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Neuroscienze
Antonella Cremonese
pubblicato il 17-03-2014

SPECIALE INCHIESTA - Lo psichiatra è responsabile se un suo paziente dimesso uccide?



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- I malati di mente sono un pericolo sociale? - Il suicidio come uno straziante commiato

SPECIALE INCHIESTA - Lo psichiatra è responsabile se un suo paziente dimesso uccide?

I malati di mente sono un pericolo sociale?

Il suicidio come uno straziante commiato (di Leo Nahon, Direttore Psichiatria 3  Ospedale  Niguarda  Milano)                                                      

Quanto è prevedibile che una persona con disturbo mentale possa compiere un delitto? Ed esiste una responsabilità penale dello psichiatra?  Sono domande tragiche e non nuove, riproposte adesso da una pietosa vicenda successa a Montagnana, in provincia di Padova. Dimesso dall’ospedale dov’era stato curato per una ventina di giorni,un uomo di 81 anni affetto da una gravissima depressione ha ucciso la moglie e si è ucciso.

Era disperato, e non ce la faceva più ad assistere la moglie malata da dieci anni, colpita prima da un’ischemia cerebrale e poi da un tumore al polmone. Ora i due psichiatri che l’hanno dimesso sono indagati. Gli è stata imputata una condotta omissiva: autorizzando la dimissione, si sarebbero resi responsabili di omicidio colposo.

Dice lo psichiatra Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di Psichiatria: «La cosa cui oggi si presta molta attenzione è  l’individuazione dei fattori di rischio per gesti lesivi o autolesivi. Purtroppo questi fattori  non sono così precisi da poter costituire una linea-guida. Mettere sotto accusa gli psichiatri perché un paziente ha commesso un delitto è far compiere un passo indietro alla psichiatria, riportarla a quel puro e semplice “custodialismo” che ha prevalso fino all’epoca moderna.

La psichiatria è una disciplina medica: noi ci occupiamo della cura, e non della custodia. E’ nostro compito fare di tutto per prevenire le tragedie, e dobbiamo fare bene ciò che va fatto. Non possiamo però garantire il risultato, così come un cardiochirurgo ha il dovere di eseguire un intervento con la maggiore perizia, ma non può garantirne il successo.»

  

LA RIFORMA BASAGLIA

Un delitto commesso da una persona con disturbo mentale non trascina per forza con sé una svalutazione dell’operato del medico psichiatra che l’aveva in cura, ma l’attenzione della magistratura è giustamente sempre vigile. Per esaminare se non ci sono state negligenze, o carenze organizzative.  La stessa accusa fatta ora ai due psichiatri della bassa Padovana è stata rivolta negli anni a numerosi psichiatri, tra cui il notissimo professor Franco Basaglia, il «padre» della riforma psichiatrica che con la legge 180 del 1978 ha abolito i manicomi.

Nel 1968, Basaglia  era direttore dell’Ospedale psichiatrico di Gorizia e incominciava a sperimentare un nuovo tipo di psichiatria. Con il suo collaboratore Antonio Slavich fu rinviato a giudizio per l’uxoricidio commesso da un paziente al quale era stato dato un permesso di uscita. I due psichiatri, accusati di «cooperazione in omicidio colposo», furono assolti nel 1971.

 

OSPEDALI PSICHIATRICI

L’omicida, considerato «non imputabile per  vizio totale di mente», fu subito ricoverato in manicomio giudiziario, una di quelle strutture che poi hanno cambiato nome (si chiamano ora Opg, ospedali psichiatrici giudiziari), ma non hanno cambiato natura:  sono istituzioni totali, in cui sono ancora in largo uso tutti i mezzi di coercizione e di contenzione, e dove prevale la concezione custodialista . Il malato di mente, definito «socialmente pericoloso» resta separato dalla società a tempo indeterminato, perché non essendo imputabile non ha mai ricevuto una sentenza.

Ora alcune sentenze stanno gradatamente cambiando questa realtà, ma in genere  per chi è stato considerato «non imputabile» perché incapace d’intendere e di volere, rimane  il collegamento, quasi automatico, con la pericolosità sociale. Resterà in Opg a discrezione dei medici curanti, che per dimetterlo dovranno certificare che la pericolosità non c’è più. Gli ospedali psichiatrici giudiziari, che la commissione guidata da Ignazio Marino ha definito uno scandalo per la sporcizia e le condizioni inumane, dovevano essere chiusi ad aprile del 2013. Poi, di proroga in proroga (l’ultima è quella contenuta nel cosiddetto decreto «mille proroghe») la chiusura è slittata  al 2017, sempre che la data venga mantenuta. 

Un rinvìo che ha fatto tirare un respiro di sollievo a parecchia gente. A molti politici, perché temono una certa opinione pubblica che si è scagliata innumerevoli volte contro la chiusura dei manicomi  e che non ama l’idea di aprire le porte a soggetti con lo stigma della pericolosità sociale. A molti amministratori pubblici, amaramente consapevoli che non c’è quasi nulla di pronto per accogliere gli 890 malconci individui provenienti dagli OPG di Napoli, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino. E infine (se ci sono) alle famiglie dei poveretti, che temono di trovarsi il problema direttamente sulle spalle.


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