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Oncologia
Edoardo Stucchi
pubblicato il 05-02-2014

Microsfere d’oro per scoprire e curare il tumore



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In occasione del Nano World Cancer Day gli esperti di 13 Paesi dell’Unione si sono riuniti per discutere sulle nuove frontiere della diagnostica nel campo oncologico

Microsfere d’oro per scoprire e curare il tumore

Sempre più piccolo per scoprire un grande male. E’ il concetto della Piattaforma europea di nanomedicina (ETPN) che, in occasione del Nano World Cancer Day  (evento satellite del World Cancer Day), ha riunito simultaneamente in 13 paesi europei (Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, Portogallo, Regno Unito), i ricercatori e i clinici per diffondere un’opportunità unica e far crescere la conoscenza e le potenzialità di questa tecnica, la nano medicina, nella lotta contro il cancro, dalla diagnosi alla cura. In pratica si tratta di progettare test ‘supersensibili’ e veloci per facilitare la diagnosi del tumore, il cui risultato può essere compreso a occhio nudo e che non necessita di una particolare strumentazione medica.

 

GLI ESPERTI

A parlarne, al Centro di ricerche Amadeo lab dell’istituto dei tumori di Milano sono intervenuti cinque ricercatori: Fabio Ciceri, ematologo della Fondazione Monte Tabor, Manuela Gariboldi,  dell’IFOM-Istituto nazionale dei tumori, Marzia Bedoni della Fondazione don Gnocchi, Svetlana Avvakimova, dell’università Milano-Bicocca, Gaetano Finocchiaro dell’Istituto  neurologico Besta.

Stiamo parlando di nanotecnologie applicate in ambito medico, dunque di tecnologie che prevedono l’uso di dispositivi molto piccoli, delle dimensioni da 1 a 100 nanometri (milionesimi di millimetro). Nella nanomedicina  ci sono due applicazioni principali: l’uso di nanodispositivi per il trasporto di farmaci e per le applicazioni diagnostiche. Entrambe molto promettenti e affascinanti, anche se  sono ancora da studiare.

 

LA TECNICA

Ma vediamo che cosa ci si aspetta da questa nuova tecnica. L’incontro fra l’oncoematologo Fabio Ciceri e il fisico del Polo tecnologico della Fondazione don Gnocchi di Milano, Fabio Gramatica, ha fatto nascere una speranza in più di vita per i pazienti colpiti da leucemia mieloide cronica, una malattia che oggi ha una prognosi favorevole anche se la diagnosi è sempre un po’ tardiva.

Con le nanotecnologie sarebbe possibile individuare la malattia prima ancora che i malati presentino dei sintomi e dopo la terapia, sarebbe possibile stabilire con precisione se c’è stata guarigione o se ci sono ancora tracce della malattia, un campo oggi inscrutabile. E’ stata la biologa Marzia Bedoni a illustrare questa nuova tecnica di diagnosi precoce che si basa sulla possibilità di individuare nel sangue le tracce di un biomarcatore della malattia, il WT1, quando è presente in quantità piccolissime, mentre con i test in uso oggi si scopre il marcatore quando ha superato il livello minimo di soglia.

Allo stesso modo, dopo la terapia e la presunta guarigione, poiché il test attuale non è in grado di misurare il livello dei biomarcatori sotto il livello di soglia, per il clinico la malattia è regredita, ma non può escludere che ci siano ancora particelle cancerose in circolo, che possono far ricadere in futuro nella malattia. Il nuovo test è in grado di valutare anche questa condizione, e quindi di decretare la guarigione o la necessità di proseguire ancora con la terapia.


 
IL TEST

Ma come è fatto questo test? Il cuore dell’invenzione sono delle particelle d’oro, piccolissime (un miliardesimo di millimetro) in grado di legarsi al biomarcatore della malattia e di amplificarne il segnale centinaia di migliaia di volte. Per vedere la quantità di cellule presenti basta investire il materiale biologico con un fascio di luce di un spettroscopio Raman, comunemente in uso e le particelle vibreranno diventando visibili e quantificabili.  


ALTRE RICERCHE

Le stesse particelle d’oro, dice la dottoressa Manuela Gariboldi, sono in grado di individuare il dna di particelle tumorali del carcinoma del colon, in particolare l’oncogene Kras, presente nel 45% dei pazienti. In questo caso la lettura del test è molto semplice, perché si fa ad occhio nudo, valutando il colore del materiale biologico che diventa rosso in presenza dell’oncogene, giallo se il tessuto è sano. La realizzazione  di questo test diagnostico è avvenuta con il gruppo di ricercatori del professor Pier Paolo Pompa dell’Istituto italiano di tecnologia di Lecce.

 

LE TERAPIE

Sul fronte delle terapia si è espressa la dottoressa Svetlana Avvakumova, dell’università di Milano Bicocca, secondo la quale, alla luce dei test diagnostici, presto si potranno utilizzare terapie mirate usando diversi tipi di nano particelle  come vettori di farmaci.

Grazie alle loro piccole dimensioni e una vasta capacità funzionale, le nanopatrticelle possono incapsulare diversi farmaci e rilasciarli sul bersaglio.  Per Gaetano Finocchiaro del dipartimento di neuro oncologia del Besta  la possibilità di amplificare acidi nucleici su goccioline acquose misurabili in nanolitri,  si possono individuare mutazioni del gene IDH1 nel liquido cefalo-rachidiano di pazienti affetti da glioma.

In conclusione – dice Marco Pierotti, direttore scientifico dell’Istituto dei tumori di Milano – “ l’Italia non può perdere questa opportunità di legarsi in rete con gli altri tredici paesi dell’Unione, considerando l’alto valore della ricerca dell’innovazione. Soltanto organizzandoci e collaborando scambiandoci le esperienze si potranno ottimizzare i costi di queste realizzazioni con l’obiettivo di eliminare la mortalità per cancro, oggi prima causa di morte del mondo occidentale”.


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