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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 22-04-2021

Tumore al seno: ecco perché in gravidanza diventa più aggressivo



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Il tumore al seno può colpire una donna anche in gravidanza. Malattia aggressiva per l'aumento dell'infiammazione nel microambiente tumorale

Tumore al seno: ecco perché in gravidanza diventa più aggressivo

Su un totale che sfiora le 55mila unità, stiamo parlando di un numero ridotto di casi: tra 150 e 200, nel nostro Paese. Tante sono le donne che ogni anno scoprono di essersi ammalate di tumore al seno durante la gravidanza. Un evento fortuito, difficile da accettare per le future mamme e più complesso da affrontare per i medici. Generalmente, questi tumori sono infatti più aggressivi rispetto alla media. Le cause alla base di questa evoluzione, al momento, non sono note. Ma uno studio australiano pubblicato sulla rivista Cell Reports, lancia un’ipotesi. A rendere più aggressive le diagnosi di questo tipo potrebbe essere un aumento incontrollato dell’infiammazione, che contribuisce a rendere il microambiente tumorale più «propenso» ad aggravare l’evoluzione della malattia.


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AMMALARSI DI TUMORE AL SENO IN GRAVIDANZA

Nel momento in cui una donna si appresta a diventare mamma, la mente è proiettata verso il lieto evento. In pochi - ma sfortunati - casi però il percorso che porterà alla nascita di un figlio può essere ostacolato dalla diagnosi di un tumore al seno. La malattia oncologica più frequente può infatti colpire anche pazienti giovani. Negli ultimi anni i dati, in questo senso, sono in crescita. E a far parte delle statistiche sono anche giovani donne in dolce attesa, soprattutto se alla prima gravidanza oltre i trenta anni. «A parità di età, le forme di cancro che vengono rilevate nelle future mamme sono quasi sempre biologicamente più aggressive - spiega Lucia Del Mastro, direttore della breast unit del Policlinico San Martino di Genova e membro del comitato scientifico di Fondazione Umberto Veronesi -. Il tumore diagnosticato in questa fase della vita è molto spesso il triplo negativo, il sottotipo più aggressivo. A questo occorre aggiungere le maggiori difficoltà a effettuare la diagnosi di carcinoma mammario a causa delle modifiche (aumento di dimensioni, maggiore compattezza e densità, ndr) a cui va incontro la ghiandola mammaria durante la gravidanza che rendono più complessa l'esecuzione e la valutazione degli esami strumentali. Il rischio conseguente è rappresentato dal ritardo diagnostico».

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PERCHÈ LA MALATTIA È PIÙ AGGRESSIVA

La malattia tende a presentarsi perlopiù attraverso la percezione di una massa indolore o un ispessimento palpabile del seno associato alla comparsa di secrezioni dal capezzolo. Ed è quasi sempre più aggressiva: l'esperienza clinica parla chiaro. Al momento, però, mancano diversi elementi in grado di spiegare perché queste forme di cancro siano quasi sempre più aggressive. Un'ipotesi, adesso, giunge da uno studio condotto su modello animale. I ricercatori del Garvan Institute (Sidney) hanno osservato un incremento del processo infiammatorio nel microambiente tumorale attorno alle cellule neoplastiche, che sarebbe alla base del rimodellamento del tessuto mammario e della diffusione della malattia a distanza. In un contesto simile, una cascata di segnali in grado di mettere in comunicazione le diverse cellule fungerebbe da «carburante» per rendere la malattia più aggressiva. E, di conseguenza, più difficile da curare. L'aver riconosciuto - seppur a livello preclinico - un potenziale ruolo dell'infiammazione nel rendere più aggressiva la malattia ha portato i ricercatori a considerare l'ipotesi di trattare con antinfiammatori le donne che scoprono di avere un tumore al seno durante la gravidanza per evitare l'evoluzione della malattia. Secondo gli autori dello studio, la malattia diagnosticata durante la gestazione riduce il tasso di sopravvivenza a cinque anni da quasi il 90 per cento al 52 per cento. 


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TUMORE AL SENO: COME CURARLO IN GRAVIDANZA

Il trattamento del tumore al seno nelle donne in gravidanza varia in base al sottotipo di malattia, alla stadiazione e al momento in cui avviene la diagnosi. L'intervento chirurgico può essere sempre effettuato. Più articolata è invece la valutazione sulle terapie farmacologiche. La chemioterapia, prima o dopo l'intervento, non può essere somministrata nel primo trimestre. «Se la malattia è scoperta prima della dodicesima settimana di gestazione, si valutano diverse opportunità - prosegue Del Mastro -. In alcuni casi è possibile operare subito la paziente e rimandare l'inizio della chemioterapia. Ma se il tumore è particolarmente aggressivo e necessita di un trattamento chemioterapico non rimandabile, non può essere esclusa l'ipotesi dell'aborto terapeutico». Se la diagnosi di tumore viene effettuata dopo la tredicesima settimana, è possibile iniziare (se indicata) la chemioterapia con uno stretto monitoraggio del feto. «I dati oggi disponibili indicano che, in questa fase della gestazione, l’esposizione alla chemioterapia non aumenta il rischio di malformazioni». La complessità della gestione di un carcinoma mammario in gravidanza spiega perché sia necessaria la presenza di un'equipe multidisciplinare - composta dall'oncologo, dal radiologo, dal patologo, dal ginecologo e dal neonatologo: da qui l’opportunità che questi casi vengano gestiti in istituti oncologici o ospedali dotati di una breast unitRadioterapia e terapia antiormonale, invece, possono essere somministrate soltanto dopo il parto. 

RISPETTARE IL CALENDARIO DEI CONTROLLI

Il tumore al seno in gravidanza è un evento raro. Ma questo non deve portare a sottovalutare le condizioni delle due ghiandole nel corso dei nove mesi. Del Mastro: «Considerata la difficoltà di interpretazione degli esami strumentali durate la gravidanza, in assenza di sintomi generalmente si consiglia di rimandare l'ecografia o la mammografia al periodo successivo al parto. Ma se ci sono dei sospetti, quale per esempio il riscontro di un nodulo all'autopalpazione, occorre effettuare subito un'ecografia. E se l'esito è sospetto, procedere alla biopsia: avvertendo il patologo che il campione è stato prelevato da una gestante». Se indicata, durante durante la gravidanza, una donna può sottoporsi alla mammografia (con la schermatura del feto) e a una radiografia del torace per completare la diagnosi. Di norma si tende a limitare a pochi casi la risonanza magnetica (per valutare l'eventuale coinvolgimento delle ossa). Esclusa invece la possibilità di ricorrere alla TAC (troppi rischi per il feto legati alle radiazioni ionizzanti). 

 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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