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Cardiologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 07-09-2016

Così la telemedicina può salvare la vita



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Uno studio evidenzia come, col supporto delle farmacie, si possono identificare e monitorare condizioni anomale del cuore, talvolta fatali. Ma il servizio di telemedicina in Italia stenta a decollare

Così la telemedicina può salvare la vita

Potenzialmente è in grado di salvare la vita. Ma la telemedicina, intesa come l’opportunità di monitorare a distanza lo stato di salute di una persona, in Italia non è ancora entrata a pieno regime. È questa l’istantanea emersa dal congresso della Società Europea di Cardiologia, conclusosi a Roma nei giorni scorsi. L’appuntamento ha rappresentato l’occasione per presentare i risultati di uno studio condotto dal dipartimento di cardiologia dell’Università di Brescia, in collaborazione con Federmarma. Le conclusioni rimandano alla centralità delle farmacie nella scoperta e nella gestione di alcune situazioni che possono mettere a rischio la sopravvivenza. Potenzialità che in Italia, però, non è sfruttata appieno. 


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IN COSA CONSISTEVA IL MONITORAGGIO

Lo studio ha visto protagoniste 1916 farmacie sparse sul territorio nazionale, dotate dei macchinari in grado di effettuare alcune indagini e di riferire i risultati a un team di cardiologi disponibili 24 ore su 24, attraverso un network telematico. Il monitoraggio, come spiegato da Leonardo Bolognese, direttore dell’unità di cardiologia dell’ospedale di Arezzo, prevedeva «l’uso di un elettrocardiogramma, il controllo della pressione arteriosa e l’holter cardiaco come prevenzione primaria per sottoporre a screening soggetti sani o controllare pazienti a rischio: diabetici, ipertesi, persone con dislipidemie. Ma un simile sistema è servito anche a effettuare una prevenzione secondaria i pazienti che avevano già avuto un evento cardiovascolare». Nel corso dello studio, portato avanti per tutto il 2015, il network telematico è stato utilizzato da 14.733 donne e 13.549 uomini. Tra i sintomi più di frequente segnalati al momento dell’ingresso nelle farmacie c’erano le palpitazioni, la sincope e il dolore toracico atipico. C’è stato anche chi ha fatto riferimento al servizio per misurare la pressione e testare la risposta alla terapia antiipertensiva.

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NORD ITALIA PIU’ ALL’AVANGUARDIA

Come spiegato da Franco Romeo, direttore dell’unità di cardiologia al policlinico Tor Vergata di Roma, «una volta individuate le anomalie, i soggetti sono stati inoltrati alla valutazione di un medico di famiglia o di un cardiologo, per compiere ulteriori valutazioni. Nei casi considerati a rischio imminente, invece, i pazienti sono stati inviati al più vicino pronto soccorso». È così che dovrebbe funzionare la telemedicina, che in Italia rimane però ancora «zoppa». Sebbene le prime sperimentazioni risalgano agli anni ‘70, il servizio fatica a decollare. Un’indagine condotta lo scorso anno dal Movimento Difesa del Cittadino in collaborazione le Asl territoriali ha svelato un Nord tendenzialmente più all’avanguardia nell’adozione dei nuovi strumenti digitali. Strutture altamente specializzate sono state individuate soprattutto in regioni del nord come l’Emilia Romagna, il Veneto e il Trentino Alto Adige. Mediocre la situazione registrata al centro, insufficiente al Sud, fatta eccezione per la Puglia.


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QUALI PROSPETTIVE PER LA TELEMEDICINA?

La cardiologia è il settore in cui la telemedicina potrebbe essere maggiormente applicata. Ma secondo gli esperti, la possibilità di «telemonitorare» la salute troverebbe terreno fertile anche nella gestione del diabete, dell’insufficienza respiratoria e dei pazienti affette da ulcere degli arti inferiori. Peccato che in Italia al momento la telemedicina, nonostante i proclami, non sia ancora inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) né abbia una tariffa ambulatoriale specifica. Motivo per cui la sua diffusione rimane limitata a quei casi di buona sanità che si registrano a macchia di leopardo, da Nord a Sud del Paese.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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