Chiudi
Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 20-12-2016

Più inviti per gli screening, ma troppi italiani dicono di no



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

I controlli permettono di evitare un terzo dei casi di tumore. La pigrizia e la paura di scoprire la malattia, però, portano i connazionali a non aderire

Più inviti per gli screening, ma troppi italiani dicono di no

«Sì, questa volta possiamo dirlo: il bicchiere è mezzo pieno». Marco Zappa, epidemiologo e coordinatore dell’Osservatorio Nazionale Screening, si mostra ottimista nel commentare i risultati del rapporto ultimo sugli screening oncologici, relativo al 2014 e al 2015. Dalla lettura del documento, in effetti, emerge un dato significativo.

Lo scorso anno sono stati quasi 13 milioni gli italiani invitati (gratuitamente) a sottoporsi a uno screening per la diagnosi precoce di un tumore al seno, al colon-retto o alla cervice uterina: quasi un milione in più rispetto al 2014. Poco meno di sei milioni, invece, i test effettuati.

Ed è qui che emerge la nota dolente. Ciò vuol dire che oltre la metà dei connazionali hanno gettato la famosa cartolina nella pattumiera: per pigrizia, mancanza di tempo e timore di scoprirsi ammalati, che prevalgono sulle più alte chance di guarigione rilevate quando la malattia viene scoperta in uno stadio precoce.

Il morbo di Crohn e la rettocolite ulcerosa aumentano il rischio di ammalarsi di cancro?  


Perché la mammografia può salvare la vita?

Perché la mammografia può salvare la vita?

16-10-2015
 
LO SCREENING INIZIA A FARE BRECCIA IN ITALIA

I numeri, in questo caso, vengono prima di tutto. Quelli citati nel dossier indicano che, a quasi vent’anni dall’introduzione da parte del Servizio Sanitario Nazionale, gli screening oncologici iniziano a fare breccia tra i cittadini. Si tratta di esami garantiti dallo Stato - dunque gratuiti per chi vi si sottopone - che puntano a garantire l’eventuale diagnosi precoce delle tre neoplasie in altrettante fasce d’età in cui s’è visto che il beneficio che si trae dal sottoporre a un esame di massa la popolazione è di gran lunga superiore ai rischi.

Evidenze che finora non hanno invece riguardato il tumore dell’ovaio e quello del polmone. Come confermato da Zappa, «questa attività organizzata convive con un’iniziativa spontanea, cioè con test eseguiti in strutture private o comunque senza rispettare gli intervalli e le fasce d’età indicati come ottimali».

In realtà quest’ultimo aspetto continua a essere prevalente in alcune aree del Paese, «ma siamo sempre più convinti che rappresenti in realtà un ostacolo, soprattutto in una situazione di risorse limitate», è il pensiero dell’epidemiologo, secondo cui «la battaglia da vincere consiste nel convincere la comunità sanitaria e i singoli cittadini che l’attività organizzata è più efficace della pratica spontanea». Come dire: sottoporsi a un maggior numero di esami non equivale a garantirsi un migliore stato di salute.

PERCHE' LO SCREENING PER IL TUMORE
DEL COLON-RETTO PUO' SALVARE LA VITA?

Tumori al collo dell’utero: verso uno screening decennale?

Tumori al collo dell’utero: verso uno screening decennale?

25-10-2016
BUONI RISULTATI PER SENO E CERVICE UTERINA

È questa una delle sfide che attendono la comunità scientifica, per fare in modo che l’aumento delle diagnosi di tumore non sia accompagnato anche da una crescita dei tassi di mortalità. La successiva chiama in causa l’annosa questione meridionale, dal momento che al Sud lo screening fa più fatica a decollare e a essere accettato dai cittadini.

Lo dicono i numeri, relativamente a tutti e tre gli screening garantiti. Se a sottoporsi alla mammografia a cadenza biennale sono state invitate 9,6 donne su 10 nelle regioni settentrionali, al Sud la quota si assesta a 6 donne su 10. Nel mezzo si colloca la quota delle signore del centro Italia (8,7 su 10).

In questo caso la media nazionale degli inviti ammonta all’82 per cento, mentre si ferma al 55 quella delle donne effettivamente sottopostesi all’accertamento. In aumento è risultata anche la diffusione degli inviti a eseguire lo screening per il tumore della cervice uterina, che vede però prevalere per efficienza le regioni dell’Italia centrale (9,6 su 10) rispetto a quelle del Nord (7,3) e del Sud (6,9). Media nazionale delle donne coinvolte: 7,6 su 10.

Media degli esami effettuati: prossima al 40 per cento. Eppure, secondo Zappa, «quello che sta avvenendo nello screening cervicale è paradigmatico: al posto del Pap test i programmi si stanno via via spostando sull’utilizzo dell’Hpv come test primario: questo passaggio potrebbe assicurare alla donna più protezione e contemporaneamente meno esami, visto che il controllo da triennale diverrebbe quinquennale».

Un polipo intestinale s uquattro sfugge alla diagnosi

 

L’EMERGENZA RIGUARDA IL TUMORE DEL COLON-RETTO

Resta più strada da compiere nel tentativo di anticipare le diagnosi di tumore del colon-retto, che resta il primo più diffuso in Italia (51mila diagnosi nel 2016) e il secondo col più alto tasso di mortalità (dopo quello al polmone). Quasi 5,4 milioni gli italiani di età compresa tra 50 e 69 anni invitati a sottoporsi alla ricerca del sangue occulto nelle feci nel 2015. Il totale racconta un aumento del coinvolgimento quantificabile in cinquecentomila unità.

Ma di questi, poco meno di due milioni si sono sottoposti all’accertamento. Se al Nord all’invito hanno risposto oltre 9 adulti su 10, la quota è risultata dimezzata (4,3 su 10) nelle regioni meridionali. La maglia nera spetta alla Calabria, seguita da Puglia, Campania e Sicilia. «Quando la diagnosi del tumore del colon-retto avviene in fase avanzata, le possibilità di sopravvivenza sono limitate - afferma Carmine Pinto, direttore della struttura complessa di oncologia dell’Irccs Santa Maria Nuova di Reggio Emilia e presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) -. Soltanto l’11 per cento di questi pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi.

La ricerca del sangue occulto nelle feci riduce del venti per cento la mortalità perché permette di individuare lesioni sospette in stadio iniziale».

Parole a cui fanno seguito quelle di Evaristo Maiello, direttore dell’unità di oncologia medica della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (Foggia). «Oltre agli screening, la prevenzione deve basarsi su stili di vita sani. La dieta mediterranea svolge una funzione protettiva, mentre il consumo di carni rosse e insaccati, abuso di alcol, fumo, sovrappeso e obesità e scarsa attività fisica costituiscono fattori di rischio certi». 

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina