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Alcol e cancro: moderarsi, ridurre comunque o non bere?

Sapere per non rischiare è la scelta migliore. Nasce da qui la nuova campagna della Società Italiana di Alcologia, mirata a colmare il gap di consapevolezza nella prevenzione oncologica

Alcol e cancro: moderarsi, ridurre comunque o non bere?

«Le bevande alcoliche sono cancerogene per l’uomo». «L’alcol è una sostanza cancerogena come il fumo di tabacco». Di campagna “choc” hanno parlato quasi tutti i mass media generalisti, dopo aver visto il manifesto presentato nel corso dell’ultimo congresso della Società Italiana di Alcologia, già distribuito nei servizi di alcologia e in diffusione negli altri contesti di assistenza sanitaria: ambulatori, ospedali e studi dei medici di famiglia. Non lascia dubbi l’immagine utilizzata, analoga a quella usata in Inghilterra, con un tumore che cresce all’interno di un bicchiere riempito con una bevanda alcolica.

Lo stupore è evidentemente figlio della scarsa cultura che porta ancora a sottovalutare gli effetti dell’alcol sul nostro organismo e a non considerarli alla pari di quelli indotti dal fumo di sigaretta. Un errore commesso non soltanto dalla popolazione, ma anche da molti, troppi colleghi - principalmente nutrizionisti e cardiologi - che continuano ad affermare, pubblicamente e anche ai propri pazienti, che «un bicchiere al giorno fa bene al cuore» e che «bere moderatamente non fa male». Senza però mai aggiungere che, ammesso che possa mai realizzarsi una ricerca di popolazione in grado di dimostrare (nell’uomo e non in laboratorio o sui ratti) che dieci grammi di alcol assunti per anni possono ridurre il rischio di mortalità cardio-coronarica (giusto per parlare dell’effetto fatale), di diabete o di calcolosi della colecisti, la stessa non potrà che confermare ciò che già inequivocabilmente l’intera comunità scientifica ha già incontestabilmente registrato in maniera indipendente in tutto il mondo: «Non esistono quantità sicure di consumo di alcol e, superati i dieci grammi, si incrementa il rischio di morbilità, mortalità e disabilità di oltre 200 malattie e di 14 tipi di cancro tra cui, rilevante, quello della mammella nelle donne. Ha senso incoraggiare con tali evidenze il consumo pur moderato di alcol? È eticamente corretto? Sicuramente no. E neppure legale, se l’Alta Corte di Giustizia Europea ha sancito che nella comunicazione commerciale dei prodotti alcolici, il vino nel caso di specie, «non è consentito in Europa vantare proprietà salutistiche dell’alcol perché prodotto che nuoce alla salute», norma peraltro già contenuta nella legge 125 del 2001.


L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara espressamente che la ricerca di controllo consente di poter esprimere esclusivamente cautela quando ci riferisce ai messaggi da fornire alla popolazione e all’individuo e altrettanto chiaramente scrive e denuncia che non si può usare l’alcol come strumento di prevenzione. Qualunque sia il livello di consumo, dunque, “less is better”: meno è meglio è. E se si vuole fare prevenzione del cancro, non bere è la scelta migliore. L’etanolo e l’acetaldeide - un suo metabolita, rispetto a cui è più tossico - fanno infatti parte dei cancerogeni del gruppo 1: lo stesso che annovera 117 sostanze in grado di indurre lo sviluppo di un tumore nell'uomo, come l’amianto, la formaldeide, l’arsenico, il plutonio, l’aflatossina, le nitrosamine, i virus dell’epatite B e C, le radiazioni ionizzanti e il benzene. Raccomandare moderazione per l’alcol è come normalizzare la possibilità di sentirsi raccomandare il consumo di moderate quantità di arsenico, di prodotti della fissione nucleare, l’esposizione all’amianto o alle radiazioni. Cosa che dubito possa ritenersi accettabile, anche per l’evidenza di un potere enormemente più tossico e dannoso dell’alcol in termini di margine d’esposizione(MOE) rispetto ai principali cancerogeni conosciuti. Allo stato attuale, dunque, la società accetta o è costretta ad accettare dalle “regole” del mercato rischi di esposizione molto più elevati per l’esposizione all’alcol rispetto a quelli contrastati di altri meno temibili prodotti della famigerata tabella 1 dei cancerogeni. Il consumo di bevande alcoliche espone la popolazione - uomini e donne, giovani e non - a un rischio più alto di sviluppare almeno otto forme di cancro: della cavità orale, della faringe, della laringe, dell’esofago, del colon-retto, del pancreas, del fegato e soprattutto del seno. Altrettanto nota, almeno all’interno della comunità scientifica, è l’assenza di un valore di sicurezza al di sotto del quale questo rischio risulta azzerato. È per questo motivo che, nei mesi scorsi, nel Codice Europeo contro il Cancro pubblicato dallo IARC è stato affermato che «il consumo di qualunque quantità di alcol incrementa il rischio di sviluppare un tumore» e che comunque, se si vuole prevenire il cancro, «è meglio non bere».


«So what?», direbbero gli inglesi. Tutti hanno il dovere di comunicare correttamente il rischio del bere, a partire dalla classe medica, che in Italia chiede soltanto al 16% dei pazienti che frequentano i propri studi se si beve e fornisce nel 14% consigli su come diminuire il bere, per ridurre l’esposizione tra i consumatori a rischio e con consumo dannoso, malati a tutti gli effetti. è un'informazione che deve essere proposta tale e quale alle indicazioni del Codice Europeo e fatta circolare sui media, durante i telegiornali e le trasmissioni di intrattenimento gastronomico, culinario, di cultura alimentare e nutrizionale, allo stesso modo in cui è stata articolata, coinvolgendo le istituzioni sanitarie e quelle pubbliche e territoriali. Queste ultime non dovrebbero mai lasciarsi trascinare in eventi sponsorizzati dal mondo della produzione per un evidente conflitto tra quanti hanno interessi commerciali e chi ha ruoli di tutela della salute e interessi di salute pubblica. Anche questo è sancito dal Piano d’Azione Europeo sull’Alcol dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. La stessa informazione dovrebbe avere effetti sulle regolamentazioni e sulle pubblicità che continuano, in effrazione alle direttive comunitarie, a proporre il bere come caratterizzato da successo sessuale e sociale, oltre che propedeutico all'ottenimento di incrementate performance.


C’è responsabilità nell’omissione, una responsabilità che potrebbe anche esser fatta oggetto di azioni legali come già avviene per il fumo. L’Istituto Superiore di Sanità e la Relazione annuale al Parlamento del Ministro della Salute ribadiscono che i diciassettemila morti l’anno in ltalia per colpa dell’alcol sono per definizione integralmente evitabili. Un terzo circa delle morti causate dall’alcol è dovuta al cancro, un terzo all'incidentalità stradale e agli infortuni, anche domestici e nei luoghi di lavoro: evidenza dei due tipi di danno conseguente o a intossicazione acuta, come conseguenza del binge drinking giovanile (più di cinque bicchieri ingeriti in un arco di tempo ridotto) o al superamento quotidiano dei limiti stabiliti come a maggior rischio ed esitanti in pregiudizio cronico e danno dell’alcol sull’organismo. Oggi si calcola che i 32 grammi (tre bicchieri circa) di alcol consumati in media ogni giorno dai “drinkers”, i bevitori, in Europa sono causa di oltre 132mila nuovi cancri ogni anno.


Garantire scelte informate è pertanto un dovere e non un’opzione, richiamato dalle direttive comunitarie per la tutela del consumatore che ha diritto di sapere cosa sta consumando e di vederlo espresso anche in etichetta come dovrebbe essere garantito per le bevande alcoliche, le uniche non a caso esentate sinora dalla direttiva comunitaria sull’etichettatura dei prodotti di consumo alimentare. L’alcol - contenuto nel vino, nella birra e in tutti i prodotti alcolici - non è un alimento né un nutriente, ma è una molecola d’interesse nutrizionale proprio per l’impatto che può avere sull’organismo. Nella lunga e costante battaglia tra logiche che fanno prevalere disvalori economici e di mercato rispetto ai diritti di tutela della salute, sono indispensabili elementi di revisione degli approcci pubblici per contrastare modelli e culture che con il “bere” sociale non hanno nulla in comune ed evitare i costi sociali e sanitari (22 miliardi di euro) che l’alcol impone nelle tasche dei consumatori e di cui qualunque Governo potrebbe fare miglior uso per la prevenzione e il benessere.


Ai consumatori non resta che farsi furbi e non rischiare. Se si sceglie di bere lo si faccia per l’unica ragione plausibile, il piacere che determina, che è il fattore determinante per l’avvio di un alcoldipendenza ove ricorrano abitudini compulsive, ma mai per l’illusione confondente di poter giovare alla propria salute. Al netto di tutti i fattori esaminabili, positivi e negativi, l’esito è sempre dannoso alla salute e l’inganno dell’alcol non può essere legato ad una bassa consapevolezza e informazione. Saperne di più, come si dice, migliora e a volte salva la vita: più sai, meno rischi.


@scafato



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