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La mamma ha ragione: basta coi medici che guardano l'orologio

Servono medici più disponibili, che mettano i bisogni del paziente al primo posto

La mamma ha ragione: basta coi medici che guardano l'orologio

Traggo lo spunto da un commento inviato da una lettrice del magazine, in calce a un'intervista realizzata da Fabio Di Todaro. A scrivere è una mamma, per lamentarsi dei disagi vissuti dal figlio, malato di tumore. Chi scrive, fatica a trovare risposte immediate nei momenti di bisogno («…Mi sono sfogata perché è da un amo e mezzo che mio figlio ormai gira avanti e indietro tra ben tre ospedali…. ogni volta invece e chiami il centralino e ti passano un dottore che è di turno, ma non conosce esattamente il tuo caso allora stai mezz'ora al telefono e poi che fai? ..»).


È indubbio che il disagio esiste ed è inconcepibile che di fronte a richieste per problemi urgenti, un malato non abbia una risposta immediata. Il malato ne ha diritto ed è inutile parlare di umanizzazione o personalizzazione delle cure, quando si è costretti a vagare da un ospedale all’ altro o stare ore al telefono per elemosinare un consiglio. Certo, il sistema deve organizzarsi per informatizzare e rendere visibili in tempo reale le cartelle cliniche. Ma per alcune situazioni qualcosa di buono si può fare. È questione di buona volontà e in ciò i primari hanno una grossa responsabilità. Tutto dipende dal loro impegno nell’impostare un lavoro di gruppo che tari, attraverso protocolli, i comportamenti dei singoli che devono dare risposte identiche ai vari quesiti. Basta una linea telefonica dedicata ventiquattro ore su ventiquattro (un cellulare ad hoc trasferibile) alla quale risponde un operatore reperibile della struttura. Non deve essere necessariamente un medico, ma anche infermiere professionale addestrato. Non è più il tempo dei primari che «svolazzano» promuovendosi tra i letti dei degenti. Abbiamo bisogno di soggetti tecnicamente preparati, ma che siano anche grossi organizzatori del lavoro di gruppo e sappiano infondere entusiasmo e dedizione ai propri collaboratori.


Il tema non può però essere eluso dai medici di famiglia che devono operare in sinergia con le strutture oncologiche che gestiscono i loro pazienti e dare anch’essi risposte in caso di necessità, senza per questo volere una monetizzazione di questo impegno. I problemi si risolvono anche con la buona volontà dei singoli, abbandonando arroccamenti e comportamenti stantii. Bisogna entrare in una logica che superi il tempo dell’orologio, dei contratti, dei privilegi e degli orari sindacali: tutti frutto di rivendicazioni che, non commisurate alle urgenze dei malati, abbruttiscono la professione. Le logiche del minutaggio, anche nella routine, non possono considerarsi superiori ai bisogni dei malati. Si dice che i volontari delle nostre corsie devono essere professionali: quindi formati, addestrati, acculturati. Forse è venuto il tempo che anche medici e infermieri si «volontarizzino» e che percepiscano, in altri termini, come indispensabile in alcune circostanze il gesto gratuito.

 



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