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Martina Morandi
pubblicato il 08-01-2024

Tumore dell'ovaio: studiarlo con i modelli 3D



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Nel tumore ovarico la risposta ai farmaci è molto variabile da paziente a paziente. Occorrono nuovi modelli di studio per scoprire il perché: la ricerca di Francesca Sensi

Tumore dell'ovaio: studiarlo con i modelli 3D

Il carcinoma ovarico sieroso di alto grado è una delle forme più aggressive e rappresenta circa il 70% dei tumori ovarici. Questo tumore non presenta dei sintomi clinici specifici e la diagnosi avviene spesso in fase avanzata, anche a causa della mancanza di uno screening di popolazione affidabile. Inoltre, i trattamenti farmacologici disponibili hanno una risposta molto variabile a causa della forte eterogeneità tumorale: è quindi fondamentale sviluppare dei modelli di studio più sofisticati, che aiutino a prevedere la risposta alla chemioterapia. Francesca Sensi, ricercatrice presso la Fondazione Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza di Padova, si occupa di sviluppare modelli cellulari tridimensionali derivanti da pazienti con carcinoma ovarico sieroso di alto grado, per valutare la risposta ai farmaci chemioterapici prima dell’inizio della terapia. ll progetto è stato sostenuto nel 2023 e nel 2024 grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Veronesi nell’ambito del progetto PINK is GOOD, dedicato alla ricerca e alla cura dei tumori al femminile.

Francesca, come nasce il vostro lavoro?

«L’idea nasce dalla stretta collaborazione tra noi biologi e i chirurghi della clinica ginecologica, i quali hanno espresso il grosso limite di non avere un modello preclinico di carcinoma ovarico sieroso di alto grado per la valutazione dei trattamenti clinici farmacologici. Per di più, solo una piccola percentuale delle pazienti risponde in modo positivo alla chemioterapia».

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Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Dal 2016 collaboriamo con il gruppo di ricerca di ingegneria tissutale del nostro Istituto, che utilizza la tecnica della de-cellularizzazione (che consiste nel togliere la componente cellulare di un tessuto mantenendo il più possibile inalterata la matrice extracellulare e la sua architettura, N.d.R). Abbiamo pensato di adottare anche noi questa tecnica, in modo da ottenere la struttura della matrice extracellulare del tumore, che verrà integrata a modelli tridimensionali di cellule cancerose derivanti da pazienti. Questo “avatar” del paziente ha lo scopo di mimare esattamente le caratteristiche del tumore in termini di complessità genetica e molecolare».

Quali sono gli aspetti poco noti?

«Siamo riusciti a mettere a punto protocolli standardizzati per generare il supporto della matrice extracellulare e derivare gli organoidi, ovvero modelli cellulari tridimensionali, da paziente. Ora dobbiamo riuscire a sviluppare il processo inverso, ovvero quello della ri-cellularizzazione, che consiste nel mettere in contatto tra loro organoidi e matrice extra cellulare al fine di creare un modello che mimi il più possibile l’interazione tra cellule e matrice extracellulare e, soprattutto, che sia paziente specifico».

Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?

«Una volta definito il protocollo per mettere in contatto la matrice extracellulare con gli organoidi, bisognerà individuare il modo migliore per somministrare i farmaci a questo modello e capire come le cellule rispondono. L’obiettivo è quello di fornire una previsione della risposta al trattamento chemioterapico, prima che questo venga somministrato alla paziente». Francesca, cosa ti piace di più della ricerca? «Mi piace la sua dinamicità; in particolare sono contenta di occuparmi di ricerca traslazionale perché posso portare nella clinica i risultati delle mie scoperte».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Mi viene in mente quando il professor Paolo Veronesi, in occasione della giornata dedicata alla consegna dei premi ai ricercatori della Fondazione Veronesi, ci ha salutati invitandoci a riflettere sull’importanza di trasformare la ricerca in cura».

Cosa avresti fatto se non fossi diventata ricercatrice?

«Il mio sogno era quello di fare il medico, ma non avendo superato il test di ammissione all’università mi sono iscritta a biologia e me ne sono innamorata, tanto da far diventare questa mia passione un lavoro!».

Al di là dei contenuti scientifici, cosa ti spinge a fare ricerca?

«Provare ad aggiungere un piccolo tassello al sapere umano. Andare oltre, capire, chiarire i meccanismi alla base dei tumori per provare a sconfiggere il cancro».

Francesca, parlaci di te: cosa ti piace fare nel tempo libero?

«La mia più grande passione è il canto; per anni ho preso lezioni di canto, ho cantato con diversi gruppi musicali sia corali che di musical».

Sei sposata?

«Sì, ho una famiglia stupenda! Sono sposata con Marco da luglio 2019 e a marzo 2021 è nato Giulio. Gioisco delle piccole cose della vita quotidiana, la mia famiglia è la mia fonte di serenità e stabilità. Non nego che mi piacerebbe dare a Giulio un fratellino o sorellina!».

Se un giorno tuo figlio ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Io mi auguro che Giulio possa fare quello che veramente gli piace e gli interessa e lo appoggerò sempre nelle sue scelte. Se dovesse interessargli la strada della ricerca e dell’accademia, come a mamma e papà, sicuramente gli spiegherò che è un percorso molto lungo, che richiede tanta gavetta, che ha poche certezze dal punto di vista contrattuale, ma è indubbiamente il lavoro più bello del mondo».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Quando il mio bimbo Giulio mi ha detto per la prima volta: “Ti voglio bene mamma Chicca”».

Sei felice?

«Sì, sono felice anche se credo che la felicità non sia un sentimento costante, ma si raggiungere in alcune occasioni della vita. Credo molto di più nella serenità dell’animo. Potrei dire, quindi, che sono molto serena e talvolta raggiungo stupendi picchi di felicità!».

C'è qualcosa che ti fa arrabbiare?

«L’ingiustizia! La soffro molto in ambiente accademico».

Un ricordo a te caro di quando eri bambina?

«I miei nonni!».

Il film che ti piace di più?

«La vita è bella, lo trovo così profondo…».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«La ricerca fa la differenza. Dona e sostieni la ricerca, potresti contribuire a far tornare il sorriso ad un paziente che era malato. La ricerca è speranza, la ricerca è vita, la ricerca è cura». 

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