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Il senso di continuità della vita

Curare con le medicine non basta

Il senso di continuità della vita

Ricordo l’accusa di una paziente nel corso di un convegno: ”Voi ci curate con le medicine, ma non siete in grado di farci percepire il “senso di continuità della vita!”.

La malattia, qualsiasi essa sia, cambia le relazioni e incide sull'identità della persona, mentre il futuro viene visto nero, con il dubbio di non guarire. Far percepire il “senso di continuità della vita” significa spingere a conservare le abitudini di prima della malattia: cinema, “pocherino”, mostre, libri, viaggi, attività sociali, tutte cose che, quando si stava bene, riempivano la vita di tutti i giorni.

La malattia non deve avere il sopravvento e il malato va supportato. La conservazione di una vitalità e il cercar di stimolare a vivere una normalità fa parte della cura: se la volontà viene meno, il medico deve aiutare il malato a non “mollare”, a consigliarlo, a spingerlo a gustare il positivo di tutti i giorni e suggerire percorsi di recupero del corpo, ma pure della mente.

“Senso di continuità della vita” significa anche: mantenere il gusto del bello, fare musica, fare danza, scrivere, dipingere, poetare, fare moto e tutto ciò che fa sentire il fisico vivo. Per chi cura dunque, i farmaci non bastano e c’è altro da fare! Un medico counselor e trainer allo stesso tempo, riferimento non solo di medicine, ma anche di stili di vita che possono colmare i momenti di pessimismo e mettere sulla strada della guarigione. Lavoro certamente non facile ma fare bene il medico è anche questo!



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