Chiudi
Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 30-12-2014

La psicanalisi lascia un’impronta nel cervello



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Una ricerca americana mostra che la terapia della parola inventata da Freud cambia zone o circuiti cerebrali. “Esplosiva” prova che lo psichico diventa biologico, però solo con certe tecniche

La psicanalisi lascia un’impronta nel cervello

Il problema per i disturbi della psiche, versante psichiatria e versante psicologia, è sempre stato la mancanza di una ‘prova’ fisica: non una lastra, un esame del sangue, una tac a documentare quella diagnosi di depressione, di panico o d’ansia. E, nel settore delle terapie della parola, nebbia ancor più fitta sugli effettivi risultati. Per tanti una questione di fede: chi ci crede e chi non ne ha alcuna fiducia.

Ora una porta si schiude: una ricerca del Massachusetts General Hospital (Mgh) proverebbe che la psicanalisi lascia un’impronta biologica nella mente. Vale a dire cambiamenti nell’attività metabolica di una precisa zona del cervello “fotografata” con la Pet - e apparsa diversa - prima e dopo la cura di psicologia dinamica. La Pet, o tomografia a emissione di positroni, è una sofisticata tecnica di diagnostica per immagini che permette di ottenere informazioni sulle funzionalità dell’organo esaminato.

 

PREVEDIBILE L’ESITO

Addirittura, dalla ricerca sarebbe emerso un altro esito di straordinaria concretezza: dal controllo delle attività neuronali si può predire quale paziente trarrà vantaggio dalla psicoterapia e chi no, piantando lì le sedute, inconcluse.

Usiamo il condizionale perché nella scienza occorrono sempre altre prove e conferme e perché questo è uno studio-pilota che ha coinvolto appena 16 pazienti. Ma i risultati sono apparsi netti.

Chiediamo lumi al professor Massimo Biondi che è direttore del Dipartimento di Scienze psichiatriche ma anche di Medicina psicologica all’Università la Sapienza di Roma. «Esistono alcune decine di studi che dimostrano che la terapia psicologica ha dei correlati neurali, a livello dei circuiti e dei neurotrasmettitori cerebrali», esordisce. «Finora comunque queste evidenze di connessioni tra lo psichico e il biologico erano emerse per: 1) le tecniche di rilassamento; 2) la psicoterapia cognitivo-comportamentale. E adesso ecco che appare anche per la psicoterapia dinamica. E’ una cosa grande. Cambia tutta la prospettiva».

 

SEDUTE COME PASTIGLIE

La parola che si fa segnale neurochimico che cosa sposta? «Ebbene, la psicoterapia ora è come un farmaco. Purché fatta bene e in modo incisivo, sia ben chiaro. Come un farmaco tocca e cambia certe aree quali la corteccia orbitale, l’insula o il metabolismo del glucosio o del cortisolo».

Ma di psicoterapie e di (a volte sedicenti) psicoterapeuti ce n’è una giungla.

«E’ vero», concorda il professor Biondi, «ma solo per alcune forme di psicoterapia si è verificata l’efficacia con studi di controllo. Per altre tecniche no: per esempio, i fiori di Bach e l’omeopatia insieme con altre psicoterapie. Qui non c’è la provata efficacia scientifica. Il che però non equivale a dire che non “fanno niente”, forse non sono ancora stati fatti gli studi di controllo scientifico, un domani chissà… Certo, però, che tra due terapie una provata e l’altra no, si preferisce la prima».

A dire il vero non sempre, la fede può far molto nell’indirizzare verso rimedi “decantati” ma non verificati. A parte ciò, è il caso di chiarire che cosa si intende per psicologia dinamica.

«E’ basata sul concetto di conflitto, inconscio, blocco e più in generale sulle dinamiche psichiche sottostanti», spiega il professor Massimo Biondi. «Di base, fa riferimento alla teoria freudiana». Dunque, quella che comunemente chiamiamo terapia psicoanalitica, della durata di anni…

 

IL LETTINO ORA E’ PIU’ CORTO

«Non più», corregge Massimo Biondi. «Per soldi e tempo (quattro sedute alla settimana) è impraticabile per migliaia di persone. Oggi si è cambiata impostazione con trattamenti di uno-due anni e analisi meno profonde, meno ricche, indubbiamente, ma si punta a una capacità di adattamento, accanto all’indagine sul passato c’è una spinta a supporto del presente. Sì, è un’area tutta nuova».

E che ora starebbe ricevendo la consacrazione della prova biologica, l’impronta delle parole dette sul lettino o faccia a faccia col terapeuta stampata nei neuroni.

«Noi abbiamo fatto una psicoterapia di gruppo a 20 persone affette dal disturbo bipolare e si è visto che alla fine hanno avuto un beneficio psichico e contemporaneamente si è normalizzato il picco mattutino del cortisolo, che in questi pazienti è molto più alto appena svegli e comunque resta sfalsato per tutto il giorno».

Il cortisolo viene definito l’ormone dello stress. «In pochi mesi quelle 20 persone sono divenute più capaci di affrontare gli stress della vita».

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina