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Non mi piacciono le parate militari

Non mi piacciono le parate militari, e dissento dalla tradizione che ogni anno, il 2 giugno, per la festa della Repubblica ci ripresenta puntualmente carri armati e aerei da caccia che sfrecciano in cielo. Non posso, senza un brivido, immaginare in azione questi mezzi di sterminio (perché tali sono) che nella parata militare si presentano come grandi giocattoli, mentre i bambini assiepati ai lati della strada agitano le bandierine tricolori.

Non mi piacciono le parate militari

Non mi piacciono le parate militari, e dissento dalla tradizione che ogni anno, il 2 giugno, per la festa della Repubblica ci ripresenta puntualmente carri armati e aerei da caccia che sfrecciano in cielo. Non posso, senza un brivido, immaginare in azione questi mezzi di sterminio (perché tali sono) che nella parata militare si presentano come grandi giocattoli, mentre i bambini assiepati ai lati della strada agitano le bandierine tricolori.

Ricordo un mio zio che aveva fatto la Grande Guerra, e che in occasione delle feste nazionali s’immusoniva in un angolo della  casa, con gli occhi luccicanti di ricordi rabbiosi. Una volta, non potendone più, uscì dal consueto silenzio: “Ragazzi, ricordatevi che la guerra è una porcheria!”

Non vedo perché la festa della nostra Repubblica debba essere rappresentata  dalle truppe in armi, e sebbene non usi più fare a scuola la retorica della guerra (tipo il famoso motto di Orazio “Dulce et decorum est pro patria mori”, è dolce e decoroso morire per la patria) mi sento sconcertato nel vedere che nel secolo XXI, dopo i milioni di morti che la Storia ci ha consegnato, ancora nessun Paese abbia deciso di non far sventolare le bandiere sullo sfondo di cannoni e fucili.

Non voglio certamente dimenticare l’amore e il rispetto per i tanti caduti in guerra, commemorati anche nel più piccolo paesino da una lapide e da un monumento, e m’inchino reverente alla loro memoria, ma non posso non chiedermi: “Perché sono caduti? Perché  le loro madri non hanno più potuto riabbracciare quei ragazzi pieni di vita e di progetti di vita?”

In Internet, si può da parecchi anni visitare un sito Usa intitolato “Honor the Fallen”, Onore ai Caduti, che aggiorna costantemente la tragica agenda dei soldati americani che continuano a morire in Afghanistan e in altri teatri di cosiddetta “pacificazione”, nonostante la Exit Strategy di Obama. Ci sono le foto, il luogo di nascita, un breve riassunto di come sono morti. In questo mese di maggio (finora) ne sono morti 10, tra cui una donna, fotografata  con un bebé in braccio.

I loro nomi non direbbero niente a nessuno tranne che nei piccoli e lindi paesetti americani da cui sono partiti, con la bandiera a stelle e a strisce  che sventola davanti al municipio. Sono caduti e bisogna onorarli come Caduti. Come vanno onorati i 52 soldati Italiani caduti in Afghanistan, dal 2004 ad oggi, nella missione cosiddetta di pacificazione. Gli uni e gli altri vanno a far parte dei milioni di vite macinate dalla guerra, così come i civili di quei Paesi sventurati, che sfuggono ad ogni conteggio e ad ogni agenda.

Per questo non mi piacciono le parate militari, per questo ho voluto fondare il movimento di Science for Peace.

Ricordo che nei vecchi registri sulla consistenza di paesi e città, si parlava del numero di “focolari” accesi. E’ una dolce immagine di pace, con le famiglie riunite intorno al camino, e come unico rumore lo scoppiettìo delle fiamme e le risate dei bambini. Non rulli di tamburi, né suono di trombe. Quei bambini vogliono vivere, amare, istruirsi, lavorare. E progredire in un mondo di Pace.  

Umberto Veronesi



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