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Neknomination e (in)dipendenza alcolica: l’impari lotta tra valori e disvalori del mondo liquido dei giovani

Alcol e tecnologia; un binomio che da un po’ di anni si sta dimostrando devastante per tanti giovani e meno giovani

Neknomination e (in)dipendenza alcolica: l’impari lotta tra valori e disvalori del mondo liquido dei giovani

Alcol e tecnologia; un binomio che da un po’ di anni si sta dimostrando devastante per tanti, giovani e meno giovani, che abusano non solo della sostanza psicoattiva più disponibile, l’alcol, ma anche delle possibilità offerte dalla rete, dalla piazza virtuale, il meeting place che tutti bene o male hanno preso l’abitudine di frequentare, per condividere esperienze, sensazioni, emozioni e di costruire persino ricordi sotto l’uso di sostanze. Solitudini che inseguono l’illusione di un incontro, di un riscatto in una “second life”, una rivincita e comunque un progetto di esistenza virtuale alternativa a quella troppo vuota o noiosa o soffocante, con poca prospettiva che la società consegna come gabbia dorata simulando un benessere che non c’è ma che in apparenza ti riempie di ciò che ti hanno fatto convincere essere un valore. Avvilisce la generazione chimica che usa le molecole come doping quotidiano, perché la società ti vuole al massimo, al di sopra delle righe e degli schemi, esagerato per stupire, prestante per non deludere, ansioso per l’esigenza di esserci, di essere cool e trendy, di tendenza.

E le regole sono sempre più esigenti, il rischio con cui confrontarsi sempre più ricercato sino alla follia dell’eye balling, del pubs crawl, della drunkorresia cercando di superarsi sempre sfruttando il potere euforizzante dell’alcol sino ad illudersi di  rafforzarlo con gli energy drink   quando è il momento di contrastare l’effetto “down”, salvo poi ricorrere al rimedio estremo della cocaina, delle droghe sintetiche.

Questo il contesto in cui si sviluppa il delirio dell’estremo  che spinge a sperimentare il limite dinanzi alla platea virtuale e indefinita di cibernauti per un “like”, un “mi piace” sui social network  in una gara di cui si può solo illudersi di risultare vincitori. Neknomination, attaccarsi al collo (nek) della bottiglia  per scolarsi d’un colpo il contenuto e filmarsi e postarsi, condividerlo, su Facebook  sfidando a chi ne beve di più. Non è dipendenza ma delirio di onnipotenza che ad alcuni è già costata la vita, quella di cui cercavano di incrementarne la “visibilità”, quella in cui si ricercava forse un identità da sfoggiare nella community sfidata a replicare e a rilanciare rischi e follie. Nulla di nuovo sotto il sole: Rugantino muore pur di avere il suo momento di gloria. La tecnologia, o meglio il suo uso improprio, è tuttavia oggi parte del problema; un film o una foto sono la prova tangibile del limite da superare. Si ricorre ad una comunicazione non verbale alla ricerca di un dialogo impossibile. Senza una platea e senza una compagine di contendenti la sfida è tuttavia vuota e si esaurisce nel momento stesso in cui si compie. La realtà allora supera la fantasia; ed è tutta una rincorsa verso comportamenti talmente folli da rasentare e spesso raggiungere i livelli delle conseguenze fatali o non fatali, spesso comunque umilianti per chi dovrebbe pregiarsi di appartenere alla specie “sapiens”.

C’è di tutto sul web e troppo poche alternative per contrastare una moda che come tutte passerà per esserne sostituita da un'altra ancor più tragica. Finale, comunque, quasi sempre scontato: coma etilico, incidente stradale, intossicazione alcolica, violenza ma anche umiliazione perché il social network non ha pietà e sanziona con l’esclusione il perdente e la bravata del film di una sera rimarrà a immortalare il ricordo di ciò che si è stati spinti a fare perché fuori controllo a causa del bere.  Quanta consapevolezza ci sia in tutto ciò non è facile capirlo e quanto tutto ciò sia legato a un disagio è ancora più arduo da comprendere.  Per certo un canale di ascolto per condividere difficoltà, ansie, paure, frustrazioni farebbe e fa la differenza; una famiglia, dei genitori, un amico o un insegnante capaci di cogliere ed identificare precocemente un problema impedendone la canalizzazione  nel bere, come terapia antivuoto, come anestetizzante è qualcosa su cui si deve poter contare.

Famiglia, scuola, gruppo di pari possono evitare il senso di inadeguatezza che spesso spinge giovani inesperti a rischiare, a soddisfare l’esigenza di essere riconosciuti come persone, pur adolescenti, da accettare con le tante piccole grandi fragilità che possono trasformare ciò che è percepito come una debolezza in un dramma.  Contesti e circostanze di aggregazione giovanile che non sanno proporre valori alternativi all’intossicazione, allo sballo, all’esagerazione non contribuiscono a liberare i nostri giovani dalle pressioni al bere; pressioni sociali, pressioni mediatiche e commerciali favorite dalla logica della convenienze che legittima la promozione di modelli del bere obbligatoriamente a rischio, le ore felici, le “happy hours” e che pensa di fare ammenda con un “Bevi responsabilmente” ignorando l’uso implicitamente confondente dell’ imperativo categorico “bevi” che non consente alternative virtuose, auspicabilmente ma indefinitamente “responsabili”.

Il mondo liquido non costruisce realtà di benessere ma debolezze; la tecnologia è denuncia di tali debolezze. La società sta costruendo generazioni più deboli del passato evitando di cogliere per tempo i segnali ai quali gli adulti, le agenzie educative, le istituzioni hanno il dovere di porre rimedio e porgere il supporto indispensabile affinché si possano recuperare dignità e prospettive insieme ai valori di vera indipendenza dai modelli comportamentali di cui la società e non i nostri giovani sono responsabili.

Ricordando e insegnando loro, con l’esempio, che esiste un modo migliore di vivere.

Emanuele Scafato



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