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Redazione
pubblicato il 21-09-2013

Tassare chi danneggia la propria salute?



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E' la proposta shock discussa da economisti alla Conferenza sulla longevitàdi Venezia. Ma si è proposto anche di calcolare la pensione dal fine vita, cioè di legare la durata dei contributi alla durata prevedibile dell'esistenza

Tassare chi danneggia la propria salute?

E’ la proposta shock discussa da economisti alla Conferenza sulla longevità di Venezia. Ma si è proposto anche di calcolare la pensione dal fine vita, cioè di legare la durata dei contributi alla durata prevedibile dell’esistenza

Un’aspettativa di vita che, negli ultimi 30 anni, è cresciuta di quattro ore al giorno per ogni giorno fa impressione. Infatti il totale del guadagno, per chi ha oggi 65 anni rispetto a chi li aveva nel 1980, è di ben 5 anni: una speranza di sopravvivere ancora per 20 anni anziché 15. Che si dilateranno a 30, si ipotizza, per i sessantacinquenni del 2050. Tutto questo, naturalmente, nel mondo dei paesi sviluppati.

Belle notizie, quelle ricordate dal professor Carlo A. Favero, docente di Economia finanziaria alla Università Bocconi di Milano, nella giornata di chiusura della Conferenza di Venezia sulla longevità. Ma, da economista, si è subito affrettato ad aggiungere che la longevità ha un prezzo. Quello, per esempio, che fa già traballare il sistema pensionistico nostro e non soltanto del nostro paese. Il sistema contributivo negli anni di piena attività è calcolato, infatti, sulla lunghezza attesa di età pensionabile. Così che quei contributi bastino a finanziare i successivi anni di pensione. Evidente che, se questi si allungano e non crescono nel contempo i tempi dell’età lavorativa, i fondi previdenziali non basteranno più.

SALVI GLI ULTIMI 20 ANNI - Che fare? Il professor Favero ha una ricetta: «La soluzione del problema sta nell’indicizzazione del sistema pensionistico alla longevità». Spiegato in modo più semplice: a fissare l’età della pensione si cominci dalla fine, cioè dal fine vita prevedibile, e si decida che si va in pensione negli ultimi, prevedibili, 20 anni di esistenza. Oggi va, dunque, bene l’alt a 65 anni, ma nel 2030 si dovrà lasciare il lavoro a 70 ed a 75 nel 2050.

«Certo, la garanzia della stabilità del sistema impone costi immediati a quanti si trovano nell’età attiva, aumentandone progressivamente il tempo di lavoro, mentre i vantaggi andranno alle generazioni future in quanto salvate dalla bancarotta». Non senza ironia, Carlo Favero ha osservato che i primi sono anche in età di voto e gli ancora non nati ovviamente no: e le riforme delle pensioni hanno bisogno di consenso per attuarsi….

LIMITI DIVERSI SECONDO I MESTIERI - Questo andare tutti in pensione a vent’anni dalla morte presumibile solleva la necessità di creare età eterogenee di pensionamento in base al potere usurante dei vari mestieri: «Perché fare il minatore oppure il professore universitario a 70 anni costituisce una bella differenza…».

Infine, il professor Favero sorprende l’uditorio introducendo l’ipotesi di tasse per chi “attenta” alla propria salute. «Forme di tassazione occulta», dice, perché poi i costi delle malattie ricadono sulla collettività. E cita un caso: i fumatori. Ma non solo: chiunque adotti uno stile di vita non corretto.

Per esempio gli obesi?, chiediamo, memori del recente caso di un immigrato di 130 chili cui la Nuova Zelanda ha minacciato l’espulsione a causa del suo alto rischio di ammalarsi. «Per l’appunto», conviene il professor Favero, «chi mangia male segue abitudini che riducono le aspettative di vita e di salute».

OCCHIO AL “MICRO” - Dal macro – l’economia almeno a livello nazionale – al micro. Così si presenta la professoressa Agar Brugiavini, docente di Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dichiarandosi interessata a esaminare diverse situazioni individuali nell’incrocio invecchiamento e pensioni.

Dapprima richiama l’attenzione su come i due elementi età produttiva-lavoro non sempre procedano di pari passo perché vari fatti possono interferire. Intanto, le istituzioni che in ogni paese decidono a priori questa o quell’età, più bassa o più alta, per l’abbandono dell’attività; altra interferenza possibile le condizioni di salute; infine, e più spesso per le donne, la situazione familiare: figli da crescere o genitori malati da curare. «Tutti elementi che rendono il pensionamento molto complesso», ha commentato la professoressa Brugiavini prima di passare a un secondo caso “micro”: gli anziani non autosufficienti. «Nei prossimi anni saranno in fortissima crescita, di pari passo con l’aumento della durata della vita. Come si potrà gestirli?».

E LA CURA DI FIGLI E ANZIANI? - La docente veneziana prospetta, dal punto di vista economico,  la necessità di una qualche specifica assicurazione – pubblica o privata – altrimenti i costi ricadrebbero di nuovo sulla collettività. E nei costi, nel “danno sociale” la Brugiavini inserisce il caso della figlia che, in età e capacità produttiva, deve lasciare il lavoro per occuparsi degli anziani di casa, a volte più d’uno tra genitori e suoceri.

Ma accade anche che le donne siano costrette a carriere discontinue per la nascita e la cura dei figli o altre emergenze domestiche e, di conseguenza, abbiano pensioni basse. A questa osservazione, la professoressa Brugiavini risponde che è un terzo caso “micro”, singolo, importante da considerare: «Bisogna studiare come si può programmare la vita lavorativa delle donne che tante volte stanno a casa definitivamente dopo  la nascita del secondo figlio oppure a un certo punto rientrano ma con salari ridotti: in ambedue  i casi le pensioni saranno insufficienti. Proprio per loro che così spesso vivono più a lungo degli uomini». Un paradosso che va risolto. Insieme agli altri casi “individuali” che, in una tendenza crescente, riportano al “macro”: l’economia che il governo è chiamato ad affrontare.

Serena Zoli


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