire al confronto con il mondo esterno. È un chiudersi dentro, dettato da ragioni diverse, personalissime e variegate che hanno però in comune questa difficoltà enorme nell’aprirsi a ciò che sta fuori di loro. Sono quelli che, secondo un gergo tecnico di derivazione nipponica, definiamo “hikikomori”, almeno 100.000 casi nel nostro Paese, stando ai dati dell’Associazione Hikikomori Italia e con un’età media compresa tra i 15 e i 25 anni. Sono i ragazzi con ritiro sociale, trattati come fantasmi che scompaiono agli occhi della società».

Gli Adolescenti che non escono di casa. Non solo Hikikomori, questo il titolo del recente libro a quattro mani (Stefano Vicari, professore di Neuropsichiatria infantile presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e direttore dell’Unità di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, insieme a Maria Pontillo) per il Mulino editore che su questo fenomeno ha messo l’accento, illustrandone in maniera chiara la complessità.

Download

REGISTRATI

per scaricare o sfogliare il materiale

Infanzia e adolescenza

CONTENUTO PLUS

Contenuto
Plus

Sei già registrato? ACCEDI

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

IL RITIRO SOCIALE DEGLI HIKIKOMORI PUNTA DELL'ICEBERG

«Il ritiro sociale è letteralmente la punta di un iceberg - prosegue Pontillo - perché costituisce la manifestazione più eclatante di un disagio psicologico articolato e differenziato. Molte infatti sono le condizioni psicologiche possibili sottostanti. Talvolta è il sintomo più evidente della depressione, oppure può rappresentare la manifestazione dell’ansia da separazione, può essere un meccanismo evidente di uno stato di ansia o la difficoltà a interagire con gli altri nel caso dell’autismo. Numerosi sono i fattori che entrano in gioco: genetici, neurobiologici, legati al proprio temperamento, alle esperienze vissute in famiglia oppure con i coetanei. Ciò che emerge, prima di tutto, è proprio la necessità di considerare le variabili, moltissime, che entrano in gioco e determinato il ritiro sociale che non è una scelta piacevole, mai. Il comune denominatore è la sofferenza».

 

D'ESTATE L'ISOLAMENTO PESA DI PIÙ

Che un periodo dell’anno come l’estate acuisca il fenomeno non è affatto strano. «L’esperienza lo conferma tutti i giorni - afferma Pontillo - le richieste di aiuto sono moltissime, in costante aumento. Un grido doloroso di chi percepisce l’estate come un detonatore della propria inadeguatezza, del proprio sentirsi sempre più lontani dallo stile di vita dei coetanei. Il ritiro sociale fa a pugni con le belle giornate, la vita all’aria aperta degli altri, che diventano sempre più altri, insieme alle feste, alle vacanze e agli aperitivi. Inoltre il corpo, talvolta emaciato o deturpato da atti di autolesionismo, fenomeni che si possono sovrapporre e coesistere, è più difficile da nascondere». È come se il sole, accidenti a lui, risultasse un giudice severo, inappellabile che tutto evidenzia e sottolinea.

 

DUNQUE CHE FARE?

«La modalità di richiesta di aiuto più auspicabile, ma purtroppo anche meno frequente - spiega Pontillo - è quella che arriva da parte dei genitori che contattano lo specialista, il neuropsichiatra infantile o lo psicoterapeuta, con il consenso del ragazzo che soffre di isolamento sociale. La seconda possibilità è che il contatto con lo specialista avvenga senza il consenso del ragazzo. È fondamentale però che ci sia un coinvolgente dei familiari e del ragazzo stesso. Quando la situazione si presenta particolarmente ostica perché l’adolescente oppone resistenza si possono fare tentativi percepiti come meno invadenti: contatto via e-mail o Skype. L’obiettivo è quello di aiutare il ragazzo a familiarizzare con la figura dello psicoterapeuta, ottenere fiducia e creare un’alleanza. E tra i vari approcci possibili attualmente in uso, la psicoterapia cognitivo-comportamentale (Cognitive-Behavioral Therapy, CBT) raccoglie le maggiori prove di efficacia nel trattamento dei disturbi psicopatologici più frequentemente associati al ritiro sociale come disturbo d’ansia sociale, depressione, psicosi o autismo. L’obiettivo della psicoterapia cognitivo-comportamentale è quello di aiutare il ragazzo nel riconoscimento di rappresentazioni distorte e disfunzionali della sofferenza e delle limitazioni che essere provocano, ma soprattutto supportarlo nella sostituzione e integrazione con rappresentazioni e pensieri più in sintonia con la realtà». È dunque un percorso delicato, attento, fatto di rinforzi positivi, gratificazione, cadute e riprese, piccoli passi calibrati con lo scopo di tornare a guardare fuori e non avere paura del Sole.

Sostieni la ricerca scientifica d'eccellenza e il progresso delle scienze. Dona ora.

Dona ora per la ricerca contro i tumori

Dona ora per la ricerca contro i tumori

Sostieni la vita


Scegli la tua donazione

Importo che vuoi donare

Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina