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Oncologia
Paola Scaccabarozzi
pubblicato il 19-04-2023

Tumori della vescica: aumentano le diagnosi



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Oltre 29.000 casi di tumore della vescica nel 2022. Il fumo resta la prima causa evitabile. Nasce il primo registro italiano del carcinoma uroteliale metastatico

Tumori della vescica: aumentano le diagnosi

In Italia cresce il numero annuale di diagnosi del tumore della vescica. Nel 2022 sono state 29.200, con un aumento dell’8% di casi l’anno rispetto al 2017, quando furono 27.000. I più colpiti restano sempre gli uomini, che sono oltre 23.000, anche se sono cresciuti, in cinque anni dell’11%, i casi femminili. Il cancro della vescica costituisce la dodicesima neoplasia più diffusa a livello mondiale. Solo nel nostro Paese vivono 313.000 persone con questa neoplasia: 255.000 uomini e 58.600 donne.

 

DIAGNOSI TARDIVE

«Si tratta di un tumore in sé non particolarmente aggressivo - spiega il professor Carmine Pinto, Presidente FICOG, (Federation of Italian Cooperative Oncology Groups) durante il convegno nazionale Utilizzo dei dati in ricerca clinica - perché è spesso un tumore superficiale che non si sviluppa negli strati più profondi della parete vescicale, ma che determina, comunque, oltre 6.000 morti all’anno in Italia. La ragione sta principalmente nel ritardo diagnostico, oltre che nelle caratteristiche dei pazienti spesso anziani e soggetti a numerose comorbilità».

 

ANCORA POCO CONOSCIUTI

«Inoltre, la neoplasia della vescica costituisce una patologia “negletta” - prosegue il professor Giuseppe Procopio, direttore Programma Prostata ed Oncologia Medica Genitourinaria Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - di cui c’è una conoscenza minore rispetto ad altri tumori di distretti corporei di competenza affine, come quello del rene o della prostata. Si tratta di una neoplasia “orfana” che giunge spesso allo specialista in fase avanzata ed è quindi difficile da trattare. Le opzioni terapeutiche a disposizione per i casi metastatici, che ammontano in Italia a circa a 7.300 l’anno, sono infatti ancora piuttosto limitate».

 

I SINTOMI DA NON SOTTOVALUTARE

«Il principale sintomo a cui prestare attenzione è essenzialmente uno - afferma Procopio - cioè la presenza di sangue nelle urine. È un sintomo facilmente identificabile che non deve mai essere sottovalutato. Va invece segnalato il prima possibile al proprio medico di base. Seguirà poi, solo qualora necessario, l’invio eventuale allo specialista urologo per l’esecuzione di esami più specifici. La presenza di sangue delle urine, che va necessariamente sempre indagata, può essere anche il sintomo di malattie molto più banali, come ad esempio la cistite. La solerzia è comunque fondamentale perché permette una diagnosi che, nel 75% dei pazienti, confinata la malattia alle parti superficiali della parete vescicale. Si può dunque intervenire chirurgicamente con buone opportunità di guarigione». Quando si riesce a ottenere una diagnosi precoce, come evidenziato dalla FICOG, la sopravvivenza a cinque anni si attesa intono all’80% anche grazie agli ultimi progressi delle terapie.

 

E LE CAUSE?

Vanno ricercate principalmente negli stili di vita - puntualizza Procopio -. Il fumo rappresenta un importante fattore di rischio, basti pensare che i fumatori corrono un rischio almeno tre volte più elevato di sviluppare il carcinoma vescicale rispetto ai non tabagisti. Questo spiega in parte l’aumento dell’incidenza tra le donne, che sono maggiormente esposte al fumo negli ultimi anni, rispetto al passato. Un altro fattore di rischio conclamato è l’esposizione a sostanze chimiche presenti in alcuni coloranti, diserbanti o idrocarburi. Per i lavoratori a rischio sono state però avviate negli anni scorsi programmi di screening specifici e la normativa italiana è molto attenta e rigorosa da questo punto di vista».

 

UN REGISTRO PER IL CARCINOMA UROTELIALE METASTATICO

Perchè istituire un registro per monitorare i casi di carcinoma uroteliale (che rappresentano il 90 per cento dei tumori vescicali) che hanno già sviluppato metastasi? «L’obiettivo è quello di tracciare la realtà del nostro Paese nella gestione di pazienti con carcinoma uroteliale metastatico - risponde Pinto - lo stiamo facendo, attraverso l’attivazione di uno studio in itinere della durata di due anni, denominato Saturno, che sta coinvolgendo oltre cinquanta centri di varie dimensioni, raggiungendo così una copertura uniforme e variegata sull’intero territorio nazionale. Lo studio è dunque multicentrico, prospettico, aperto a un migliaio di pazienti con lo scopo di raccogliere dati su malati sottoposti sia a trattamento attivo, sia a una terapia di supporto. Il senso è quello di produrre un registro nazionale in grado di far emergere i bisogni, più o meno insoddisfatti, dei malati e incentivare le cure, partendo da nuove evidenze scientifiche, sempre più raffinate e articolate». «Attualmente infatti - conclude Procopio - i casi metastatici vengono trattati con la chemioterapia, l’immunoterapia o la cistectomia radicale che è però un intervento chirurgico estremamente complesso. Per quanto concerne, invece, altre modalità terapeutiche, è previsto a breve l’arrivo anche in Italia di nuovi trattamenti che hanno dimostrato vantaggi clinicamente rilevanti. È questo il caso del sacituzumab govitecan, un anticorpo-farmaco coniugato, già utilizzato nel carcinoma mammario triplo negativo metastatico». Negli USA è stato approvato per i pazienti colpiti da tumore uroteliale localmente avanzato o metastatico trattati già precedentemente con la chemioterapia.

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Paola Scaccabarozzi
Paola Scaccabarozzi

Giornalista professionista. Laureata in Lettere Moderne all'Università Statale di Milano, con specializzazione all'Università Cattolica in Materie Umanistiche, ha seguito corsi di giornalismo medico scientifico e giornalismo di inchiesta accreditati dall'Ordine Giornalisti della Lombardia. Ha scritto: Quando un figlio si ammala e, con Claudio Mencacci, Viaggio nella depressione, editi da Franco Angeli. Collabora con diverse testate nazionali ed estere.   


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