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Il consumo di alcol e tumori dell’apparato digerente

Tumori all'esofago, allo stomaco, al colon-retto, al pancreas e al fegato: che legame hanno con l'alcol? Ecco tutti i dati europei

Il consumo di alcol e tumori dell’apparato digerente

L’ultimo monito è giunto pochi giorni fa, nel pieno dell’estate: la stagione in cui è più frequente vedere aumentare i consumi di alcolici, senza distinzioni d’età. L’Unione dei Gastroenterologi Europei ha diffuso un dossier per confermare, in sintesi, che l’alcol è un fattore di rischio insindacabile per i tumori dell’apparato digerente (causa di tre milioni di decessi ogni anno nel mondo): all’esofago, allo stomaco, al colon-retto, al fegato e al pancreas. A questi, occorre aggiungere gli altri più frequenti tra i consumatori assidui di etanolo e acetaldeide (un metabolita, più tossico): alla testa e al collo e al seno. I colleghi, sintetizzando le conclusioni già diffuse dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) di Lione e da numerose società scientifiche nazionali, puntualmente riprese anche su queste colonne, hanno sentito il bisogno di accendere i riflettori su un tema ancora troppo sottovalutato. Nove europei su dieci ignorano infatti il potenziale di rischio legato al consumo di birra, vino e superalcolici. Più della cancerogenicità dell’etanolo, è questo dato a fare notizia: assieme a quello che vede il Vecchio Continente come quello che fa registrare i maggiori consumi di bevande alcoliche. Oltre un quinto della popolazione di età superiore ai 15 anni ingolla quattro bicchieri al giorno almeno una volta a settimana, per un utilizzo annuo pro-capite che tocca la quota di nove litri.

Confermato l’effetto cancerogeno dell’etanolo e restituita un’istantanea fedele delle abitudini a tavola, da Vienna viene lanciata una previsione poco incoraggiante. Senza un’inversione di rotta, dovremo prepararci a un aumento dei tumori dell’apparato digerente: al colon-retto (nei consumatori moderati), all’esofago, allo stomaco, al fegato e al pancreas (nei forti bevitori). Il problema, come ribadito nelle 32 pagine del dossier, ha carattere d’emergenza (135mila le morti alcol-correlate stimate per il 2035). A definirlo sono le due tendenze osservate: ovvero l’elevata abitudine al consumo e la quasi nulla percezione del rischio. Dopo il calo osservato negli anni ’90, le vendite di alcolici hanno ripreso a salire negli ultimi dieci anni. In più, nello stesso tempo, s’è abbassata l’età della prima bevuta e consumi smodati si osservano in realtà più tra i giovani che tra gli adulti. Visto che il trend è piuttosto recente, non abbiamo ancora i numeri per determinare la correlazione tra il binge drinking e l’aumento di incidenza dei tumori. Ma è certo che l’attitudine all’abuso di alcolici da parte dei più giovani è un vizio che, se non interrotto, non lascia ben sperare. Alle spalle abbiamo infatti già diverse ricerche che evidenziano come, al diffondersi di una cultura del bere, corrisponda un aumento nell’incidenza dei tumori correlati al consumo di bevande alcoliche. Emblematico è il caso dei Paesi dell’est Europa, dove non a caso si riscontrano tassi di malattie più elevati rispetto a quelli (comunque non trascurabili) che si misurano in Italia e in Francia: dove la maggiore adesione alla dieta mediterranea porta a consumare quantità di birra o vino più modeste e comunque in accompagnamento ai pasti.


Ecco come spiegare i rischi dell'acol ai giovani

Detto ciò, vero è che il dossier ci ricorda come «le probabilità di ammalarsi crescano di pari passo con le quantità di alcol consumato»: dunque un bicchiere a settimana farà in teoria meno danni di un paio di bicchieri al giorno, limitando sempre l’analisi al rischio oncologico. Ma lo è altrettanto l’affermazione secondo cui «non esistono livelli di consumo sicuro se si vogliono prevenire i tumori». Esiste una variabilità specifica per ogni distretto corporeo, come dimostrato nel 2015 grazie a un lavoro pubblicato sul British Journal of Cancer. Un drink al giorno accresce il rischio di sviluppare una neoplasia esofagea, mentre il colon-retto è sensibile a consumi più elevati: da uno a quattro bicchieri. Già nel 2012, 71 scienziati provenienti da 33 organizzazioni di 14 Paesi europei avevano prodotto un Manifesto per allertare i decisori politici sul problema specifico, indicando in oltre 136mila i nuovi casi di cancro in Unione Europea legati all'assunzione media di circa 32 grammi di alcol al giorno. Un evidenza che già da tre anni la Società Italiana di Alcologia ha acquisito e fatto oggetto di una campagna di sensibilizzazione esplicita in cui il messaggio centrale è di rivolgersi al medico curante per verificare possibili condizioni a maggior rischio.

Oggi riscopriamo dunque come il problema legato all’abuso di bevande alcoliche sia endemico. Parlare dell’alcol come di un cancerogeno deve diventare una priorità per le istituzioni, affermano i ricercatori e i clinici: anche se c'è una parte di loro che ancora non lo fa, per una verificata mancanza di cultura specifica e aggiornamento che spesso portano ad anteporre le opinioni personali all'evidenza scientifica. Occorre destare i consumatori da un torpore riconducibile alla scarsa cultura che finora ha portato a sottovalutare gli effetti dell’alcol sul nostro organismo, così come fino a mezzo secolo fa avveniva con il fumo di sigaretta. Il primo passo da compiere deve portare all’aumento della consapevolezza: basta con le informazioni fuorvianti, spesso frutto di rapporti discutibili che chiamano in causa anche colleghi e società scientifiche. Il target di riferimento di una campagna di corretta informazione deve essere rappresentato tanto dai giovani (quali saranno sennò le conseguenze di anni di sbronze?) quanto dagli adulti (in loro è dura a morire la bufala del bicchiere al giorno che fa bene al cuore). Ma servono molti fondi, oltre a una manifesta volontà politica, come avvenuto in Islanda: dove investimenti consistenti e costanti per oltre dieci anni hanno consentito di abbattere il problema del'alcol in particolare tra i giovani. Una situazione raggiungibile attraverso investimenti in attività alternative sane rispetto al bere (sport, cultura e musica con interventi di comunità realizzati attraverso attività nelle scuole, facendo lavorare gomito a gomito istituzioni e associazioni. 

Intercettare precocemente i consumatori a rischio, in particolare quelli con consumo dannoso di alcol, come dimostrato dall'Osservatorio Nazionale Alcol dell'Istituto Superiore di Sanità, è una mossa efficace per due ragioni: la prevenzione di complicanze, l'arresto della progressione del danno, la predisposizione di un intervento e comunque la fornitura di un trattamento. Serve da lezione quanto accaduto in Repubblica Ceca, dove fino a pochi anni fa l’incidenza del cancro del colon-retto era la più alta d’Europa. Oggi è scesa al settimo posto: merito in buona parte della capacità degli specialisti di intercettare i pazienti rischio, garantendo così diagnosi tempestive e prognosi meno infauste. Una riflessione è stata avviata a livello europeo in merito ai messaggi sui rischi alla salute da inserire in etichetta, anche alla luce delle indicazioni derivanti dalla Joint Action Rarha che ha concluso tre anni di attività con tutti gli Stati membri dell'Unione Europea, dialogando con i decisori politici e con tutti gli interlocutori del mondo della produzione. L'occasione è stata utile per richiamare la condivisione da parte dell'industria di un approccio rivolto a favorire scelte informate nei consumatori. La Commissione Europea ha invitato l'industria a proporre entro la fine dell'anno modifiche sostanziali e formali dell'autoregolamentazione che possano ispirare etichette in cui informazioni essenziali - come il contenuto in grammi e in chilocalorie - rappresentino alcune delle modalità attraverso cui comunicare ai consumatori le informazioni in maniera valida e completa. 


@scafato

 



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