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Il Coronavirus e l’alcol: tra fake news e «smart drinking»

In isolamento si beve di più e cresce il rischio dipendenza. Un danno per il sistema immunitario

Il Coronavirus e l’alcol: tra fake news e «smart drinking»

Non illudiamoci, il coronavirus non è una parentesi nelle nostre vite. Ma qualcosa destinata a cambiare abitudini e modelli comportamentali nei luoghi di vita e di lavoro. La socialità a cui eravamo abituati è stata rimpiazzata da un isolamento e da un distanziamento sociale che dureranno, quasi a tracciare un solco di netta separazione tra come eravamo e come saremo. La quarantena forzata - una sorta di arresto domiciliare in cui tante solitudini si sono ritrovate a confrontarsi - ha accentuato l’usura dello stress e le preoccupazioni per un futuro in cui è difficile proiettarsi in assenza di certezze. Anzi, con una sola certezza: quella che per un futuro normale occorrerà attendere più di un anno, fino alla disponibilità di un vaccino efficiente. Nel frattempo, l’home-working e l'isolamento pare siano stato affiancati dalla tendenza allo «smart drinking», considerando quanto riferito da alcune indagini riportate da studi di settore.

 

L’emergenza coronavirus sembra illuminare la strada verso nuovi consumi. Al momento, fanno registrare un forte incremento le vendite online e l’«home delivery». La consegna a domicilio non garantisce però il rispetto delle normative che dovrebbero evitare di rendere disponibili quantità non verificabili di alcolici di cui in Italia, al contrario di altre Nazioni, non è stata vietata la vendita nel periodo di lockdown. L’alcol in più venduto in questo periodo non ha né igienizzato né disinfettato il cavo orale di possibili vittime della disinformazione avviata da associazioni di categoria o da cantine e persino da primari supermercati alimentari. Sui social e sul web sono riprese a circolare le più improbabili fake-news di presunti e mai verificati benefici del consumo alcolico, rilanciando ancora una volta la bufala del resveratrolo. Una molecola dalle mille vite, sempre volutamente e erroneamente indicata come «protettiva» della salute e ricondotta in maniera spesso anche subdola a sperimentazioni cliniche mai autorizzate, basate su manipolazioni di ricerche strumentalizzate a forme di comunicazione incentrate su salute e benessere. Con l’imperversare di Covid-19, alcuni settori della produzione hanno inaugurato una comunicazione basata sulla disinformazione e una nuova frontiera per la promozione e la vendita delle loro etichette, pregiudicando radicalmente il concetto di responsabilità sociale in un periodo di pandemia.


Il focus è sul vino.  Le fake-news che si leggono affermano che «secondo luminari della medicina, il resveratrolo ha proprietà antivirali e il vino rosso, in generale, lo contiene». La comunità scientifica ha da anni bollato queste affermazioni come prive di sostenibilità e non ha esitato anche in questa occasione a controbattere tempestivamente queste dichiarazioni segnalando le linee guida per una sana alimentazione elaborate dal Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (Crea), secondo cui le molecole bioattive presenti nel vino o nella birra spesso millantate come «protettive» in realtà sono presenti in quantità talmente limitate da rendere impossibile qualunque tipo di effetto biologico ascrivibile al principio attivo che richiederebbe l’assunzione quotidiana di oltre 110 bicchieri per portare a concentrazioni «terapeutiche». In un litro di vino, si contano in media circa 16 milligrammi di resveratrolo. Negli integratori, la stessa molecola ha concentrazioni minime (frammiste ad altri fenoli) di 400 milligrammi. L’indicazione è quella di assumerli due volte al giorno, per un totale di 800 milligrammi: l’equivalente rilevabile in 50 litri di vino. Accanto a questa fake news si è distinta anche quelle di una cantina di grappa che ha proposto la commercializzazione di grappa spray per igienizzare bocca e cavo orale dal coronavirus: s’ignora il destino commerciale registrato.

 

Indagini di settore pubblicate segnalano che tra i canali di vendita crescono più gli e-commerce delle cantine (+425%) che i siti e commerce di settore (+143,59%) e la Grande distribuzione (Gdo) si confermano il canale di riferimento per il 36,73% in più di acquirenti. Si legge che cambiano i canali, ma anche la frequenza dei consumi. Il 42,34% degli intervistati dichiara di bere di più dall’inizio del lockdown, Il 17,88% beve meno. Il restante 39,78% non ha modificato la frequenza dei consumi: chi in smart-working a casa ha aggiunto il consumo di alcolici a pranzo (inesistenti nei luoghi di lavoro) a quelli abituali della sera, raddoppiando (come minimo) l'apporto usuale. Un aumento del consumo di alcol sin dall'inizio dell'epidemia di coronavirus è l’indicatore degli orientamenti della popolazione, che in molti casi sembra abbandonato l’happy-hour per bere con gli amici durante gli incontri online. Non proprio la stessa cosa, specie se si innesta il fenomeno delle «neknomination», in cui si fa a gara su chi «scola» alla goccia una bottiglia di alcolico in videochat o registrando l’atto temerario.

Perché sta succedendo questo? Quale processo psicologico sta avvenendo che spinge a spendere e consumare più alcol? È un tentativo di alleviare lo stress, le tensioni o forse di cercare altro? In una situazione completamente nuova, ma caratterizzata da uno stato di isolamento sociale, più persone bevono da sole. Questo stile di consumo ha molti effetti collaterali. Alcuni hanno ancora la possibilità di bere alcolici in compagnia dei loro familiari, il che è generalmente meno rischioso. Ma non è possibile escludere che anche in questi casi, lì dove si mangia di più, sia molto probabile che si beva più di prima. Gli effetti non sono uguali per tutti. Sono sicuramente più gravi per le persone che hanno già un disturbo da uso di alcol, ma anche per i nuclei in cui esiste un problema di maltrattamenti o di violenza domestica. Elevato è, nonostante le restrizioni alla circolazione, il numero di persone fermate dalla polizia e sanzionate a causa di azioni condotte sotto l'effetto dell'alcol (molte sono le persone ubriache che vanno in giro durante la quarantena). L'alcol sottrae le capacità di controllo e induce a infrangere regole e restrizioni esistenti, al punto da portare le persone a uscire senza avere esigenze essenziali e ragioni comprovate. Così, dove le restrizioni più rigorose si applicano alle persone infette, non meno rilevante è il rischio a cui viene esposta la collettività con troppe persone ubriache in circolazione.

Anche rispettando l’isolamento, però, l’alcol ha modo di causare i suoi danni all’organismo, indebolendo il sistema immunitario. Bevendo molto, corriamo il rischio di facilitare l'infezione da coronavirus. Numerosi studi dimostrano che l'alcol rende difficile all'organismo produrre la giusta risposta a un patogeno. In un momento in cui dovremmo essere nella migliore forma possibile, quando abbiamo davvero bisogno di salute e vitalità, bere quantità eccessive di alcol è per questo contrario al buon senso. È un peccato che così tante persone non lo capiscano o non vogliano capirlo e rischino di candidarsi a forme evitabili di disordini da uso di alcol e alcoldipendenza, che diventeranno problemi ancora più gravi in Europa (dove il consumo medio di alcol è due volte più alto che altrove). Ecco perché non soltanto l’Italia, ma tutti noi europei, siamo in grave pericolo. Il consumo di alcol è associato a una serie di disturbi di salute, non trasmissibili e mentali, che possono rendere la persona più vulnerabile al Covid-19.


In particolare, nel momento in cui l'alcol compromette il sistema immunitario, la probabilità di essere infettato dal virus e di esiti negativi dell'infezione aumenta. Il genere e l'età sono fattori rilevanti, considerando che gli anziani sono più vulnerabili e che l'impatto del Covid-19 sulle donne sembra essere meno frequente con un tasso di mortalità inferiore. Poiché le donne bevono meno dell'uomo, non si può escludere che un livello più moderato di consumo di alcol possa svolgere un ruolo importante nel determinare conseguenza meno gravi. Molte sono le azioni da intraprendere per arginare l’ondata certa di disordini da alcol. In linea di massima, le persone che bevono dovrebbero ridurre al minimo il loro consumo di alcol durante la pandemia di Covid-19. E molte dovrebbero sospenderlo del tutto, in particolare quelle la cui condizione di salute generale è compromessa.


Come segnala l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è importante che le famiglie si sostengano l'una dell'altra durante questo periodo e agiscano per limitare e far limitare l'assunzione di alcol. Per tutti vale il principio di precauzione: laddove l’evidenza scientifica non è esaustiva o definitiva, l’approccio di prudenza può salvare tante persone. Alla fine #restiamoacasa#andràtuttobene rimanendo nella sobrietà, un valore da privilegiare per il futuro.




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