Glossario delle malattie




Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

Spondilite anchilosante

Spondilite anchilosante
 

CHE COS’È

La spondilite anchilosante (SA) è una malattia infiammatoria cronica sistemica che colpisce primariamente lo scheletro assiale (colonna cervicale, dorsale, lombare e articolazioni sacro-iliache), ma anche le articolazioni periferiche (per esempio l’anca e la spalla), conducendo alla fibrosi progressiva e ossificazione (anchilosi) delle strutture coinvolte.

La spondilite anchilosante rientra nella categoria delle spondiloartriti, di cui rappresenta la forma più frequente e paradigmatica. La prevalenza della malattia è molto variabile a seconda delle zone geografiche: nella popolazione bianca sembra essere di circa 0.25-1% con picchi fino al 2% nei paesi scandinavi e nell’America del Nord (Stati Uniti e Canada), mentre la malattia è rara nella popolazione nera e nei Giapponesi.

La malattia è più rappresentata nel sesso maschile (rapporto maschi/femmine 2:1). Età di esordio è compresa tra i 16 e i 40 anni con un picco di esordio intorno ai 26 anni. Oltre a comportare dolore, il processo infiammatorio è responsabile della rigidità e della limitazione funzionale. In un terzo circa dei casi le alterazioni possono essere altamente invalidanti fino al quadro di anchilosi completa del rachide (colonna “a canna di bambù”), da qui la definizione di “anchilosante”.

 

CAUSE E FATTORI DI RISCHIO

Le cause della spondiloartrite anchilosante non sono note. Si sa, però, che la spondilite anchilosante presenta una significativa aggregazione familiare ed una stretta associazione con l’antigene di istocompatibilià HLA B27 (associazione presente nel 90-95% dei casi). Ci sarebbe, quindi, un terreno genetico predisponente sul quale agirebbe un fattore ambientale (probabilmente infettivo) responsabile dell’innesco del processo infiammatorio.

Download

REGISTRATI

per scaricare o sfogliare il materiale

Speciale Terza Età

CONTENUTO PLUS

Contenuto
Plus

Sei già registrato? ACCEDI

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

 

SINTOMI

Il più precoce e tipico sintomo è la lombalgia infiammatoria (prima manifestazione nel 75% dei casi). Si tratta di un dolore in sede lombo-sacrale ad esordio insidioso, presente da più di tre mesi, che può estendersi successivamente ad altri segmenti (rachide dorsale e cervicale). Il dolore si associa a rigidità mattutina di almeno trenta minuti, tende a migliorare con l’esercizio fisico, ma non con il riposo.

Il dolore è spesso così forte da costringere il paziente al risveglio nella seconda metà della notte. Può essere presente anche un dolore gluteo alternante (tra il lato destro e quello sinistro), ad irradiazione posteriore alla coscia, tipo sciatica, che non scende però sotto il ginocchio (sciatica mozza). Il coinvolgimento del rachide è spesso “ascendente”, colpisce cioè prima i distretti inferiori per poi diffondersi verso l’alto al tratto dorsale e cervicale.

Il dolore e la rigidità sono dovuti, in fase iniziale, all’infiammazione delle articolazioni sacro-iliache (sacro-ileite) ed all’infiammazione delle strutture legamentose delle ossa del bacino, delle entesi vertebrali e articolazioni interapofisarie, discovertebrali e costo vertebrali (spondilite). In questa prima fase la limitazione funzionale e le alterazioni posturali possono essere, almeno in parte recuperabili. Nelle fasi più avanzate la rigidità è dovuta all’anchilosi ossea vertebrale irreversibile. Progressivamente se non adeguatamente trattata, l’intera colonna diviene rigida ed il paziente perde la normale postura assumendo il tipico incurvamento della colonna, caratteristico della spondilite anchilosante.

Nelle fasi più avanzate, tali alterazioni conducono ad una posizione flessa che limita il campo visivo (i pazienti non possono guardare il cielo). Nelle fasi tardive, inoltre, il dolore e la rigidità mattutina legate all’infiammazione tendono a ridursi mentre persiste la limitazione funzionale e la rigidità legate all’anchilosi. Tra le altre manifestazioni della malattia, l’interessamento delle inserzioni tendinee e ligamentose dell’osso (entesiti) anche in distretti extrarachidei. Tra le sedi più colpite l’inserzione del tendine d’Achille, della fascia plantare al calcagno, le giunzioni costo-sternali, le creste iliache.

In un terzo dei pazienti può verificarsi dolore e gonfiore (artrite) delle articolazioni periferiche (anca, spalla, caviglia, ginocchio). La spondilite anchilosante si manifesta anche con alcuni sintomi extrarticolari: malattie infiammatorie intestinali, uveiti anteriori, sindrome della cauda equina (si ha la perdita della funzione del plesso lombare conseguente alla lesione delle radici dei nervi spinali). Il coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare nella malattia è relativamente raro (aortite scendente, dilatazione dell’anello aortico, insufficienza aortica, anormalità nella conduzione cardiaca, disfunzione micardica e pericardite). Ancor più raro è il coinvolgimento polmonare (fibrosi dei lobi superiori).

La riduzione dell’espansibilità toracica può condurre ad insufficienza respiratoria restrittiva. Sintomi sistemici come febbricola, stanchezza, riduzione dell’appetito e perdita di peso rappresentano altre manifestazioni della spondiloartrite anchilosante, presenti nelle fasi precoci di malattia. Spesso la stanchezza è un sintomo dominante ed è correlato all’attività di malattia.

 

DIAGNOSI

La diagnosi di spondilite anchilosante si basa su un attento esame clinico e sull’esame fisico del paziente. Non esistono indagini bioumorali specifiche per la diagnosi e il monitoraggio della SA. Nel 75% dei pazienti è presente aumento degli indici di infiammazione (VES e PCR).

La tipizzazione tessutale per la dimostrazione dell’HLA-B27 è molto utile quando c’è il sospetto di una spondiloartrite sieronegativa ma la sua positività non è sinonimo di malattia, così come la sua assenza non la esclude del tutto. In presenza di una lombalgia infiammatoria cronica, la radiografia tradizionale del bacino e della colonna rimane l’esame di primo livello da eseguire, nonostante le alterazioni spondilitiche diventino radiologicamente visibili solo dopo mesi o anni dall’esordio clinico e questo può rendere tardiva la diagnosi. Per una diagnosi precoce, è sicuramente più utile la risonanza magnetica nucleare (Rmn), poiché è in grado di evidenziare l’infiammazione a carico delle articolazioni sacroiliache (edema osseo) e della colonna nelle fasi iniziali della malattia.

 

TERAPIA

Il trattamento della spondilite anchilosante dovrebbe essere impostato in ciascun paziente sulla base delle manifestazioni della malattia, sul grado di attività e di infiammazione nonché sulla tendenza evolutiva. Il trattamento ottimale richiede una combinazione di presidi farmacologici e non farmacologici da attuare il più precocemente possibile, prima che si instaurino le deformità e le invalidità permanenti. Il trattamento farmacologico si basa sull’uso di farmaci che riducano l’infiammazione e alleviano i sintomi. l primo approccio avviene con i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) tradizionali o COX2 selettivi. I corticosteroidi vengono usati per via infiltrativa locale nelle sedi infiammate in caso di entesiti e/o artriti periferiche. Un apporto fondamentale alla terapia della spondilite anchilosante nell’ultimo decennio è giunto dall’uso dei farmaci biotecnologici. Questi farmaci sono molto efficaci nei controllo dei sintomi spinali e periferici, dell’infiammazione e nel bloccare o rallentare l’evoluzione del danno strutturale. Accanto al trattamento farmacologico, un presidio fondamentale è rappresentato dal trattamento fisioterapico e riabilitativo che ha come obiettivi la riduzione del dolore e della rigidità ed il recupero della capacità motoria. Nel lungo termine l’obiettivo è il mantenimento della postura e la motilità, incluse l’espansibilità toracica (mediante ginnastica respiratoria) e il movimento articolare periferico. La terapia riabilitativa deve inoltre prevenire e trattare l’ipotrofia muscolare. Le deformazioni del rachide già instaurate possono essere contrastate con la rieducazione posturale globale. La chirurgia del rachide e la protesizzazione delle articolazioni periferiche (per esempio protesi d’anca) viene riservata ai casi con alterazioni posturali particolarmente marcate ed in caso di disabilità e danneggiamento strutturale articolare.

Consulenza: Maria Grazia Anelli, dirigente medico unità operativa di reumatologia azienda ospedaliero-universitaria Policlinico di Bari

NOTA BENE: le informazioni in questa pagina non possono sostituire il parere e le spiegazioni del tuo medico

Sostieni la ricerca scientifica d'eccellenza e il progresso delle scienze. Dona ora.

Dona ora per la ricerca contro i tumori

Dona ora per la ricerca contro i tumori

Sostieni la vita


Scegli la tua donazione

Importo che vuoi donare


Articoli correlati


Iscriviti alla newsletter

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI

Torna a inizio pagina