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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 20-02-2023

“La malattia non è un buco nero”



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Ricevere una diagnosi di linfoma non deve impedire di conservare bei ricordi anche nella malattia. Questo è stato possibile per Eleonora grazie all’umanità vissuta in ospedale e alla vicinanza della famiglia

“La malattia non è un buco nero”

L’inizio delle scuole medie può essere impegnativo e stressante, per questo motivo, Marina non dà molto peso alla stanchezza della figlia Eleonora, e nemmeno a qualche chilo in meno. Quando inizia anche la febbre e l’affaticamento diventa una costante, lei e il marito decidono di recarsi in ospedale per accertamenti.

Marina ci racconta la loro storia

 

LA NEGAZIONE

«Dopo un mese trascorso nel reparto di oncoematologia all’ospedale Regina Margherita di Torino, e dopo tre biopsie, è arrivata la diagnosi: linfoma di Hodgkin. Io, personalmente, ero in piena negazione: sostenevo si stessero sbagliando e che in realtà Eleonora avesse una polmonite nascosta. Mi sembrava impossibile: erroneamente, ho sempre pensato che queste cose potessero succedere solo lontano da me».

 

LA FIDUCIA NELLA SCIENZA

«Abbiamo presto capito che bisognava cambiare atteggiamento per tenere alto l’umore di nostra figlia. Ma abbiamo anche compreso l’importanza di affidarsi con fiducia alla ricerca e alla medicina che hanno permesso di avere cure sempre più efficaci. I genitori, infatti, possono arrivare solo fino a un certo punto, per il resto è fondamentale fidarsi dei professionisti. Per Eleonora è stato fatto molto, non solo dal punto di vista medico. Con questa esperienza, infatti, ho apprezzato tantissimo la dimensione umana: in ospedale, ad esempio, ci chiamavano mamma e papà e c'era una tribù ad occuparsi di mia figlia. Non eravamo soli».

 

L’UMANITÀ CHE FA LA DIFFERENZA

«Ricordo con particolare affetto e riconoscenza il giorno del compleanno di mia figlia, che non si prospettava dei migliori. Avevo comunque deciso di provare a fare del mio meglio, portando dei cioccolatini confezionati in ospedale: purtroppo, non si poteva pensare troppo in grande. Il nostro modo di mangiare, infatti, si è modificato totalmente a causa delle basse difese immunitarie di Eleonora. Quel giorno, però, è diventato meraviglioso grazie alle persone che ci sono state accanto in ospedale. I volontari le hanno organizzato una festa, l’Associazione UGI le ha addirittura portato un regalo e, dalle altre stanze, bambini e genitori ci hanno raggiunti. Tutto questo ha davvero fatto la differenza, hanno cambiato una giornata brutta in un bel ricordo. La medicina e le cure, infatti, non bastano e la malattia non deve essere un buco nero nella memoria dei nostri figli. Deve essere un momento che porta con sé anche dei bei ricordi, sennò si rischia di non parlarne mai, di evitare sempre l’argomento, lasciando solo un brutto ricordo. Quei mesi non possono essere solo buio, tristezza e fustigazione. Devo molto alla sensibilità dei medici e dei volontari, e al supporto degli altri genitori con cui cercavamo di passare le giornate anche ridendo e scherzando, per evitare di parlare sempre e solo della malattia. Mia figlia, ad esempio, ha mantenuto l'amicizia con alcune ragazze conosciute in ospedale, e io con le loro famiglie. I legami che si creano sono forti e bellissimi».

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COME SUPERARE I MOMENTI DIFFICILI

«Certo, nonostante l’ambiente ospedaliero fosse assolutamente positivo e noi facessimo del nostro meglio per tenere alto l’umore ci sono stati momenti difficili. La perdita dei capelli e delle sopracciglia, ad esempio, è stata vissuta molto male da mia figlia. Noi però abbiamo cercato, e trovato, il nostro personale modo per non abbatterci: eravamo direzionati all’obiettivo, senza mai perderci d'animo, e questo ci ha aiutato molto. Oltre a parlare a lungo sdraiate sul letto, quando Eleonora non se la sentiva di alzarsi, giocavamo a carte, guardavamo la TV e cucinavamo».

 

UNA PIZZA OGNI TANTO

«Le raccomandazioni dei medici erano molte, soprattutto dal punto di vista igienico-alimentare. Noi non abbiamo mai sgarrato, anche se, fortunatamente, abbiamo potuto sfruttare qualche eccezione, quando la situazione lo permetteva. Ad esempio, quando i neutrofili non erano troppo bassi, le abbiamo permesso di incontrare le amiche sul balcone, oppure ci siamo gustati una buona pizza. C’è stata una grandissima attenzione umana da parte dei medici che, grazie alla loro competenza, capivano in cosa si poteva cedere, sempre in sicurezza».

 

I BAMBINI SONO IL NOSTRO FUTURO

«Eleonora ora sta bene, e io mi considero una mamma fortunata perché mia figlia ha potuto usufruire delle cure migliori, cosa che, purtroppo, non è scontata. Credo che sia fondamentale continuare a sostenere la ricerca scientifica e la medicina per permettere a tutti i bambini, a prescindere da dove siano nati, di poter essere curati al meglio. Ho conosciuto mamme che venivano da paesi esteri che constatavano con tristezza, e allo stesso tempo riconoscenza, che se i propri figli si fossero ammalati nel loro paese di origine non si sarebbero salvati. I bambini sono il nostro futuro e meritano tutti le stesse opportunità».

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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