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Alessandro Vitale
pubblicato il 02-12-2019

Un’analisi bioinformatica per i linfomi pediatrici



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I piccoli RNA prodotti dai linfomi sono uno degli strumenti usati dalle cellule tumorali per comunicare tra loro. Isolarli, studiarli e catalogarli è il compito di Enrico Gaffo

Un’analisi bioinformatica per i linfomi pediatrici

Il sistema linfatico è composto da vasi che trasportano la linfa, attraverso cui l'organismo raccoglie liquidi e materiale di scarto dalla periferia del corpo per poi veicolarli agli organi di depurazione. Oltre ai vasi linfatici, questo sistema corporeo è composto da cellule immunitarie e da «stazioni», i linfonodi, che appaiono ingrossate quando nel corpo è in corso un’infezione.

Anche il sistema linfatico può andare incontro a specifici tumori, chiamati linfomi. Queste neoplasie si suddividono in due grandi categorie, i linfomi di Hodgkin e i linfomi non Hodgkin. Sebbene la loro prognosi sia generalmente positiva, rimangono ancora dei casi in cui il tumore è più aggressivo e le terapie falliscono. Recenti studi hanno permesso di scoprire che gli esosomi, piccole vescicole rilasciate dalle cellule tumorali, contengono al loro interno molecole tra cui piccoli Rna (small-Rna) in grado di regolare il funzionamento dei geni delle cellule circostanti e favorire la crescita e l’aggressività del tumore.

Enrico Gaffo, bioinformatico dell’Università degli Studi di Padova, studia i linfomi usando un approccio computazionale per capire l’evoluzione del tumore, grazie al sostegno di una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi ottenuto, nello specifico, grazie al progetto Gold for Kids.

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Enrico, nel tuo progetto ti occupi di capire come le cellule dei linfomi «parlano» tra loro. Ci racconti qualcosa di più?

«Il progetto punta a identificare gli small-Rna presenti negli esosomi plasmatici. Questi ultimi sono vescicole prodotte dal tumore, che contengono informazioni (gli small-Rna, ndr) per comunicare con l’ambiente circostante. Gli esosomi verranno isolati da pazienti pediatrici affetti da linfoma di Hodgkin e non-Hodgkin, e poi verranno isolati gli small-Rna».

 

Come li isolerete?

«Le moderne tecniche di sequenziamento massivo di Rna, chiamate Rna-seq, permettono di conoscere la quantità e le sequenze nucleotidiche dei trascritti caricati negli esosomi, ma tali dati necessitano l’applicazione di sofisticate tecniche di analisi bioinformatica e statistica per ricostruire e ricavare l’informazione biologica in essi contenuta».

 

E che informazioni è possibile ottenere?

«Comparando esosomi di individui sani con quelli dei pazienti, si potranno identificare gli small-Rna che presentano delle caratteristiche peculiari della malattia. Questa informazione potrà essere utile per una migliore diagnosi e quindi una scelta più precisa del trattamento per il paziente. Inoltre, gli small-Rna sono fortemente implicati nella regolazione dell’espressione genica. La conoscenza di quali e quanti piccoli Rna sono trasportati negli esosomi contribuirà a descrivere il loro coinvolgimento nei meccanismi molecolari alla base della malattia».

 

Enrico, sei un informatico che lavora a stretto contatto con i biologi. Raccontaci la tua giornata tipo in laboratorio.

«Per la maggior parte del tempo, il mio lavoro consiste nello scrivere codici con diversi tipi di linguaggi di programmazione e nell'analizzare di dati di sequenziamento del Rna. Uno dei miei compiti è inoltre la manutenzione dei calcolatori e della struttura informatica del laboratorio per garantirne l’operatività nel tempo. Ovviamente non mancano i momenti di confronto con i colleghi per discutere idee, pianificare le attività dei progetti e condividere esperienze».

 

Ricordi il momento in cui hai scelto di diventare un ricercatore?

«Applicare l’informatica alla biologia è stata l’idea che mi ha convinto a continuare gli studi dopo la laurea triennale. Il mio campo, la bioinformatica, è una materia molto vicino alla ricerca scientifica, quindi è stato abbastanza naturale intraprendere questa strada. Sento che il mio lavoro ha un valore aggiunto perché ho la speranza che potrà essere utile al progresso della conoscenza».

 

Hai un momento da ricordare nel tuo lavoro?

«La pubblicazione del mio primo articolo con primo nome è stata una grande soddisfazione, perché ho visto riconosciuto il valore del mio lavoro. Non ho momenti che vorrei dimenticare, perché anche dalle cose brutte si può imparare qualcosa».

 

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Il fatto di poter sviluppare le mie idee e che posso contribuire a migliorare la salute delle persone».

 

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La parte divulgativa. Caratterialmente non sono portato a confrontarmi, in prima persona, con un pubblico non del settore».

 

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Probabilmente avrei fatto lo sviluppatore informatico».

 

Percepisci un sentimento antiscientifico in Italia?

«Ho sempre trovato persone affascinate dalla figura del ricercatore e che la rispettano, ma allo stesso tempo ho riscontrato che la mentalità scientifica spesso viene compresa con fatica dalle persone comuni, soprattutto quando si sentono coinvolte emotivamente».

 

Enrico, parlaci di te. Cosa fai nel tempo libero?

«Cerco di mantenermi attivo fisicamente. Inoltre mi piace leggere, suonare la chitarra e viaggiare».

 

Descriviti con tre pregi e tre difetti.

«Spiritoso, sincero, curioso. Critico, puntiglioso, pigro».

 

Sei felice della tua vita?

«Sì, ma vorrei qualche certezza in più per poter programmare il mio futuro».

 

Hai dei libri particolarmente cari?

«Due libri che mi sono piaciuti sono “La realtà non è come ci appare” di Carlo Rovelli e “Perché crediamo in Dio (o meglio, negli dèi)” di J.A. Thomson. In essi ho trovato spunti di riflessione su temi che mi interessano particolarmente».

 

Hai mai fatto qualche «pazzia»?

«Bungee jumping per festeggiare il mio diciottesimo compleanno».



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