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Tumore al seno: corro per lei

Sessantamila persone hanno corso a Roma per dire che uniti si sconfigge il cancro e la resistenza di certe burocrazie regionali

Tumore al seno: corro per lei

Ho partecipato - assieme ad altri sessantamila, tra uomini e donne, di tutte le età - alla Race for the cure 2015 a Roma, organizzata da Komen Italia per contribuire alla sensibilizzazione della lotta contro il tumore al seno. Vedere un tale numero di persone mi ha colpito molto, aprendo interrogativi rilevanti mentre a passo spedito percorrevo i cinque chilometri di tracciato tra i monumenti della Capitale. Turisti stranieri ai lati delle transenne fotografano l'onda rosa di corridori e applaudono. Un segnale incoraggiante su quanto la quotidiana pervicacia di medici, pazienti, comunicatori e semplici cittadini, abbia aperto un fronte di speranza. 

Mi è capitato di ascoltare in diverse occasioni il racconto degli esordi professionali di Umberto Veronesi, e della sua scelta di occuparsi di quello che fino a qualche decennio fa veniva chiamato “un male incurabile” o “un brutto male” nel timore impotente di pronunciare la parola “cancro”. Nella quotidianità del lavoro e delle relazioni tengo impressa nella memoria l'origine reverenziale verso l'armonia e il concetto stesso di bellezza della donna che lo ha portato a intraprendere la via terapeutica della quadrantectomia in luogo di una chirurgia che al tempo - come in un ospedale da campo - badava a cercare di salvare una vita senza andare tanto per il sottile sulle mutilazioni. Ne ha scritto più volte nei suoi libri divulgativi. Da giovane giornalista ricordo una manifestazione a Napoli organizzata dall'Associazione Donne Operate al Seno. Era la metà degli anni Novanta e i dati di sopravvivenza erano ancora lontani da quelli di oggi. Un quarto di secolo fa, di cancro al seno si moriva. Qualcuna sopravviveva. Oggi, le proporzioni sono esattamente ribaltate e il tumore al seno rappresenta per gli altri ambiti oncologici un modello di approccio culturale prima ancora che clinico. Correndo mi chiedevo quante di quelle donne che alla metà degli anni Novanta si comportavano - a ragione - da reduci, avessero partecipato alla corsa capitolina, a quante sorridono ancora al mattino e a quante di loro, le giovani di oggi (con i loro compagni e i loro figli, presenti e futuri), devono dire grazie. Ho pensato a quanto faccia bene il movimento, soprattutto per la prevenzione e per la riduzione del rischio di una ricaduta del tumore al senoche ha spinto la Fondazione Veronesi a dar vita al progetto #NOTHINGstopsPINK. Impegnato in quella che per un runner incallito (e non è il mio caso) è poco più di una corsetta, ho pensato alle 38 donne operate al seno che, allenate dalla Fondazione Veronesi, hanno partecipato all'ultima Maratona di New York (42 km!)...e alle 21 già impegnate nella preparazione atletica in vista della prossima edizione.

Infilando il traguardo ho pensato a chi combatte oggi, con la consapevolezza di farcela, forte di un'alleanza di medici, compagni di viaggio, e di una massa di sconosciuti plaudenti che incita a continuare la corsa. Ho pensato a chi affronta una diagnosi impegnativa con piglio e risolutezza, a chi continua a sorridere con grazia, a chi non conosce il perché della malattia ma si impegna su come guarire presto. Ho pensato a chi scopre che alcune Regioni pretendono piani terapeutici redatti da oncologi della stessa regione di residenza della paziente che, nella migliore delle ipotesi, sarà un copia-incolla della terapia prescritta dai colleghi che hanno in cura la donna. Ho pensato a chi si indigna e cerca di cambiare le cose di fronte allo spreco offensivo che pretende di piegare la corsa del cancro ai comodi e ai tempi ottusi dei burocrati. Per lei taglio il traguardo. Per il suo traguardo.

Marco Magheri



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