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Testamento biologico: “Grazie, presidente Napolitano”

Vivere è un diritto o un dovere? E' ora che anche in Italia si arrivi a una medicina della responsabilità

Testamento biologico: “Grazie, presidente Napolitano”

Grazie, presidente Napolitano. Non è possibile che la crisi economica e la confusione politica abbiano fatto accantonare, come se fosse un lusso e un capriccio, il dibattito sul testamento biologico e sull’eutanasia. Il messaggio che Lei ha mandato alla conferenza dell’associazione Luca Coscioni ha il grande merito di ricordare, non solo al Parlamento, ma a tutto il Paese, che negli ultimi dieci anni, secondo l’Istat, si sono verificati in Italia 10mila suicidi e oltre 10mila tentati suicidi di malati. Praticamente, mille all’anno. Decisioni tragiche per storie tragiche. Mentre ancora si attende una legge sul testamento biologico e giace inevasa la proposta di legge popolare sull’eutanasia. 

La discussione sul testamento biologico (che io voglio continuare a chiamare così, e non con il burocratico nome di «disposizioni anticipate di trattamento»)  si è incagliata, come qualcuno ricorderà, sul divieto di sospendere  l’idratazione e l’alimentazione artificiali, e sulla sottrazione di libertà costituita nel lasciare ai medici l’ultima parola. No, non ci siamo. Ed è per questo che avevo chiuso amaramente ogni discussione, affermando «meglio nessuna legge che questa legge».

Me n’era però rimasto un acuto senso d’ingiustizia nei confronti dei tanti  che continuano a soffrire. Ho perciò accettato di riaprire la discussione su invito dell’associazione Luca Coscioni, e di partecipare con un videoappello alla conferenza che ha visto presenti i testimoni di tragedie che sarebbero rimaste ignorate se gli stessi protagonisti, o i loro cari, non si fossero battuti per portare il problema a conoscenza dell’opinione pubblica: Mina Welby, vedova di Piergiorgio; la compagna di Mario Monicelli, Chiara Rapaccini; il figlio di Carlo Lizzani, Francesco; Luciana Castellini, compagna di Lucio Magri; lo scrittore Carlo Troilo, autore del libro «Liberi di morire», il cui fratello si uccise.

Che cosa ho detto, in questo videoappello? Che anche in Italia dobbiamo arrivare a una medicina della responsabilità, abbandonando la medicina paternalistica. Se oggi abbiamo il diritto, con la fecondazione assistita, di programmare la vita, dobbiamo anche avere il diritto di programmare il termine della vita. Perché vivere è un diritto, e non un dovere. Comunque la si pensi, è ora di arrivare a un aperto dibattito, in cui le posizioni si confrontino sino in fondo. Il Presidente della Repubblica ha detto nel suo messaggio: «Ritengo che il Parlamento non dovrebbe ignorare  il problema delle scelte di fine vita, ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee su questa materia.»

Non so se la ripresa del dibattito, che io mi auguro sollecita, potrà contare sulla serenità, perché la contrapposizione ideologica è molto forte. Vorrei però ricordare il concetto dell’autodeterminazione, che è parte inscindibile della libertà di ogni individuo. C’è chi vorrà negarla?

Umberto Veronesi



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