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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 28-03-2018

Tumore della tiroide: no all'intervento in 8 casi su 10



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In Italia l'incidenza del tumore della tiroide è tra le più alte al mondo. Ma non è vero che ci si ammala di più. Il nodo della sovradiagnosi

Tumore della tiroide: no all'intervento in 8 casi su 10

Ci si ammala sempre di più: le diagnosi sono aumentate in modo esponenziale, anche se è frequente il riscontro di casi innocui, che non andrebbero neppure trattati (quello che gli esperti chiamano sovradiagnosi). Ma si sopravvive pure nella quasi totalità dei casi. Può sembrare un paradosso quello che riguarda il tumore della tiroide, dietro il quale c'è però la risposta della scienza. La malattia, tra quelle oncologiche, è oggi una delle meno temute. Merito della diffusione a partire dagli anni '80 delle tecniche di imaging diagnostico - ecografia, tac e risonanza magnetica - che hanno rivoluzionato le procedure di identificazione della malattia. Ma grazie a queste opportunità, considerato anche il boom di diagnosi registrato in Italia negli ultimi vent'anni, s'avvicina il momento di rivedere le procedure diagnostiche nelle persone asintomatiche.


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UN'IMPENNATA DI CASI IN 30 ANNI

È questa la deduzione che si evince leggendo le conclusioni di un lavoro pubblicato sull'European Journal of Cancer in cui un gruppo di 34 ricercatori italiani ha fotografato il trend dell'incidenza (nuove diagnosi) di tumore della tiroide lungo la Penisola: dove si registrano numeri tra i più alti, a livello mondiale. Arco di tempo considerato: dal 1998 al 2002. Scopo dello studio: valutare l'impatto della sovradiagnosi del tumore della tiroide, di cui oggi si parla come di un’epidemia, le cui cause risultavano difficili da spiegare anche per gli specialisti. I ricercatori, guidati da Salvatore Vaccarella (epidemiologo dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) e da Luigino Dal Maso (epidemiologo del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano), hanno raccolto tutti i casi di malattia conteggiati dai registri tumori italiani, relativi ai pazienti con meno di 85 anni: dividendoli poi per sesso, periodo e caratteristiche istologiche della neoplasia. Da qui s'è ottenuta la conferma di quello che era un andamento emerso già anche in altri Paesi occidentali, come documentato in uno studio pubblicato nel 2016 sul New England Journal of Medicine.

IN ITALIA DIFFERENZE TRA I SESSI E SU BASE REGIONALE

In Italia l'incidenza del tumore della tiroide è cresciuta in maniera esponenziale: +74 per cento tra le donne (da 16,2 a 28,2 casi su centomila), +90 per cento tra gli uomini (da 5,3 a 10,1 su centomila). Il problema della sovradiagnosi s'è manifestato soprattutto per l'adenocarcinoma papillare (il più frequente, ha una prognosi a cinque anni favorevole nell’85 per cento dei casi), in entrambi i sessi: tanto nelle donne (in 3 casi su 4) quanto tra gli uomini. L'aumento delle diagnosi è stato particolarmente marcato tra le donne con meno di 55 anni, superando la quota dell'ottanta per cento. Differenze significative sono emerse anche a seconda delle regioni italiane: in Sicilia e in Campania la sovradiagnosi ha sfiorato in alcuni anni il novanta per cento dei casi. 


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LE CONSEGUENZE DELLA SOVRADIAGNOSI

Secondo gli esperti, la sovradiagnosi è dunque la causa principale dell’aumento dei casi di tumori tiroidei riscontrato negli ultimi tre decenni. I Paesi più colpiti da questo fenomeno, secondo Vaccarella, «sono stati gli Stati Uniti, l’Italia e la Francia». Quanto al nostro Paese, «quasi tre casi su quattro registrati negli ultimi vent'anni sarebbero la conseguenza di un eccesso diagnostico» che ha portato alla rilevazione di un gran numero di tumori indolenti e quasi mai letali: secondo gli scienziati riscontrabili nelle persone sane di ogni età. «La sovradiagnosi determina diverse conseguenze - commenta Vaccarella -. In primis il trattamento di piccoli tumori indolenti che non progredirebbero nel tempo: chirurgico (con l’asportazione della ghiandola e l'eventuale dissezione dei linfonodi, ndr) e radiometabolico, spesso accompagnato da una terapia ormonale sostitutiva. Ma non sono da sottovalutare nemmeno le conseguenze psicologiche per i pazienti e i costi che è chiamato a sostenere il servizio sanitario nazionale per il trattamento dei casi». 


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Di conseguenza, secondo gli esperti, «un attento monitoraggio può essere una soluzione preferibile per i pazienti affetti da tumori a basso rischio». Lo studio mette in guardia contro lo screening sistematico della ghiandola. «Il cancro della tiroide non deve fare paura - ribadisce Andrea Giustina, ordinario di endocrinologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presidente della Società Europea di Endocrinologia -. La prognosi è favorevole nella maggior parte dei casi, con un tasso di sopravvivenza a vent'anni del 90 per cento. Dopo il primo trattamento, meno di un paziente su cinque sviluppa recidive locali o a distanza». La crescita anomala delle cellule che compongono la tiroide può portare alla formazione di noduli, la maggior parte dei quali sono però benigni. Da un nodulo maligno può invece avere origine un adenocarcinoma, che nei primi stadi è quasi sempre asintomatico. Anche il gonfiore nella parte anteriore della gola e dei linfonodi, la raucedine, le difficoltà di deglutizione e respiratorie possono essere la spia di un tumore della tiroide.

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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