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Immorale e abominevole che l’Italia non sia contro la tortura

In Italia sono 25 anni che destra e sinistra rinviano all’infinito una legge sulla tortura, e non si capisce il perché. E’ dal 1987 che l’Europa ha invitato gli Stati membri a ratificare la convenzione contro la tortura, ma l’Italia continua ad essere inadempiente. Unica  debole salvaguardia, l’articolo 13 della Costituzione, che vieta tassativamente ogni maltrattamento alle persone in stato di detenzione. Un articolo che era stato ispirato a Lelio Basso dagli scritti di Filippo Turati, ma che di fatto viene reso inapplicabile dall’omertà che circonda i pestaggi punitivi regolarmente applicati in carcere dopo i tentativi di rivolta, e i maltrattamenti ai singoli detenuti (o peggio come è accaduto a decine di manifestanti nella scuola Diaz di Genova).

Immorale e abominevole che l’Italia non sia contro la tortura

In Italia sono 25 anni che destra e sinistra rinviano all’infinito una legge sulla tortura, e non si capisce il perché. E’ dal 1987 che l’Europa ha invitato gli Stati membri a ratificare la convenzione contro la tortura, ma l’Italia continua ad essere inadempiente. Unica  debole salvaguardia, l’articolo 13 della Costituzione, che vieta tassativamente ogni maltrattamento alle persone in stato di detenzione. Un articolo che era stato ispirato a Lelio Basso dagli scritti di Filippo Turati, ma che di fatto viene reso inapplicabile dall’omertà che circonda i pestaggi punitivi regolarmente applicati in carcere dopo i tentativi di rivolta, e i maltrattamenti ai singoli detenuti (o peggio come è accaduto a decine di manifestanti nella scuola Diaz di Genova).

Ci siamo ormai tristemente assuefatti alle ricorrenti notizie di inspiegabili decessi in carcere. Alcune famiglie hanno avuto il coraggio di denunciare, e a volte hanno anche avuto l’atroce sangue freddo di fotografare  strani segni sul corpo del congiunto. C’è stata qualche conseguenza per i responsabili? Si direbbe di no. Perizie e controperizie sono stati gli ammortizzatori della colpa, tutto si è perso nella notte infinita delle vicende giudiziarie.

In pochissimi casi ai familiari sono arrivate le “scuse”, una parola che scelgo di mettere tra virgolette per rilevarne l’incongruità, e per chiedere sommessamente ai giornali di non usarla più. Infatti penso che si debba chiedere scusa se si dà uno spintone in tram o se si pesta un piede, ma che porgere le scuse  sia del tutto fuori posto quando si è spenta una vita, ferito gravemente qualcuno, torturato un essere umano. In questi casi si chiede perdono, e senza presupporre di poter essere perdonati.

Cesare Beccaria scrisse nel suo celebre saggio “Dei delitti e delle pene” che la tortura non solo è inaccettabile, ma è inutile. Si dà il caso, infatti, che un uomo colpevole, ma resistente al dolore, non confessi nulla, mentre un innocente  soccomba alle sofferenze e dica ciò che vuole la polizia. La storia della tortura nei secoli è un incubo sconvolgente. Teoricamente tutti la condannano, ma tutti fanno finta d’ignorare che viene usata. Le democrazie si presentano senza macchie come gli ermellini, scansano perfino il nome della tortura. Essa  viene simbolicamente associata a un mondo di dittatori e di oppressori. Invece la tortura, sempre più,  si pratica in nome dello stato d’eccezione proclamato da governi democratici, e basta ricordare il “Patriot Act” firmato da George Bush, in cui dopo la strage dell’11 settembre 2001, si sdoganavano gli “interrogatori pesanti”, un bell’eufemismo inventato in nome della lotta al terrorismo. E’ giusto cercare di giustificare la tortura? Io sono assolutamente convinto di no. E che sia profondamente immorale invocarne l’utilità  in nome di interessi più alti. E considero un abominio che nei team di torturatori ci sia, di norma,  anche un medico: incaricato di sorvegliare che il torturato non muoia troppo presto.

Tortura è una parola che mi fa rabbrividire, perché accomuna le vittime e gli aguzzini in un comune degrado, in una comune sottrazione di umanità, per sempre irrimediabile.  Forse a questo si riferiva Primo Levi, con il titolo “Se questo è un uomo” dato al suo libro sull’inferno di Auschwitz. 

Umberto Veronesi



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