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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 04-05-2017

Tumori e diagnosi precoce: cos'è l'Iset e funziona davvero?



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Il test Iset realizzato dall’oncologa Patrizia Paterlini-Bréchot punta a scovare un tumore in fase precocissima. Ma i limiti sono ancora notevoli secondo l'immunologa Antonella Viola

Tumori e diagnosi precoce: cos'è l'Iset e funziona davvero?

«Lo dice lo stesso acronimo: Iset, isolamento delle cellule tumorali in base alla loro dimensione», spiega l’immunologa Antonella Viola, ordinario di patologia generale all’Università di Padova.

Che cos’è l’Iset?

«Si tratta di una tecnica che, attraverso un esame del sangue, individua le cellule cancerose circolanti nell’organismo. L’obiettivo è arrivare alla diagnosi in anticipo rispetto a quanto non si riesca a fare ricorrendo alle tecniche di diagnostica per immagine: come Tac, Pet e risonanza magnetica. Ma per il momento la tecnica ha un grande limite: quello di non essere in grado di identificare l’organo da cui derivano le potenziali cellule tumorali».

 

In che cosa le cellule tumorali si differenziano da quelle normalmente circolanti nel sangue?

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«Nella dimensione. Nel sangue delle persone sane, si ritrovano soltanto tre tipologie cellulari: i leucociti, gli eritrociti e le piastrine. Quando si ritrova una cellula più grande, che normalmente non dovrebbe esserci, è fondato il sospetto che segnali la presenza di un tumore già sviluppatosi. La cellula, essendo già in circolo, potrebbe dare inizio al processo di diffusione metastatica».

 

Quali risultati ha dato finora la ricerca delle cellule tumorali nel sangue?

«Molti laboratori stanno lavorando da anni sulla ricerca di cellule tumorali circolanti ed esistono almeno una quarantina di metodi diversi per l’identificazione di queste cellule. Il reale vantaggio di questo approccio rispetto agli altri è tutto da dimostrare. La maggior parte degli studi che lo supportano sono stati condotti in vitro o su modello animale, ma ci sono anche ricerche in cui è stato possibile scoprire le cellule tumorali nei pazienti. I dati, nello specifico, riguardano cellule neoplastiche polmonari, del colon-retto, della prostata, del seno, del pancreas, del fegato e del melanoma. I risultati, in linea teorica, in futuro potrebbero essere estesi a tutti i tumori. Ma al momento non esiste alcun trial clinico randomizzato che confronti la ricerca delle cellule tumorali nel sangue con gli iter diagnostici al momento in uso per le diverse neoplasie. Per questo motivo il sistema di isolamento di Iset non è considerato migliore dalla comunità scientifica rispetto agli altri disponibili. Il giudizio, dunque, è rimandato. Fino a quando non saranno noti i risultati del confronto, nessuno potrà sbilanciarsi sulla maggiore efficacia diagnostica dell’Iset».

 

Iset è in grado di dare indicazioni sull’organo colpito da un tumore?

«No, se utilizzato per diagnosi precoce in soggetti sani. E questo rappresenta il suo più grande limite. Una volta scoperta la positività di una persona a un test, occorre sottoporla a indagini non specifiche: Tac, Pet e risonanze magnetiche. Con la possibilità che, al termine delle stesse, non si riesca a giungere a una diagnosi precisa per le ridotte dimensioni del tumore».

 

Che differenza esiste tra l’approccio dell’Iset e l’analisi dei marcatori tumorali nel sangue?

«La ricerca di cellule tumorali è meno precisa rispetto alla diagnostica molecolare. Nel primo caso è come se si calasse una rete per verificare se qualcosa rimane impigliato tra le maglie. Per andare alla ricerca del Dna o dei microRna in circolo occorre invece sapere che cosa si sta cercando. A causa della grande variabilità individuale e della natura eterogenea del cancro, l’analisi dei microRna a scopo diagnostico in soggetti sani è ancora una sfida. Diverso è il discorso per la progressione, perché queste molecole sono strettamente associate alle diverse forme di tumore».

 

Per chi potrebbe essere utile sottoporsi a un test come l’Iset?

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«Non ci sono dati che indichino che Iset sia migliore di altri test per identificare le cellule tumorali circolanti. Detto questo, un primo livello di indagine chiama in causa i malati oncologici, al fine di cogliere quanto prima l’inizio di un processo di diffusione metastatica. Ma è pure quello che ritengo meno utile, dal momento che siamo di fronte a pazienti che sono controllati con una cadenza fissa: attraverso la diagnostica per immagine e il dosaggio dei marcatori tumorali. Forse, data la sua mancanza di selezione, potrebbe essere più utile per la diagnosi precoce in persone sane. Ma al momento non ci sono dati per supportare l’utilizzo di un simile approccio nella pratica clinica».

 

Esiste il rischio che un test simile porti a diagnosticare (e a trattare) tumori destinati a rimanere comunque silenti?

«Un rischio simile esiste, soprattutto nei confronti di quei tumori su cui è già vivo il dibattito in questo senso: mi riferisco a quelli della prostata e della tiroide. Detto ciò, ritengo che sia comunque utile individuare un tumore e decidere poi come procedere insieme ai propri medici».

 

Arriverà il giorno in cui un test come l’Iset potrà essere garantito a tutti dal Servizio Sanitario Nazionale?

«Vedo questo scenario al momento altamente improbabile. Ciò potrebbe accadere soltanto nel momento in cui si riuscisse a dimostrare che il metodo è più efficace di altri».

 

Sarà l’Iset a permetterci di sconfiggere il cancro?

«Come ribadito anche dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica, la partita si gioca ogni giorno e potrà essere vinta soltanto attraverso una perfetta sinergia tra le diverse parti in causa: la prevenzione, la ricerca scientifica, la diagnosi precoce e le nuove terapie. Non sarà dunque un singolo test diagnostico a farci fare la differenza. La ricerca ha i suoi tempi che vanno rispettati, per garantire ai pazienti approcci diagnostici e terapeutici validati. Chi non li rispetta, fa del male alla scienza e alla comunità».

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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