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Alcol: l'era post Covid-19 e le sfide da affrontare

Dopo la «sbornia» nei lunghi mesi di chiusura, serve un cambio di passo per rafforzare la prevenzione nei confronti dei giovani e dei consumatori a rischio

Alcol: l'era post Covid-19 e le sfide da affrontare

Quante volte abbiamo letto sui giornali, sentito in televisione o letto sui social in questo troppo lungo periodo di pandemia da Coronavirus della crisi di tanti settori, tra i quali quello delle bevande alcoliche? E quante invece del rischio legato al consumo di alcol 


La pandemia ha cambiato molte abitudini, tra le altre anche gli acquisti su canali alternativi quali quelli di consegna a domicilio o di vendita online. Acquisti che, almeno per il settore delle bevande alcoliche, si stima abbiano conosciuto un’impennata nel 2020 tra il 181 e il 250% nell’«home delivery», con un aumento dei consumi domestici; di questo non si conosce il reale impatto diretto sul consumatore e indiretto sui conviventi, ma i servizi di alcologia e i dipartimenti per le dipendenze e salute mentale hanno registrato una crescita di difficile gestione funzionale, organizzativa, logistica per la scarsità delle risorse a disposizione e la pletora di richieste inevase per le norme che hanno impedito l’accesso a prestazioni e servizi in presenza per lunghi tempi in assenza di soluzioni digitali, mai prese in considerazione a parziale compensazione degli interventi ambulatoriali.  


Il rapporto ISTISAN 2021 esamina i dati disponibili all’anno precedente la pandemia, il 2019. Entro pochi mesi si potranno elaborare i dati 2020, che verranno resi disponibili non prima della metà dell’anno. L’analisi preliminare degli indicatori di rischio legati all’alcol e l’esperienza registrata nei servizi delineano uno scenario peggiorato anche rispetto a quello del 2019. Intossicazione o violenza domestica, perdita di controllo personale o maltrattamento al coniuge o ai minori sono solo alcuni dei fenomeni sociali per i quali, in Italia, in Europa e nel mondo, è concreta la percezione che l'alcol abbia rappresentato la sostanza psicoattiva di riferimento, di facile e legale disponibilità rispetto all'esigenza di allentare tensioni da ansia, insonnia, noia, repressione. Ed è plausibile, e spesso confermato dai fatti, che il periodo di crisi da disoccupazione forzata per milioni di persone (tra le quali molti giovani, mortificati nelle prospettive, vessati da datori di lavoro che, pur avendo ottenuto la cassa integrazione per i propri dipendenti li ha richiamati al lavoro obbligandoli a lavorare) e altre situazioni dettate da dinamiche lavorative e affettive (separazione tra persone bloccate in regioni differenti) possano aver trovato canalizzazione nell'uso dapprima euforizzante e poi anti depressivo ed estraniante della droga più diffusa ed usata al mondo: l'alcol. 


In tutta Europa è stata disseminata disinformazione sull’alcol attraverso vari mezzi di comunicazione e le principali fonti, tra le quali i produttori di bevande alcoliche, i giornali o le televisioni, i social. Messaggi che in piena epidemia hanno imposto un’attivazione tardiva da parte delle istituzioni nel contrasto alle fake-news diffuse da alcuni settori della produzione di bevande che si sono distinti per aver attuato la più massiccia disinformazione che ha spinto l'Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute in attività di svalorizzazione delle «bufale» che millantavano un’azione disinfettante, igienizzante, addirittura protettiva sul Sars- CoV-2 del vino, grappa, resveratrolo, per spingere a bere. Verificate le dinamiche internazionali disinformative in atto, è stata determinante l’alleanza strategica con l'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha prodotto, supportata dalle competenze tecnico-scientifiche del Centro Collaboratore per la ricerca sull’alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, una serie di rapporti e di infografiche per far aumentare la consapevolezza dei rischi dell’alcol nel debilitare il sistema immunitario, ma anche per fornire supporto alle problematiche in atto a coloro che in virtù del lockdown non hanno potuto ricevere supporto sanitario e sociale o interventi adeguati per risolvere nuovi e vecchi problemi legati al bere. 

Non esistono esperienze su modalità prefissate o linee guida da adottare per far fronte alla gestione della recrudescenza di disturbi da uso di alcol che impattano (e impatteranno) sui servizi, la società, le persone sull’identificazione precoce, diagnosi, terapia e riabilitazione, spesso in «compresenza» con altre problematiche comportamentali da distanziamento sociale/isolamento (fumo, gioco d’azzardo, scommesse, videogamesgiochi online, disturbi della nutrizione e dell’alimentazione e da sostanze illegali come la cannabis o altre droghe illegali). C'è l'urgenza di rinnovare i servizi sanitari, ridefinire i programmi, riorganizzare l'intero sistema di cura, che ha dimostrato di non essere preparato a gestire un’emergenza importante come la pandemia, che continuerà a gravare sulla società per molto tempo.  


L'Osservatorio Nazionale Alcol e il Centro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la promozione della salute e la ricerca sull'alcol dell'Istituto Superiore di Sanità, attraverso la rete di collaborazioni internazionali, sta partecipando e mettendo a disposizione dei decisori politici tutte le evidenze utili per rinnovate strategie, piani d’azione e prevenzione finalizzate a favorire nuovi modelli d’ingaggio, soprattutto digitale, telematico per quanti, in necessità di trattamento e a fronte dell’esigenza di un intervento urgente, possano giovarsi di colloqui motivazionali, chat dedicate alla promozione della salute, sensibilizzazione, identificazione precoce dei principali fattori di rischio, agli screening anche virtuali di popolazione, agli interventi e al trattamento, non esclusivamente farmacologico, dei disturbi da uso di alcol.

Il day-after della pandemia non lascia prevedere il raggiungimento dei target prefissati dalle strategie legate agli Obiettivi di Salute Sostenibile dell’Agenda 2030. L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha dimostrato inoltre che tali obiettivi sono stati contrastati dall’industria che oggi è ammessa ai tavoli di lavoro internazionali riguardanti la tutela della salute non più come partner, ma come interlocutrice. Una modifica radicale segnalata a tutti gli Stati Membri che stabilisce che la prevenzione è appannaggio esclusivo delle istituzioni vocate alla salute. Il medio-lungo periodo non potrà non richiedere un ulteriore e più convinto impegno nel soddisfare l’esigenza crescente di azioni incisive per la lotta alle disuguaglianze, anche considerato e verificato che le povertà, vecchie e nuove, sono strettamente legate a una maggiore frequenza di disturbi da uso di alcol tra le persone vulnerabili e socialmente svantaggiate, gravate da un più elevato carico di malattia e di mortalità prematura dei meno abbienti e da un più limitato accesso ai servizi sanitari o a cure che prevedano un impegno economico non sostenibile in funzione del basso  reddito.  


Le consultazioni mondiali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno confermato la necessità di accelerare sulle strategie di contrasto ai rischi e ai danni causati dall’alcol e sollecitano la necessità di rafforzamento delle azioni e delle politiche internazionali, europee e nazionali da dedicare al trattamento dei disturbi da uso di alcol. Ma anche e soprattutto alla loro prevenzione, attraverso la riduzione del consumo medio pro-capite e almeno del dieci per cento dei consumatori a rischio (specie di minori, giovani, donne e anziani). OLtre all’incremento di misure, regolamentazioni, interventi volti a contrastare, sul target giovanile (in particolare nei contesti scolastici), la pervasività di messaggi e azioni confondenti (il «bere responsabile» o l'«educazione al bere» a cui preferire l’educazione alla salute); limitare la disponibilità delle bevande alcoliche; attuare più rigorose politiche di controllo della pubblicità e comunicazione commerciale degli alcolici e una politica dei prezzi che possa contribuire a non rendere conveniente l’acquisto di alcol (happy hour, promozioni di bevande alcoliche), specie in un periodo ancora non terminato di pandemia in cui non bere alcolici dovrebbe essere il consiglio di buon senso da diffondere.


Un recente rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità dimostra che tali politiche possono essere efficienti e, allo stesso tempo, giovare alla salute: gli argomenti che affermano che le politiche che riducono il consumo danneggiano l'economia e portano alla perdita di posti di lavoro, non sono coerenti con le evidenze. Le scelte sono politiche, ma un’azione mirata a far crescere la consapevolezza nei consumatori dei rischi e dei danni che l’uso di alcol comporta è imprescindibile, tenendo conto che è già verificato che la propensione all’acquisto del consumatore è l’elemento chiaro di scelta già da anni riorientato anche verso ulteriori e variegati beni di consumo: come il fitness, la cura della persona, l’alimentazione, i viaggi, e la musica. Tutte alternative più salutari, che contribuiscono a una cultura da supportare nell’interesse di tutti. 




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