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Oncologia
Angelica Giambelluca
pubblicato il 22-02-2023

La riabilitazione oncologica è utile a tutti i malati (ma poco applicata)



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Purtroppo, nonostante gli indubbi vantaggi, la riabilitazione non è una prestazione essenziale e dunque non è inserita nei LEA. Le sfide future raccontate da Elisabetta Iannelli di FAVO

La riabilitazione oncologica è utile a tutti i malati (ma poco applicata)

Non solo prevenzione del linfedema: nella riabilitazione oncologica per le donne con tumore al seno occorre prevedere supporti per altri effetti dovuti alle terapie o ai trattamenti e garantire fin da subito aiuto psicologico e sociale. Altrimenti la persona guarita non lo sarà per davvero.

LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA IN ITALIA

La riabilitazione oncologica, infatti, consiste nel garantire al paziente le funzionalità (fisiche, psichiche e sociali) che aveva prima della malattia. È un percorso che si attiva nel momento della diagnosi, non quando la malattia non c’è più, ed è determinante per il recupero totale dei pazienti. In Italia vivono oggi 3.600.000 persone con una pregressa diagnosi di tumore e 1.100.000 persone sono guarite. Purtroppo, la riabilitazione non è una prestazione essenziale nel nostro paese. Non è inserita nei LEA, e nei LEPS di cui si parla tanto ultimamente non è citata. Se qualche PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) la contempla è solo per volontà della singola azienda sanitaria o ospedale. Tipico scenario della sanità italiana che va a diverse velocità a seconda delle Regioni. Eppure la riabilitazione potrebbe fare la differenza non solo per la persona che ha o ha avuto una malattia oncologica, ma anche per lo stesso Servizio Sanitario Nazionale: in termini di costi risparmiati in cure, accessi ospedalieri, etc.

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Paola Varese, presidente del comitato scientifico FAVO (Federazione Associazioni di Volontariato in Oncologia), ed Elisabetta Iannelli, avvocato e consulente legale per AIMAC (Associazione Italiana Malati di cancro, parenti e amici) e segretario generale FAVO, soprattutto in riferimento alla riabilitazione nel cancro alla mammella, uno dei tumori più frequenti nel nostro paese.

IL TUMORE AL SENO E I BISOGNI DELLE PAZIENTI

Il tumore al seno è la più frequente neoplasia femminile: in Italia nel 2022 sono stati diagnosticati 55.700 nuovi casi, segnando un +0,5% rispetto al 2020. Parliamo anche della prima causa di morte per tumore nelle donne, ma nonostante questi numeri, il tumore al seno è anche uno di quelli con maggiori tassi di guarigione: a un anno dalla diagnosi il 96% delle donne è ancora vivo, mentre l’87% supera la barriera dei fatidici 5 anni. Le probabilità di guarigione, inoltre, aumentano in caso di diagnosi precoce. Ad oggi in Italia vivono quasi 800.000 donne che in passato hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno. Il 40% l’ha ricevuta più di 10 anni fa, il 26% tra i 5 e i 10 anni, il 20% tre i 2 e i 5 anni fa; il 15% da meno di 2 anni. Tutte queste donne dovrebbero poter accedere alla riabilitazione, fin dal primo giorno della diagnosi. Poche ci sono effettivamente riuscite.

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RIABILITAZIONE ONCOLOGICA: DI CHE COSA PARLIAMO

Quando si parla di riabilitazione, si pensa a un percorso da iniziare dopo essere guariti. Secondo la definizione data dall’’Organizzazione Mondiale della Sanità la riabilitazione è "un insieme di interventi progettati per ottimizzare il funzionamento e ridurre la disabilità in persone con problemi di salute che ne limitano l’interazione con l’ambiente". FAVO da tempo si spende per far rientrare la riabilitazione oncologica tra i Livelli Essenziali di Assistenza: «Il passaggio - si legge nella nota della Federazione - è ritenuto ormai improcrastinabile, anche alla luce del ruolo significativo riconosciuto alla riabilitazione all’interno del Piano europeo di lotta contro il cancro. Ovvero quell’insieme di misure varate dall’Unione che ogni Stato membro è tenuto a declinare sul proprio territorio per favorire il raggiungimento di tre obiettivi: oltre al miglioramento dei tassi di sopravvivenza per le malattie oncologiche (dall’attuale 47 al 75 per cento entro il 2030) attraverso il potenziamento dei servizi di prevenzione (quasi 4 casi di cancro su 10 sono evitabili) e il miglioramento dell’accesso alle cure, anche quello della qualità della vita di chi ha superato la fase acuta della malattia».

CHE COSA DICE IL PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE

Infatti, come sottolineato dal Piano Oncologico Nazionale 2023-2027, le problematiche riabilitative per i malati di cancro possono derivare non solo dalla malattia in sé, ma anche dai trattamenti terapeutici disponibili (chirurgia, chemioterapia, radioterapia, farmaci biologici), per cui è necessario predisporre un programma personalizzato che tenga conto dei diversi aspetti dei possibili deficit funzionali. Sempre secondo il Piano Nazionale, la guarigione intesa come completo recupero fisico, psichico e sociale, il raggiungimento dell’autonomia relazionale e il reinserimento occupazionale dei pazienti guariti o dei cronicizzati fin quanto possibile, costituiscono obiettivi non solo di politica sanitaria, ma del welfare in generale. Pertanto, la riabilitazione non è soltanto e non può essere soltanto quella fisica, ma va impostata su più livelli e con un approccio multidisciplinare e multisettoriale (sanitario e socio-sanitario) volto al reinserimento completo del malato nella società. Il team riabilitativo essere composto da professionisti con competenze diverse, a seconda delle disabilità presenti, dei setting riabilitativi e del contesto psicosociale. La riabilitazione va quindi iniziata fin da subito, secondo un Piano Riabilitativo Individuale (PRI) che punti al ripristino dell’integrità o del miglioramento di tutte le funzioni lese dal tumore o dai suoi trattamenti, e favorisca fin da subito il ritorno al lavoro, che dovrà, pertanto, essere precocemente integrato già nel percorso di cura del cancro. Sempre secondo il Piano Nazionale, è necessario procedere all’aggiornamento di tutti i PDTA, prevedendo in ognuno l’inserimento della riabilitazione, tenuto conto delle specificità di ogni patologia tumorale. L’efficacia dei percorsi dovrebbe essere costantemente misurata attraverso la definizione, anche con l’ausilio delle associazioni di malati, di indicatori specificamente costruiti per le prestazioni riabilitative. Prima di arrivare al Piano Oncologico Nazionale, FAVO ha realizzato nel 2008, con la partecipazione di SIMFER AIOM, SIPO, CE.Ri.ON e dei principali IRCSS in Italia (IST Genova; Regina Elena Roma, Rete oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, Fondazione Maugeri Pavia) il primo Libro Bianco della riabilitazione oncologica. I principi ribaditi in questo documento sono stati recepiti nel 2011 dal Ministero della Salute. Ma la riabilitazione è riconosciuta anche all’interno del Piano europeo di lotta contro il cancro, che mira non solo a garantire che i pazienti oncologici sopravvivano alla malattia, ma che vivano una vita lunga e soddisfacente, senza discriminazioni e ostacoli iniqui.

LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA NEL CANCRO ALLA MAMMELLA

«Nell’ambito oncologico sarebbe più corretto parlare di ri-abilitazione – afferma Paola Varese – perché si attiva fin da subito, dalla diagnosi alla terapia, e anche durante le cure palliative. Non esiste una riabilitazione fisica, o psichica, ma è tutto integrato, per questo si parla di riabilitazione bio-psico-sociale. In riferimento all’oncologia va sottolineato che la malattia può manifestarsi in modo molto diverso: un tumore al seno può essere localizzato solo nell’organo o produrre metastasi, da qui possono derivare conseguenze diverse sull’organismo della donna, che determinano esigenze riabilitative a loro volta differenti». Le donne che hanno ricevuto una diagnosi di tumore alla mammella spesso sottovalutano aspetti come il mantenimento dell’integrità del seno. E chi si trova nella fase di cure palliative crede sia tutto inutile. Non è così, la riabilitazione serve in ogni fase.

PREVENIRE IL "BRACCIO GONFIO"

«Per decenni la riabilitazione per le donne con tumore al seno è consistita solo nel trattamento del linfedema del braccio interessato dall’intervento originale di asportazione del tumore» sottolinea Varese. In pratica, in alcuni casi, dopo l’intervento di asportazione del tumore al seno può presentarsi un linfedema al braccio, uno degli effetti collaterali più frequenti e temuti del trattamento di questo tumore e che colpisce più di una paziente su 3. Esternamente, il linfedema è caratterizzato da un gonfiore del braccio, tuttavia le pazienti riferiscono anche altri sintomi come pesantezza, senso di oppressione e dolore al braccio, che possono variare di intensità. «Esistono dei fattori predittivi del linfedema come ad esempio l’obesità, l’interessamento linfatico e la radioterapia- prosegue l’oncologa -per questo in alcuni casi selezionati si può fare un intervento chirurgico per evitare l’insorgenza del linfedema, e va fatto contestualmente a quello per rimuovere il tumore. Anche perché in alcuni casi il linfedema può presentarsi dopo dieci anni. Per fare in modo che non insorga, se non ci si è sottoposti all’intervento, si possono adottare diversi accorgimenti come evitare ustioni, movimenti bruschi che tirano le ascelle. Mentre attività come lavare i vetri possono aiutare a prevenirne l’arrivo. Nelle donne con obesità un fattore di prevenzione può essere la perdita di peso e in questo senso è da favorire la dieta mediterranea». In questi casi, quindi ri-abilitare coincide con prevenire. Prevenire il linfedema fa parte della riabilitazione oncologica del tumore al seno.

NON C’È SOLO IL LINFEDEMA

Dal punto di vista fisico, durante la malattia e dopo l’intervento possono presentarsi una serie di sintomi dovuti, ad esempio, alla terapia ormonale o alla menopausa indotta, utilizzate per sopprimere la naturale produzione di estrogeni e progesterone che possono stimolare la crescita delle cellule cancerogene. Questa soppressione può comportare secchezza vaginale, calo del desiderio sessuale e quella che viene definita fatigue, una stanchezza cronica ed estrema che può inficiare la vita quotidiana. La secchezza vaginale oggi si può superare con poche applicazioni di laserterapia, ma questo trattamento non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale. «Occorrerebbe fare anche più informazione su questo tema – riprende Varese - perché la secchezza intima può causare bruciore, sintomo che viene scambiato per cistite, portando le donne ad assumere erroneamente antibiotici, andando quindi a peggiorare un problema di salute pubblica già devastante come l’antibiotico resistenza».

RIABILITAZIONE E FATIGUE

Per quanto riguarda la stanchezza, un potente rimedio è l’esercizio fisico, che per fortuna non costa nulla, ma non si può improvvisare: «Sembra un paradosso, ma per combattere la fatigue bisogna praticare attività fisica, se possibile affiancati non tanto da un fisioterapista ma un educatore in scienze motorie. Fa anche bene camminare per trenta minuti al giorno. La cosa importante è svolgere attività aerobica. È stato dimostrato, infatti, che questo tipo di esercizio fisico aumenta la soglia del dolore, migliora la qualità del sonno e riduce il grasso addominale, dove si producono le citochine proinfiammatorie che sono alla base dei dolori articolari», ha aggiunto l’esperta. Le endorfine rilasciate durante l’attività fisica hanno anche un importante effetto positivo sul sistema immunitario e sull’umore, umore che può essere depresso a causa delle terapie ormonali. «La cosa importante è non improvvisare – rimarca l’oncologa – perché questo tipo di attività fisica va gestita affiancati da esperti in attività fisica adattata (AFA). Non serve fare pesi, lo ribadisco. Serve attività aerobica». L’effetto dell’esercizio fisico sull’aspettativa di vita nelle persone diagnosticate con un cancro è stato studiato spesso in letteratura e in effetti è stato dimostrato come l’attività fisica possa migliorare la qualità di vita ( e magari allungarla) nelle persone con un cancro.

LA RIABILITAZIONE PSICOLOGICA

La riabilitazione psicologica va iniziata fin dalla diagnosi, per cercare di contenere od evitare ansia, depressione, disturbi del sonno, tutte condizioni che possono insorgere quando si riceve una diagnosi del genere e possono limitare in modo pesante la vita delle persone. Attivare il supporto psicologico serve anche per limitare gli accessi al pronto soccorso e, pertanto, diminuire i costi per il SSN. «Offrire supporto psicologico a una persona con cancro diminuisce del 25% gli accessi al pronto soccorso e del 5% i costi di assistenza sanitaria - rimarca l’Avvocato Elisabetta Iannelli – ma ad oggi purtroppo la riabilitazione non viene considerata come strumento efficace anche per sostenere il SSN. La riabilitazione è un investimento, non è un costo, ma è un concetto ancora difficile da far passare». Uno strumento che potrebbe funzionare molto bene e costerebbe pure poco sono i gruppi di mutuo aiuto in cui lo psicologo ha un ruolo di facilitatore tra le partecipanti, le quali si aiutano a vicenda, portando la propria esperienza, e reciproco supporto. «In questi gruppi di mutuo aiuto dove lo psicologo coordina – prosegue Iannelli -si normalizzano le esperienze di malattia e le persone trovano all’interno del gruppo le risorse per portare avanti il percorso”.

LA RIABILITAZIONE SOCIALE

Per aiutare una donna con figli e in età lavorativa a rimettersi in careggiata ci vorrebbero non tanto risorse economiche, ma veri e propri assistenti sociali. Occorre inoltre fare informazione a queste donne per capire se hanno o meno un’invalidità oncologica e possano, di conseguenza, accedere ad agevolazioni. Ma bisognerebbe fare informazione anche ai datori di lavoro per sapere quali soluzioni adottare per assumere queste persone. È quello che si definisce accomodamento ragionevole, un tema che parte dai concetti di uguaglianza per i lavoratori con disabilità adottati nella Direttiva 2000/78/CE del Consiglio Europeo e nella Convenzione ONU su diritti delle persone con disabilità del 2006. Nel 2015 la Legge 68/99 (Norme per il Diritto al Lavoro dei Disabili), è stata integrata con l’introduzione del Decreto Legislativo (151/2015), che conferisce all’accomodamento ragionevole il ruolo di misura per colmare l’assenza di azioni dedicate all’integrazione lavorativa delle persone con disabilità. Stiamo parlando di soluzioni come smart working, part-time, e altri tipi di agevolazioni che possono aiutare la persona a rimanere produttiva – sottolinea Iannelli - il lavoro è una parte fondamentale della riabilitazione e la persona con una malattia oncologica, in follow up o guarita, è molto motivata a tornare a lavorare e può portare un’esperienza preziosa». Perché la malattia è un’esperienza di vita trasformativa e consente di apprendere competenze inimmaginabili, che possono fare la differenza sia in ambito privato, sia in quello professionale. Tra i tanti progetti lanciati da FAVO per la riabilitazione delle donne con tumore vi è Gruppo di lavoro FAVO DONNA, a cui partecipano 43 associazioni federate, con l’obiettivo di assicurare la migliore qualità di vita, attraverso iniziative concrete e di promozione ed attuazione della tutela dei diritti delle donne colpite direttamente o indirettamente dal cancro.

IL DIRITTO ALL'OBLIO

Nell’ambito della riabilitazione, affinché questa abbia senso, non si può ignorare il diritto all’oblio, una norma che permetterebbe al paziente guarito di non dichiarare la malattia, pratica oggi obbligatoria per la stipula di molti contratti e la richiesta di alcuni servizi. Ci sono infatti diversi tipi di pazienti oncologici: acuti, cronici, lungoviventi e guariti. Gli acuti hanno una forma acuta della malattia, i cronici la portano avanti, controllandola, per più tempo, i lungoviventi ne stanno uscendo e sono in fase di follow up. I guariti sono coloro che ne sono completamente fuori e che hanno la stessa aspettativa di vita delle persone che non hanno avuto il tumore. Il diritto all’oblio riguarda questi ultimi. Si può dire di essere guariti dal cancro dopo un certo numero di anni senza la malattia, anni che variano secondo il tipo di tumore. Secondo quanto afferma AIOM, per il tumore alla mammella possono volerci 20 anni per considerarsi guariti, questo perché questo tipo di neoplasia è molto comune e può ripresentarsi nel corso della vita. Nel dettaglio, la legge per il diritto all’oblio permetterebbe di non considerare più paziente oncologico:

• Chi ha avuto un tumore solido in età pediatrica, dopo 5 anni dal termine delle cure;

• Chi ha avuto un tumore solido in età adulta, dopo 10 anni dal termine delle cure. Altri paesi europei, come Francia, Lussemburgo, Belgio, Olanda e Portogallo, sono già avanti con leggi che disciplinano il diritto all’oblio, garantendo ai loro cittadini un futuro libero dallo stigma della malattia oncologica.

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Angelica Giambelluca
Angelica Giambelluca

Giornalista professionista dal 2009, scrive di medicina e sanità per diverse testate nazionali. Si occupa anche di comunicazione in ambito medico e sanitario. Dirige un portale dedicato al mondo dei pazienti, www.medoramagazine.it.


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