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Alcol, minori e movida: un “gioco” a perdere da contrastare

La cattiva abitudine può danneggiare la salute individuale giungendo a svalorizzare il capitale umano nel corso della vita, dall’embrione alla vecchiaia

Alcol, minori e movida: un “gioco” a perdere da contrastare

Il contesto culturale del bere in Italia è in continua e dinamica evoluzione. Se da un lato la popolazione adulta e anziana mostra una sostanziale stabilità nelle prevalenze dei consumatori a rischio, pur con le dovute eccezioni per alcune realtà geografiche caratterizzate da una differente predisposizione al bere ispirata ancora a modelli tradizionali, è evidente che nella nostra nazione è ancora da sostenere, supportare ma soprattutto da rafforzare con estrema e tempestiva convinzione la prevenzione. Infatti, pur a fronte di una maggior consapevolezza sui rischi alcol-correlati, favorita dalla disseminazione di numerose evidenze scientifiche e dalle campagne di prevenzione, è ancora molto lontano il raggiungimento di obiettivi mirati all’abbattimento dei fenomeni d’intossicazione, di binge drinking e dei consumi a rischio che hanno condotto e conducono, comunque, a un incremento significativo degli alcoldipendenti in carico ai servizi e, soprattutto, ad un preoccupante rimodellamento del profilo dei nuovi utenti che oggi sono sempre più frequentemente rappresentati da donne, da giovani e da giovanissimi al di sotto dei 19 anni. Processo apparentemente inarrestabile tenuto conto delle forti resistenze a una prevenzione, pur selettiva e per contesti, che in Italia non trova inspiegabilmente adeguati spazi nelle politiche che non siano quelle già ingaggiate del settore esclusivamente sanitario. Una prevenzione che non è quella isolatamente riferibile ad azioni di salute pubblica, già in atto da decenni, bensì quella più capillare e radicale dell’alcol nelle altre politiche.  

Nel rapporto epidemiologico 2014 dell’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità  appena pubblicato sul sito di Epicentro sono riportate valutazioni derivanti dalle evidenze scientifiche cui la ricerca italiana, pur con l’assenza costante di investimenti correnti, contribuisce a produrre con tenacia, passione e orgoglio. Anche senza disturbare le statistiche nazionali è evidente dai sistemi di monitoraggio europei che complessivamente, in Italia, sei studenti su sette (86%) hanno dichiarato che è “abbastanza facile” o“molto facile” procurarsi bevande alcoliche se vogliono.

Oltre alla facilità percepita dai ragazzi nel procurarsi bevande alcoliche, i dati dell’indagine europea ESPAD mostrano che, nonostante esistano nei Paesi leggi che limitano l’accesso dei giovani alla somministrazione e vendita di bevande per restrizioni legate all’età, nel corso del mese precedente all’intervista, in Italia quasi uno studente su due ha consumato bevande alcoliche in esercizi commerciali come bar, ristoranti, discoteche e pub (con percentuali più elevate per la somministrazione di birra e alcolpops)e quasi due su tre le hanno acquistate nei negozi nonostante i divieti. Le percentuali sono più elevate in Italia rispetto alla media dei Paesi europei per birra ealcopops, le bevande notevolmente più acquistate nel mese precedente all’intervista in Italia, seguiti da superalcolici e vino.

Tutto ciò mentre in Spagna le associazioni di categoria con il Ministero  lanciano la campagna "Giovani ? Neanche una goccia di alcol". Anche l’ISTAT, nel suo rapporto annuale presentato nel corso dell’Alcohol Prevention Day segnala la massima frequenza di ubriacature nei medesimi contesti e nelle stesse circostanze dichiarate dagli stessi giovani intervistati in tutta Italia. Due fonti autorevoli che riportano formalmente e nelle sedi istituzionali l’estremo di un comportamento che ha un impatto che non è solo percepito ma oramai riferito non solo come problema sanitario o di sicurezza ma di mancato rispetto della legalità.

La maggior parte dell’alcol è consumato in occasioni in cui si beve molto, il che peggiora tutti i rischi e l’alcol può danneggiare la salute individuale giungendo a svalorizzare il capitale umano nel corso della vita, dall’embrione alla vecchiaia. Il cervello degli adolescenti è particolarmente suscettibile all’alcol e più a lungo si ritarda l’insorgenza del consumo di alcol, meno probabile sarà l’insorgenza di problemi e dipendenza dall’alcol nella vita adulta. Già queste considerazioni meriterebbero attenzione urgente e prioritaria quantomeno per arginare la constatazione che attraverso l’alcol, attraverso i frequenti e comuni fenomeni d’intossicazione o di eccedenza dei limiti indicati come a minor rischio, si stia favorendo tra i giovani l’adozione di altrettanto gravi comportamenti a rischio che non possono essere percepiti adeguatamente come tali a causa dell’abbassamento della percezione del rischio che il consumo comporta. La conseguenza è il rischio concreto di una o più generazioni più deboli delle precedenti, evenienza da contrastare con tutti gli strumenti disponibili.

Ciò introduce e pone l’accento su un problema che richiede approcci e gestione sicuramente di competenza di settori legali, economici e sociali soprattutto in virtù di una crescente sensibilità dell’opinione pubblica anche alle valutazioni correnti da parte degli organismi internazionali di tutela della salute secondo cui la logica della promozione del prodotto prevale sia in termini economici che di interessi su una inalienabile ma apparentemente trascurata tutela e promozione della salute. La normalizzazione dell’uso di alcol, alla luce dei cambiamenti culturali sollecitati da milioni di euro d’investimenti nel marketing, nelle pubblicità e nelle sponsorizzazioni degli alcolici rivolti a creare un sistema valoriale di uso della sostanza psicoattiva legale e più disponibile, teso a sollecitare sempre e comunque considerazioni individuali e collettive di benessere, di successo, di piacere, di seduzione, di protagonismo, ha determinato e continua a determinare fenomeni che vanno oltre il binge drinking e che oggi giungono a declinarlo in varie forme di consumo rischioso e dannoso di alcol, amplificate dall’uso delle tecnologie e delle community dei social network che, come palcoscenici virtuali, agevolano chiunque nella necessità di omologarsi e mettersi in evidenza attraverso il risk-taking e la trasgressione delle leggi sull’età minima legale, inserendosi in circoli di nomination e di catene alcoliche sulle quali non è possibile alcun controllo.

È un fenomeno che vira, culturalmente, sempre più verso le modalità proprie delle dipendenze da sostanze illegali, spesso integrandosi anche con altre dipendenze come quelle del gambling, delle slot machine, dei giochi online, dei gratta e vinci attraverso comportamenti agiti dai minori, incontrollabili per definizione.

Le conseguenze dell’assenza d’interventi competenti e degli adulti, in tutti questi casi non si registrano esclusivamente per soggetti definibili disagiati ma sempre più spesso tra ragazzi e ragazze del tutto normali giungendo a caratterizzare un fallimento sociale dell’educazione e della prevenzione che ha travolto realtà sempre più eterogenee e ampie e troppi giovani come testimoniato dal ricorso ai servizi sanitari per gli effetti e le conseguenze del bere e dai dati di mortalità alcol-correlata che vedono l’alcol come prima causa di morte e di disabilità.

L’impatto non è astratto, anzi. Mi telefonano per un intervista dalla Rai domenica mattina scorsa con una brutta notizia. “Adolescenti intossicati a Torino e uno in coma”, per fortuna ripresosi in questi giorni. Leggo sempre con attenzione e anche crescente senso d’impotenza le dichiarazioni di quanti si giustificano, precisano, prendono le distanze da facili conclusioni e consueto biasimo, effimero almeno quanto il tempo che intercorre tra un episodio e un altro relativo alle intossicazioni alcoliche nei minori.

L'estate si trasforma per tanti versi in una lotteria. 

Chi scrive di cronaca sa, pur senza essere un ricercatore dell'Istat, che l'estate si registra il più elevato numero di morti e di disabilità alcolcorrelate, quelle dei giovani coinvolti in incidenti stradali causati dal bere personale o altrui, e di intossicazioni e comi etilici favoriti dall'estrema capillarità delle happy hours, anche sulle spiagge, che impattano su salute e sicurezza per definizione. Non infrequenti gli episodi di violenza, anche di gruppo, su cose o persone agita sotto l'uso della sostanza più diffusa e normalizzata dalla nostra società.

L'impatto sociale dell'alcol è il massimo registrabile, in assoluto, rispetto a tutte le sostanze legali e illegali. Eppure si fatica a chiedere, predisporre e fare approvare ordinanze comunali che, dal nord al sud, da est a ovest, rappresentano l'Italia come la nazione con la più articolata offerta di proposte regolatorie esistente in Europa, purtroppo ben distanti dai livelli applicativi e di rigore che potrebbero, come nelle altre Nazioni, rappresentare il vero deterrente e il pungolo culturale ad un cambiamento capace di contrastare l'eccesso nei nuovi e vecchi modelli del bere.

E questo è il punto. Perché tanta tolleranza, reiterata e garantita, di fronte a palesi violazioni da codice (un tempo penale) e oggi (raramente) amministrativo?

I minori non sono da tutelare "senza se e senza ma" ? E perché tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza vuol dire ordinanze comunali spesso "creative", sempre di compromesso, sbilanciate e completamente differenti da Comune a Comune, di conseguenza diversamente tolleranti e performanti, con un evidente introduzione di margini di discrezionalità che non possiamo più permetterci,  che introducono disuguaglianze nelle opportunità di tutela dei consumatori come anche di chi sceglie l'astensione dal bere ?

Senza generalizzare, in molte realtà territoriali, tra cui le grandi città, le ordinanze "calano" come deboli anticorpi in un tessuto urbano in cui l'alcol è ubiquitario e fortemente tutelato da potenti interessi commerciali. A Roma come a Milano esistono intere zone “franche” senza che siano identificabili motivi o elementi di distinzione tra degrado nelle zone centrali e quello delle zone circostanti o periferiche. La sensazione del cittadino è di avere a che fare con una politica dei "pannicelli caldi" che adatta le norme ai contesti e non il contrario, seguendo una logica che di sicuro non favorisce una convivenza civile nelle molte zone della cosiddetta movida. E’ poi singolare e grottesco riscontrare un esercizio spesso ossessivo di vigilanza e l’uso delle risorse specifiche profuso sulle effrazioni da codice della strada  legate, ad esempio, ad un divieto di sosta facilmente sanzionato e non , invece, rivolto con pari determinazione al contrasto e alla sanzione della vendita e somministrazione di alcolici ai minori, del mancato rispetto delle ore di vendita degli alcolici con evidente e registrabile carenza di controlli specifici pur richiesti dalla popolazione specie dai residenti nei luoghi della movida.

Oramai siamo tutti consapevoli che "sicurezza" può avere significati differenti in funzione di chi ne parla. Sicurezza che non c'è o non è più percepibile e a farne le spese sono i più deboli e soprattutto le più deboli.  Le istituzioni che dovrebbero garantire e rendere visibili ed efficaci iniziative convinte e determinate di tutela come segno civile di solidarietà e attenzione ai minori, ai giovani in particolare, e che dovrebbero investire risorse, tempo, energie in un ripristino della legalità dei luoghi di aggregazione e di recupero di valori sani e del senso genuino dello stare insieme seguono prevalentemente la logica delle convenienze perdendo di fatto l’autorevolezza e la legittimità di un ruolo che in definitiva è oggi completamente svuotato del significato originario e sacrificato alle happy hours, le "ore felici", anche al mare, sotto il sole, nell’immenso mondo liquido che si finge di non vedere e in cui si può essere certi di essere posti nella condizione di sperimentare tutti i principali fattori di rischio, alcol, fumo, cibi grassi ovviamente pagando. Non si può generalizzare ovviamente, ma è una constatazione che numerosi esercenti affermino che la movida è danneggiata dall'alcol e dalla promozione impropria e incontrollabile del bere sino a conseguenze estreme. Purtroppo per loro, le categorie commerciali specifiche sono le prime a essere additate come responsabili, non sempre a ragione considerato che è complicato verificare l'origine di tante intossicazioni alcoliche; pur tuttavia non si intravedono iniziative tali da rassicurare che in un determinato contesto, quello proprio, tutte le norme vengano semplicemente applicate, così come ci si aspetterebbe.  Le strategie comunitarie e mondiali di contrasto al consumo rischioso e dannoso di alcol sollecitano massima allerta e attenzione al bilanciamento delle logiche di mercato rispetto a quelle di tutela della salute anche alla luce dell’evidenza che i costi generati dall’alcol non sono solo quelli derivabili dalle valutazioni tipicamente sanitarie. Anche a fronte di queste considerazioni la settimana prossima tutti gli Stati Membri discuteranno in Lussemburgo, in Commissione Europea, un Piano di Azione su giovani e binge drinking che  si troverà in approvazione nel semestre italiano di presidenza europea; ciò che non sarà possibile attuare per iniziativa nazionale riceverà impulso per sollecitazione europea, almeno così si spera.

Mi segnalano a Roma associazioni di categoria che reclamano " Riprendiamoci la notte" contro le pur blande ordinanze comunali; mi viene da pensare "Riprendiamocele noi le nostre notti" e soprattutto riprendiamoci i nostri ragazzi, facciamoli ragionare sulle “distrazioni” degli adulti, facciamo crescere consapevolezza e abilità di contrasto al rischio imposto da certi standard che né chi fa le norme, nè chi le dovrebbe applicare  contrasta.

Nel caldo estivo dissetiamoci con altro, ubriachiamoci di vita  e godiamoci insieme serenamente questa estate italiana.

 

Emanuele Scafato
@scafato
 

 



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