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C'era una volta, 100 milioni di anni fa, la malaria

Miete centinaia di migliaia di vittime ogni anno. Come le zanzare, la malaria ci accompagna da molto, molto tempo

C'era una volta, 100 milioni di anni fa, la malaria

Durante le vacanze c’è chi ha avuto il desiderio e la fortuna di viaggiare, talvolta in territori che comportano qualche rischio in più per la nostra salute. Si tratta spesso di luoghi straordinari, dal punto di vista naturalistico, artistico, culturale e umano, ma che richiedono qualche accortezza in più. Soprattutto quando massiccia è la presenza delle zanzare.

nella foto: Luigi Torelli, Carta della malaria dell’Italia (Firenze 1882), fonte Wikimedia Commons

LE ZANZARE E LA MALARIA

Che le zanzare (insieme all’essere umano) siano gli animali più letali del pianeta è stranoto. Alcune specie sono infatti responsabili della diffusione di patologie che vanno dalla Dengue alla febbre gialla, dall’encefalite giapponese fino alla malaria. Secondo le stime dell’ultimo World malaria report, ossia il dato più recente disponibile, nel 2020 ci sono stati 241 milioni di casi di malaria e 627.000 morti, 14 milioni di casi in più e 69.000 morti in eccesso rispetto al 2019, in parte attribuibili anche ai disservizi nell’assistenza sanitaria causati dalla pandemia. Una piaga dunque che colpisce l’umanità, soprattutto in determinate aree del pianeta, Africa in primis. Nei paesi dell’Africa subsahariana si registrano infatti il 95 per cento dei casi di contagio e il 96 per cento di tutte le morti del 2020. L’80 per cento dei decessi riguarda bambini da 0 a 5 anni di età.

UNA STORIA ANTICA, ANZI ANTICHISSIMA

La malaria risale ad almeno cento milioni di anni fa. Secondo uno studio pubblicato all’inizio del 2019 su Historical Biology dai ricercatori statunitensi dell’Università della California di Davis e Berkeley e dell'Oregon State University di Corvallis, le zanzare anopheles che veicolano la malattia erano presenti fin d’allora. Una specie di zanzara preistorica, Priscoculex burmanicus, è stata infatti rinvenuta in un campione di ambra cristallizzata trovato in una grotta del Myanmar e risente al Cretaceo centrale. Diverse caratteristiche, comprese quelle relative a vene, proboscide, antenne e addome, indicano che Priscoculex sarebbe l’antenata della zanzara anofele. Secondo George Poinar Jr., dell’Oregon State University's College of Science e direttore della ricerca, la malaria potrebbe aver contribuito all’estinzione dei dinosauri circa 65 milioni anni fa. In quel periodo si sono sì verificati, secondo lo scienziato, eventi catastrofici come la caduta di asteroidi, cambiamenti climatici ed eruzioni di lava; ma è anche vero che i dinosauri si sono estinti lentamente nel corso di migliaia di anni, il che suggerisce che abbiano contribuito altri fattori. Insetti, patogeni microbici come la malaria e altre malattie che colpiscono i vertebrati stavano emergendo proprio in quel periodo. Si ipotizza, addirittura, che Anophelinae potrebbero aver avuto origine persino nel Gondwana, il supercontinente esistito per circa 370 milioni di anni, approssimativamente da 660 a 290 milioni di anni fa.

DAI TESTI SUMERICI A IPPOCRATE FINO AI ROMANI

«I sintomi della malaria, come febbre accompagnata brividi, mal di testa, mal di schiena, sudorazione profusa, dolori muscolari, nausea, vomito, diarrea, tosse, aumento delle dimensioni della milza», spiega Antonella Castagna, primario di Malattie Infettive all’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Malattie Infettive all’Università Vita-Salute San Raffaele, «venivano regolarmente menzionati in manoscritti antichi, a cominciare dagli scritti cinesi del Nei Ching, il canone cinese di medicina risalente al 2700 a.C. Ma anche testi precedenti come quelli di Sumeri ed Egizi (3500-4000 anni fa) riportavano casi di febbre e ingrandimento della milza e vere e proprie epidemie di febbre mortale. Nell’antica Grecia la malattia era stata accuratamente descritta da Ippocrate con una precisa distinzione tra febbri intermittenti, terzane e quartane (ogni tre o quattro giorni)». Anche la relazione tra malattia, ambiente e presenza di insetti pericolosi era stata da lui ampiamente indicata. Basti pensare alla derivazione del termine stesso per definire questa patologia: “mal aria". Secondo la medicina ippocratica, febbri remittenti e intermittenti erano causate dall'aria cattiva (mal'aria) e dall'acqua putrida delle paludi, che producevano miasmi in grado di colpire coloro che vivevano intorno a queste aree a rischio. Anche nell’antica Roma la malaria, denominata non a caso “febbre palustre”, era associata alla presenza di paludi. Marco Terenzio Varrone, nel De re rustica, segnalava il pericolo del vivere nei pressi delle paludi.

LA MALARIA IN EPOCA MODERNA

«La scoperta del plasmodio della malaria (di cui esistono diverse specie) la si deve», prosegue Castagna, «a Charles Louis Alphonse Laveran, medico dell’armata francese che per primo, nel 1880, lo riconobbe nel sangue di un paziente a Constantine, in Algeria. Molti sono poi stati gli scienziati italiani che hanno studiato a fondo la malaria. Ettore Marchiafava e Angelo Celli approfondirono le osservazioni di Laveran, descrivendo gli stadi di sviluppo del parassita nell’uomo e furono proprio loro a dare il nome di Plasmodium Falciparum al protozoo. Camillo Golgi negli anni 1895-96 dimostrò la relazione tra il ciclico sviluppo del plasmodio nel sangue e le caratteristiche periodiche febbri. Nel 1902 Ronald Ross fu premiato con il Nobel per la scoperta del meccanismo di trasmissione della malaria (da zanzara ad uomo). A Ross si deve la prima descrizione del ciclo del plasmodio degli uccelli, trasmesso dalle zanzare del genere Culex. Sebbene Ross avesse compreso anche il meccanismo di trasmissione della malaria umana, furono altri italiani, Giovanni Battista Grassi, Amico Bignami e Giuseppe Bastianelli a dimostrare che solo la zanzara del genere Anopheles poteva trasmettere i parassiti della malaria all’uomo. A questi scienziati si deva anche la scoperta del Plasmodium falciparum, quello più pericoloso e che miete più vittime, soprattutto nell’Africa subsahariana».

ANCHE I TENTATIVI DI CURA RISALGONO A TEMPI REMOTI

«Nel 340 le proprietà antifebbrili della pianta del Qinghao (Artemisia annua) furono descritte dall’alchimista cinese, Ge Hong, della dinastia Yin», spiega Castagna, «Il principio attivo, l’artemesinina, venne identificato soltanto nel 1971 in Cina. Successivamente, nel 1979 vennero pubblicati i risultati delle prime sperimentazione nell’uomo e da allora sono stati estratti molti derivati, che costituiscono oggi la più efficace arma nella cura della malaria. Un altro rimedio fondamentale per la cura della malaria fu il chinino. Sappiamo che, nel corso del XVII secolo, i nativi peruviani fecero conoscere ai coloni spagnoli e in particolare ai missionari gesuiti, l’utilizzo della corteccia dell’albero della Chincona come rimedio per la cura delle febbri. In particolare, il primo scritto che ne indica le virtù curative risale al 1630. Secondo una leggenda, fu proprio con questa corteccia che venne curata la Contessa di Chincòn e moglie del vicerè del Perù, Señora Ana de Osorio. Da qui la derivazione del nome: corteccia del Perù e l’albero Cinchona (Cinchona officinalis). In Europa i primi a studiare e utilizzare l’estratto della corteccia furono i gesuiti e in particolare Barnabé de Cobo, che la portò in Europa nel 1632, e Juan de Lugo, che per primo ne utilizzò la tintura. La sostanza attiva, il chinino, venne estratta dai farmacisti francesi Joseph Pelletier e Joseph Caventou nel 1817. I due studiosi rifiutarono compensi e, invece di brevettare la loro scoperta, ne pubblicarono il processo di estrazione». Il chinino è stato per molti anni uno dei più efficaci rimedi contro la malaria.

E OGGI? CONSIGLI PER IL VIAGGIATORE

«Nel 2020, EuroTravNet, network della International Society of Travel Medicine», prosegue Castagna, «ha riportato i dati del ventennio 1998-2018 sulla sorveglianza dei viaggiatori che si sono rivolti a un centro EuroTravNet per un problema di salute comparso dopo un viaggio recente. Si è trattato di 92.500 persone e di 111.784 diagnosi. Tra le più numerose, la “diarrea del viaggiatore”, seguita da sindromi virali con o senza eruzioni cutanee, e malaria da Plasmodium falciparum. Ecco perché è cosi importante organizzare il proprio viaggio in area endemica con una valutazione accurata dei rischi e nei tempi corretti per programmare eventuali vaccinazioni e la profilassi antimalarica. Inoltre, bisogna ricordare che, di fronte ad ogni episodio febbrile comparso in coloro che hanno soggiornato nei 3-4 mesi precedenti in aree endemiche, la malaria è la prima patologia da escludere. La diagnosi è semplice e una diagnosi tempestiva e precoce costituisce l’elemento chiave nel ridurre il rischio di una malaria grave e ridurre drasticamente la mortalità. Abbiamo farmaci efficaci per la terapia della malaria da P. falciparum, anche nelle forme sostenute da plasmodi clorochino-resistenti, fenomeno diffuso nella quasi totalità dell’Africa sub-sahariana, buona parte del Sud-Est Asiatico e gran parte dell’Amazzonia, cosi come nelle forme meflochino-resistenti, presenti in alcune aree della penisola indocinese e in alcune zone dell’ Africa Sub-sahariana, e disponiamo di schemi terapeutici di combinazione consolidati anche nel trattamento ospedaliero delle forme più gravi». Importante, anzi fondamentale, resta sempre, come ben sanno i viaggiatori che frequentano aree endemiche, l’utilizzo di mezzi di barriera: abiti chiari (i colori scuri attirano maggiormente le zanzare) a maniche e pantaloni lunghi), zanzariere (è bene averne con sé una portatile) e l’utilizzo di spray insetticidi, soprattutto all’alba e al tramonto.

VIVERE IN AREE A RISCHIO

Molto più complesso e importante è ovviamente il tema della prevenzione della malaria per chi abita in zone a rischio. «Per riassumerlo in maniera chiara», conclude la professoressa, «si può farlo attraverso i principi ABCDE rivisti da OMS nel 2018. A ( consapevolezza del rischio), B (prevenzione della puntura: il corretto uso degli insetticidi ha ridotto del 46% i casi di malaria rispetto agli anni 2000), C (chemio-profilassi), D (diagnosi), E (trattamento presuntivo di emergenza). Ad oggi sono purtroppo ancora pochi nel sud del mondo i paesi che sono stati certificati da OMS come paesi malaria-free (0 casi per 3 anni consecutivi): Emirati Arabi, Marocco, Turkmenistan, Armenia, Sri Lanka, Kyrgystan, Paraguay, Uzbekistan, Algeria, Argentina e El Salvador.

VACCINI E TERAPIE: A CHE PUNTO SIAMO

«La strada del vaccino antimalarico è complessa e tortuosa, il traguardo è ancora lontano ma vi è una data sicuramente da ricordare: il 6 ottobre 2021, in piena pandemia da Covid- 19 OMS ha dato il via libera definitivo all’utilizzo del vaccino RTS,S/AS01 (Mosquirix, prodotto da GlaxoSmithkline) nei bambini di età inferiore ai 5 anni che vivono in aree a endemia moderata e elevata. E’ un vaccino ricombinante composto dalla proteina circumsporozoita del Plasmodium falciparum e combinato con antigeni di superficie dell'epatite B, somministrato per via intramuscolare in tre dosi ad intervalli di un mese l’una dall’altra, con un richiamo a 18 mesi dall’ultima somministrazione. La decisione di OMS si basa sui risultati del programma pilota iniziato in tre paesi dell’Africa Sub-sahariana, Ghana, Kenya e Malawi, che ha coinvolto oltre 800.000 bambini: il vaccino RTS-S è sicuro, non fornisce una protezione completa, ma riduce il rischio di malaria del 39% e il rischio di malaria complicata del 29% . Molto incoraggianti sono inoltre i risultati dello studio pubblicato poche settimane fa sul New England Journal of Medicine, condotto nel Sahel a partire dal 2016 in oltre 6.800 bambini di età compresa tra 5 e 17 mesi. L’utilizzo del vaccino combinato con l’uso della chemioprofilassi e delle zanzariere ha portato a una riduzione di oltre il 60% del rischio di ospedalizzazione e di morte per malaria. La vaccinazione potrebbe prevenire ogni anno milioni di casi e molte migliaia di decessi nei bambini». Imprescindibile e fondamentale dunque sempre l’utilizzo delle zanzariere (impregnate di repellente). Molte sono le campagne di sensibilizzazione per la distribuzione e il loro uso corretto (da parte di ONG, tramite progetti locali, alcuni governi africani e non).



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