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Oncologia
Serena Zoli
pubblicato il 24-08-2023

Le ferite psichiche degli ex pazienti bambini



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Un'analisi di 52 studi rileva il rischio di disturbi psichici in chi ha avuto un tumore da bambino o adolescente. Importante curare la salute mentale, anche dopo la guarigione

Le ferite psichiche degli ex pazienti bambini

Bambini, adolescenti, giovani adulti che sopravvivono al cancro sono più esposti ad avere depressione, ansia e disturbi psicotici come la schizofrenia rispetto ai coetanei e fratelli che non hanno avuto tumori. Anche da adulti. Lo afferma uno studio pubblicato su Jama Pediatrics.

«Si sa bene che una diagnosi di cancro e il conseguente trattamento possono essere molto traumatizzanti per tutte le età, ma particolarmente per i bambini in anni formativi – ha scritto Ainsley Ryan Yan Bin Lee, dell’università di Singapore. – Individuare questi bambini e giovani a un più elevato rischio a causa di un prolungato disagio è fondamentale per facilitare interventi psicologici mirati e tempestivi».

 

I RISULTATI

La dottoressa Lee e i suoi colleghi hanno condotto una sistematica revisione di 52 studi pubblicati tra 2000 e 2022 che avevano misurato il rischio e/o la gravità di depressione, ansia, disturbi psicotici e morte per suicidio in bambini, adolescenti e giovani adulti sopravvissuti ad una patologia tumorale rispetto a coetanei e familiari che non avevano avuto questa malattia. Gli studi includevano sia pazienti ancora in terapia sia sopravvissuti al cancro. I primi non avevano più di 25 anni e i secondi non avevano 25 anni al momento della diagnosi. Sono stati osservate queste particolarità

    • il rischio di grave depressione o ansia era più alto (del 57 per cento) rispetto ai fratelli o ai controlli (persone di pari caratteristiche, ma senza l'esperienza della tumore) a prescindere dall’età del paziente al momento della diagnosi 
    • la gravità della depressione era elevata sia nei pazienti ancora in trattamento sia nei sopravvissuti
    • la gravità dell’ansia era elevata nei pazienti ancora in trattamento, ma non nei sopravvissuti
    • alcuni degli studi esaminati rilevavano un aumento di rischio di suicidio in alcune sottocategorie di persone, più marcato in chi aveva avuto una diagnosi tra i 15 e i 19 anni rispetto a chi aveva avuto una diagnosi da bambino.

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FATTORI DI RISCHIO E FATTORI DI DIFESA

I ricercatori hanno cercato di capire se ci fossero caratteristiche utili a identificare tipologie di persone più a rischio depressione o, al contrario, più protette. Parecchi studi hanno individuato significative associazioni tra:

  • più bassi livelli di scolarizzazione e aumentato rischio di disturbo mentale o suicidio;
  • peggiori condizioni economiche e aumentato rischio di depressione, ansia o di ambedue;
  • la presenza di un partner e un più basso rischio di depressione e ansia.

I ricercatori concludono sollecitando i politici e i professionisti della salute a essere consapevoli delle persone vulnerabili che possono sviluppare pesanti patologie psichiatriche in seguito a una diagnosi di cancro. 

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CURARE LA SALUTE PSICHICA, ANCHE DOPO LA GUARIGIONE

Dorella Scarponi è psichiatra e psiconcologa all’Unità operativa di Pediatria all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. A lei chiediamo di raccontare qual è la possibile storia psichiatrica di persone che hanno avuto il tumore da giovani o giovanissimi. «Intanto – dice - va presa in considerazione l’età di insorgenza della malattia, se nell’infanzia o nell’adolescenza. La percezione del dolore c’è comunque, ma nel secondo caso il ragazzo ha una vita relazionale più attiva, tende all’autonomia, più facile un presentarsi di disturbi da adulto. Fra i bambini, i tassi di guarigione superano l’80 per cento dei casi,  ma la scia disturbante può ripresentarsi da adolescenti o giovani adulti».

 

NEI PICCOLI DOMINA LA RABBIA

Prosegue Dorella Scarponi: «In linea generale il tumore può indurre ansia e depressione. L’ansia è la prima che si presenta, sia nei pazienti che nei genitori, ma nei più piccoli vince la rabbia. Man mano che ci si allontana dalla diagnosi questi sentimenti diminuiscono. Tuttavia per un quarto della popolazione clinica questa “guarigione psicorelazionale” non avviene, si verifica una sorta di incistamento del dolore psichico che ha l’aspetto del disturbo da stress post-traumatico (Ptsd). L’esperienza fisica non “digerita” resta attiva con i suoi sensi di persecuzione, di frammentazione del sé, in preda a una memoria drammatica che dà l’idea di essere sempre nel presente. L’esperienza passata non si è fatta storia, i ricordi tornano come se la malattia fosse sempre in atto».

 

IL CAMBIAMENTO POSITIVO 

«Per fortuna la maggior parte subisce un cambiamento positivo: ce l’ho fatta, sono forte, ho visto che ho una rete di persone che mi amano, posso sviluppare solidarietà verso un altro. Vivono un senso di gratitudine verso la vita. Ecco la resilienza verso cui tutti i medici e gli operatori lavorano. Resta che il 40 per cento dei guariti hanno disturbi del sonno («I sopravvissuti sono dei grandi insonni»), molti fin da bambini conoscono la fatigue, quel senso di affaticamento tipico di chi lotta con un tumore, che a volte continua anche dopo. I più piccoli possono avere, anche dopo la guarigione, disturbi della condotta, stentare a conservare un comportamento adattivo nel sociale. È che per tanto tempo vivono isolati, fuori dal contesto scolastico, e per i genitori è difficile dir loro dei no. Ma qualche no ci vuole».

 

LA MALATTIA UN BUCO VUOTO NELL’ESISTENZA

Spiega la dottoressa Scarponi: «Avere avuto il cancro da bambini e adolescenti significa avere un buco nella loro storia, un vuoto che nell’età adulta può predisporre al dolore cronico. Anche il Ptds può comparire molto avanti nel tempo, così altri quadri latenti tipo una angoscia fortissima per la paura che la malattia torni, come una spada di Damocle sulla testa. Alcuni, pur guariti, a causa della malattia non possono avere figli e questo impedisce la continuazione della storia, per parecchi è un dramma».

 

PARLARNE È IMPORTANTE

«Gli operatori sottolineano da tempo l'importanza di parlare con chiarezza della malattia, con parole e modalità adeguate anche ai bimbi piccoli – spiega Dorella Scarponi - perché in mancanza di verità vengono idee persecutorie. Pensano: sono due anni che non vedo i miei compagni, non vado a scuola, dunque avrò sbagliato qualcosa io. Infine, molti ex pazienti anche da grandi hanno paura a parlare della loro malattia, non lo dicono all’Università, non lo dicono al lavoro. È come se a parlarne si avesse timore che si riattualizzi. I sopravvissuti hanno tanti meccanismi di difesa. Tengono a bada la paura della morte. Queste paure possono tornare, vivide, a tradimento: se stai per sposarti, se si annuncia la nascita di un figlio… Possono aiutare cure farmacologiche con gli antidepressivi o altre terapie. Non per tutti, ma per tanti non è facile la vita del “dopo” una malattia così grave».

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