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Oncologia
Caterina Fazion
pubblicato il 21-11-2023

Tumore della prostata: qual è l’impatto psicologico?



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La diagnosi e le cure di un tumore della prostata hanno un impatto psicologico importante, non solo sui pazienti ma spesso sulla coppia

Tumore della prostata: qual è l’impatto psicologico?

Una diagnosi di tumore della prostata comporta molte ripercussioni dal punto di vista psicologico: all’impatto della malattia si uniscono numerosi cambiamenti che l’uomo si trova spesso ad affrontare a seguito delle terapie. Scopriamo le difficoltà maggiori legate a questo delicato momento e come gestirle al meglio grazie al supporto psicologico.

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UN MOMENTO DI VITA PARTICOLARE

Anche per il tumore della prostata bisogna fare i conti con l’impatto della diagnosi, comune ad altre patologie oncologiche, che è sempre traumatico a prescindere dalla prognosi.

«Il tumore della prostata è spesso una malattia gestibile e curabile – spiega la dottoressa Simona Donegani, psicologa presso l’Unità Operativa di Psicologia dell’Istituto Nazionale Tumori –, ma l’impatto psicologico può diventare molto pesante non solo per le complicazioni che può portare con sé come disfunzione erettile, incontinenza o calo della libido. Quando il paziente riceve la diagnosi, infatti, spesso si trova in un momento di cambiamenti, come ad esempio la fine della propria carriera lavorativa e l’inizio della pensione, situazione che implica un’alterata percezione di sé. Il ruolo sociale è dato anche dal ruolo lavorativo: quando in questo momento di passaggio arriva una diagnosi oncologica ecco che aumenta il senso di depressione anche quando la prognosi è benigna, come spesso accade nel caso di tumore della prostata».

 

L’IDEALE DI POTENZA MASCHILE

Da non sottovalutare è un altro importante aspetto, ovvero il fatto che la malattia vada a colpire l’apparato riproduttore maschile. A seguito delle terapie – chirurgiche e radioterapiche – si può verificare disfunzione erettile.

In questi casi, prosegue Donegani, «nel momento in cui il paziente supera la chirurgia o la radioterapia, si ritrova a fare i conti con la compromissione di un aspetto vitale, ovvero la propria sessualità. La perdita di una parte di sé c'è a prescindere dal fatto che la funzionalità sessuale fosse buona o meno, attiva o meno: ad ogni modo viene persa la risposta di una parte del corpo che indicava vitalità. Un forte impatto causato dalla perdita di erezione c’è in ogni caso, situazione che va di pari passo con la perdita del ruolo sociale di cui parlavamo prima. Questo perché c'è ancora una grande corrispondenza tra virilità o potenza maschile e funzionalità sessuale. Il termine “impotenza” è ancora molto usato dai pazienti, ma è fuorviante, riduttivo, limitante».

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L’IMMAGINE DI SÈ CAMBIA

Trattandosi di una patologia oncologica, i pazienti con tumore della prostata sono in un primo momento disposti a pagare il prezzo della cura, ma, superato il peggio, i pazienti devono fare i conti con un’immagine di sé alterata.

«Ancora più della perdita della funzionalità erettile, che resta una cosa intima, è l’incontinenza ad essere affrontata con maggiore difficoltà. Si tratta infatti di una problematica “pubblica”, meno mascherabile, che condiziona la vita sociale e lavorativa creando più facilmente imbarazzo e vergogna», precisa Simona Donegani. «È possibile bagnarsi senza accorgersene e occorre portarsi dietro un cambio, tutto ciò rimanda a una una dipendenza, a un sé bambino in una situazione di incapacità. Spesso i pazienti si trovano a pensare di aver perso tutti i loro ruoli: il ruolo lavorativo, il ruolo di partner, il ruolo di padre. I figli, ancora giovanissimi, scoprono i propri padri vulnerabili, bisognosi del pannolone e in balia di numerosi e repentini sbalzi di umore, in caso di terapie ormonali».

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L’IMPATTO DELLE CURE

Oltre alla possibilità di incontinenza e disfunzione erettile causate dalle terapie locali (chirurgia e radioterapia), la terapia ormonale, che determina la soppressione del testosterone, comporta numerosi cambiamenti nel corpo e nel comportamento dei pazienti.

«Anche la terapia ormonale ha effetti che comportano un importante impatto psicologico», ricorda la psicologa. «Si parla di una certa femminilizzazione del corpo con perdita di peli, crescita del seno, aumento del grasso addominale. Si ha dunque una trasformazione che provoca una difficoltà nel riconoscermi nel proprio corpo. Anche gli sbalzi ormonali sono tipici: gli uomini si trovano a convivere con un’emotività accentuata a cui non erano abituati, e questo procura un’ulteriore fatica a riconoscersi nel proprio ruolo di maschio. Tra i principali effetti della terapia ormonale c'è anche, e soprattutto, la perdita della libido, non intesa solo come desiderio sessuale, ma proprio come forza vitale. Abbattere il testosterone significa avere meno voglia di vita, di uscire, di vedere gli amici o fare sport».

 

IL RISCHIO DI DEPRESSIONE

Quanto è alto, dunque, il rischio che si instauri una depressione?

«La depressione nei pazienti con tumore della prostata - riflette la dottoressa Donegani -, è più facile che si instauri quando vi è una convergenza temporale con la fine della carriera lavorativa. Diverso è il discorso se il paziente è ancora inserito nell'ambiente lavorativo, ha una buona rete familiare, è disposto a iniziare un percorso psicologico di coppia per risolvere i problemi legati alla sessualità. In questo caso il rischio è certamente minore. Ad ogni modo pazienti con depressione conclamata a seguito di diagnosi di tumore della prostata non superano il 2-3%. Le persone che assumono un atteggiamento di chiusura e depressione nei confronti della vita, invece, con conseguenti difficoltà relazionali che impattano comunque sulla qualità di vita del paziente, sono sicuramente di più. Questa condizione, però, non viene rilevata dai test ansioso depressivi che sono costruiti su una percezione di depressione molto più alta. Andare a fare una stima in termini di numeri è complesso anche perché se i test vengono fatti a persone che hanno tra i 60 e gli 80 anni è molto difficile poter distinguere se la depressione sia causata dall’evento malattia o dalla fine della carriera lavorativa unita ad altri eventi come ad esempio i figli che lasciano casa. Lo stesso vale per la funzionalità erettile: come possiamo sapere con certezza quanto impatto abbiano avuto chirurgia o radioterapia o piuttosto la vecchiaia? Sono dati contaminati».

 

IL SUPPORTO PSICOLOGICO

Dei pazienti a cui viene diagnosticato un tumore della prostata, quelli che richiedono un supporto psicologico sono circa il 15%.

«La richiesta maschile all'Istituto Nazionale Tumori non arrivava al 2%, ma nel momento in cui abbiamo aperto lo spazio dedicato al supporto psicologico nel 2003, grazie al Programma Prostata, è arrivata quasi al 20%», spiega Simona Donegani. «La sensibilità generale sulle ripercussioni psicologiche del tumore della prostata è piuttosto bassa e va costruita nel tempo. Certo, per molti uomini è faticoso chiedere aiuto, a maggior ragione per discutere della propria perdita di valore, ma quello che è certo è che nel momento in cui è presente uno spazio preposto, questo viene abitato e la possibilità sfruttata. Il percorso psicologico può essere individuale, quando la difficoltà maggiore è legata alla perdita del proprio ruolo e a una chiusura verso gli stimoli esterni. L'obiettivo in questo caso diventa la ricostruzione di un sé valido, per cui si cerca di capire insieme che cosa davvero abbia tolto la malattia, quali parti del sé sono vissute come compromesse e come ricostruirle in modo valido. Mentre consiglio sempre un percorso di coppia quando il problema maggiore è legato alla sessualità. Un percorso non esclude l’altro, ad ogni modo».

 

UN PERCORSO DI COPPIA

Soprattutto rispetto alla sessualità, la riabilitazione in due ha tutto un altro un altro slancio. Scopriamo le criticità maggiori che la coppia si trova ad affrontare dopo la diagnosi e le cure per tumore della prostata.

«Quando c'è la possibilità prendo in carico la coppia, e consiglio almeno un paio di colloqui anche con i figli, se lo desiderano. Rispetto alla sfera della sessualità si possono prospettare diverse situazioni. Ci potrebbe essere un allontanamento protettivo da parte del partner che non vuole mettere il paziente di fronte al proprio limite; oppure potrebbe essere il paziente stesso a non cercare più il partner non sapendo più cosa offrire, non essendo più quello di una volta. Nella sessualità più si mette una distanza, più questa diventa difficile da riattraversare ed accorciare. Un’altra cosa che può accadere è la nascita di gelosie importanti: il paziente pensa che il partner, non essendo lui stesso in grado di soddisfare la vita intima, vada in cerca di altre persone ed esperienze. Per chi sta accanto all'uomo con problemi alla prostata, però, la difficoltà maggiore potrebbe essere legata alla perdita di libido: anche se di fatto è un qualcosa di indotto dalla terapia farmacologica, crea comunque insicurezza. Può capitare anche che vi sia una ripresa della sessualità grazie ad ausili, meccanici o farmacologici, cosa che implica l’inserimento nella coppia di un elemento esterno che deve essere accettato da entrambi grazie al counseling psicologico, per evitare la rinuncia dopo pochi mesi. Per risolvere queste problematiche invito sempre a presentarsi ai colloqui con il proprio partner, così da poter aprire la tematica e accorciare le distanze», conclude la dottoressa Simona Donegani.

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Caterina Fazion
Caterina Fazion

Giornalista pubblicista, laureata in Biologia con specializzazione in Nutrizione Umana. Ha frequentato il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste e il Master in Giornalismo al Corriere della Sera. Scrive di medicina e salute, specialmente in ambito materno-infantile


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