Parliamone per capire

di Umberto Veronesi

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Umberto Veronesi (1925-2016), medico e ricercatore, ha dedicato la vita allo studio e alla cura dei tumori, in particolare alle terapie conservative per i tumori del seno. E' stato Ministro della Sanità e Senatore del Parlamento Italiano. Ha dato vita alla Fondazione che porta il suo nome. Profondamente persuaso che la scienza possa migliorare il mondo in cui viviamo, questo blog, che ha aggiornato per cinque anni con 200 post, ha ospitato il suo pensiero sulla società, la scienza e il nostro futuro.

Rita e Margherita: il coraggio di conoscere

Rita e Margherita: il coraggio di conoscere

Esiste una scienza  che dà ali alla fantasia e al bisogno d’immenso, vive soprattutto nei giovani. E’ stato così per Rita Levi Montalcini e per Margherita Hack, che un giornale ha  chiamato “la ragazza delle stelle” per sintetizzarne le qualità perennemente giovani: la curiosità, la sete di avventura, l’ironia, lo spirito ribelle. Sia Rita che Margherita ci hanno parlato di un mondo molto più grande delle miserie quotidiane, e ce l’hanno fatto amare. “Non abbiate paura di conoscere”, diceva Rita. E Margherita ci svelava un amore che nasceva dalla conoscenza: “La spiritualità, per una come me che non crede in Dio, nell’anima, nell’aldilà, sta nella capacità di amare e comprendere gli altri, uomini e animali.”

Anche gli animali hanno il diritto alla vita

Anche gli animali hanno il diritto alla vita

A Carpi i macellai hanno lanciato un’iniziativa benefica: vendere carne e salumi in piazza e per donarne il ricavato ad un reparto di pediatria e hanno accompagnato l'iniziativa con uno slogan che non ha nulla di scientifico: “La ciccia fa bene ai bambini”.

Il governo si dimostri un Buongoverno

Il governo si dimostri un Buongoverno

Tagliamo le ali alle armi. Cancelliamo la partecipazione italiana alla costruzione e all’acquisto degli F-35, cacciabombardieri che in nessun modo possono essere considerati di carattere «difensivo».  E’ il motto della campagna lanciata dalla Rete italiana per il Disarmo ed è quello che io spero succeda nelle giornate del 24 e 25 giugno, quando la Camera si troverà ad approvare o no la mozione presentata da 158 deputati , in gran parte di Sel e di Movimento 5 Stelle, ma anche con una presenza di deputati del Pd.

Liberare i detenuti? Sì, ma come reinserirli nella società?

Liberare i detenuti? Sì, ma come reinserirli nella società?

Se Silvio Pellico tornasse al mondo e venisse rinchiuso in  una qualsiasi prigione italiana,  penso che paradossalmente rimpiangerebbe lo Spielberg, che almeno gli risparmiò di dover vivere in una situazione che mediamente, nelle nostre carceri, ingabbia i detenuti in 3 metri quadri per ciascuno, mentre le norme sanitarie prevedono uno spazio minimo di 9 metri. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese per il trattamento inumano e degradante, ha rigettato il ricorso che era stato presentato,  e ci ha dato un anno di tempo per trovare una soluzione al sovraffollamento che vede nelle prigioni almeno ventimila  detenuti in più rispetto alla capienza.

L’ipocrisia delle missioni di pace

L’ipocrisia delle missioni di pace

Ora basta. Basta con la violazione della nostra Costituzione. Basta con l’ipocrisia delle missioni pacifiche. Basta con lo stillicidio dei nostri giovani militari uccisi.

Il malato deve conoscere i propri diritti

Il malato deve conoscere i propri diritti

C’è nel mio studio, all’ospedale dove visito i miei malati, una specie di tazebao; campeggia tra libri e varie onorificenze e attrae l’attenzione dei visitatori perché è proprio dietro le mie spalle e non si può non vederlo. E’ il mio decalogo di medico che da cinquant’anni cerco di rispettare e che da sempre per ogni paziente bisognoso di cure riassume i suoi diritti inalienabili e per il  medico che di lui si prende cura i doveri inderogabili da osservare.  Lo ripropongo qui di seguito perché  sono convinto che se si conoscono i propri diritti sarà più facile farli valere.

Cara Franca, non ti diciamo addio

Cara Franca, non ti diciamo addio

Eri una di quelle persone alle quali non si dice mai addio, perché restano con noi. Cara Franca Rame, tu resti con noi perché hai incarnato con Dario tutta una stagione della speranza, quella che è stata chiamata l’utopia del Sessantotto, e che è stata il sogno condiviso della dignità e della libertà. Venivi da un’antica famiglia di attori girovaghi che ti ha portato in scena appena nata, e quindi sei diventata attrice, hai incontrato e sposato Dario Fo, e insieme avete fatto tanti spettacoli che ci hanno fatto ridere e indignare. Vi hanno cacciato dalla Tv di Stato, quando avete cantato e recitato contro le “morti bianche” degli operai che muoiono nei cantieri.

La carezza che guarisce

La carezza che guarisce

E’ rimasto nei miei ricordi un ragazzo ritardato che aveva come gesto spontaneo quello di prendere la mano dell’interlocutore e tenerla a lungo tra le sue. Era un gesto inaspettato, e immancabilmente creava imbarazzo. Il padre del ragazzo, gentilmente, lo ammoniva: «Adesso basta, dài. Lasciagli la  mano.» Io gli lasciavo tenere la mia mano quanto voleva, e intanto guardandolo in volto vedevo che era contento. Aveva cercato un «ponte», e io glielo davo.

Non mi piacciono le parate militari

Non mi piacciono le parate militari

Non mi piacciono le parate militari, e dissento dalla tradizione che ogni anno, il 2 giugno, per la festa della Repubblica ci ripresenta puntualmente carri armati e aerei da caccia che sfrecciano in cielo. Non posso, senza un brivido, immaginare in azione questi mezzi di sterminio (perché tali sono) che nella parata militare si presentano come grandi giocattoli, mentre i bambini assiepati ai lati della strada agitano le bandierine tricolori.

Ma anche loro cantano “fratelli d’Italia”

Ma anche loro cantano “fratelli d’Italia”

Tempo fa, attraversando i giardini pubblici di Milano, ora intitolati a Indro Montanelli, mi sono imbattuto in una mamma africana che parlava italiano con i suoi due bambini. Era un italiano quasi perfetto, e perfettissimo, anzi con un certo accento milanese, era l’italiano con cui i due bimbi rispondevano.  Alcuni amici mi assicurano che non è un’eccezione: molti immigrati parlano italiano con i figli, “perché questa ormai è la loro patria”, spiegano.

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