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Neuroscienze
Redazione
pubblicato il 22-09-2011

Il computer vince a scacchi, ma non sa ancora conversare



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Dalla conferenza mondiale The Future of Science. “L’intelligenza artificiale è una meta lontana, ma forse siamo a una svolta: ora non si studia solo l’informatica, ma si cerca di insegnare ai circuiti elettronici a comportarsi come i circuiti neuronali”

Il computer vince a scacchi, ma non sa ancora conversare

Tomaso Poggio: "L’intelligenza artificiale è una meta lontana, ma forse siamo a una svolta: ora si cerca di insegnare ai circuiti elettronici a comportarsi come i circuiti neuronali”

“Computer” all’inizio voleva dire l’uomo che fa i conti, spiega l’illustre professore del MIT di Boston, poi sappiamo come è andata: il computer inteso come macchina ha fatto i conti meglio di lui e l’ha soppiantato. In tanti campi, non solo contabili. Per dire, “fra tre anni ci sarà un’auto che si guida da sé”, continua Tomaso Poggio, relatore di “Minds brain and machines”, dopo aver detto che è già in commercio un’auto che frena da sé quando ci avviciniamo troppo a uomini e oggetti. E chi oggi fa l’autista che farà?

Ascoltando il professore, pare che almeno due mestieri siano ancora  al riparo dalle insidie delle macchine: il cuoco e il giardiniere. E ce ne sono altri, sicuro, perché i calcolatori capaci di fare diagnosi mediche o comprare e vendere azioni meglio di noi, non sono poi capaci di fare le cose che a noi risultano più semplici: vedere, camminare, interagire con gli altri, fantasticare…

Qual è il problema? “Che l’intelligenza artificiale (IA) è ben lontana dall’essere realizzabile, a 50 anni dai primi studi”. Eppure…

Li elenca il professore questi “eppure”: da anni e anni il campione del mondo di scacchi è un lap top,  un pc portatile, dopo che Big Blue infranse la barriera sconfiggendo Kasparov; da poco un altro computer Ibm chiamato Watson ha vinto contro due concorrenti umani a “Jeopardy”, un gioco tv Usa  simile a “Lascia e raddoppia” ma con le domande  espresse con frasi complicate tipo cruciverba. “Infine è sotto gli occhi di tutti, e di uso e consumo abituale, la realtà di Google: meglio di qualsiasi bibliotecario!”.

Con tutto ciò niente IA? “No, perché ancora nessuna macchina ha passato il test di Turing, di Alan Turing, il matematico inglese che nel 1953 lo fissò in questi termini: è intelligente la macchina che in una conversazione è indistinguibile da una persona”.

Ancora più a monte il problema è un altro, ben più radicale: “Riuscire a capire che cos’è l’intelligenza, la nostra intelligenza. La soluzione di questo enigma sarebbe una rivoluzione più importante che scoprire la struttura della materia o l’origine dell’universo per le grandissime ricadute sulla comprensione e cura delle malattie mentali, sui metodi di insegnamento, sull’economia , tanto per citare pochi campi coinvolti”.   

Per tornare alla mente artificiale, secondo il professor Poggio questo potrebbe essere il momento d’oro verso passi decisivi. Per due motivi, spiega: primo, perché – vedi l’elenco sopra – si cominciano a vedere successi sostanziali di questi 50 anni di studi, cui presto potrebbero aggiungersi che so, dice, una squadra di calcio robotica che sconfigge una squadra di nostri campioni  o un computer che vince pure a poker; secondo punto a favore di una svolta, si sta abbandonando la strada fin qui seguita di   applicarsi solo alla computer science, all’informatica, per inseguire invece questa scommessa:  “fare scuola” ai computer anche sulla base dei risultati delle neuroscienze e degli studi cognitivi.  Solo unendo questi tre saperi si può sperare di arrivare al salto verso l’IA.

Può interessare sapere che Tomaso Poggio è nato a Genova, dove possiede ancora una casa, si è laureato in fisica teorica, ma con la sua passione per la ricerca è stato ben presto un “cervello in fuga” con dieci anni, prima, al Max Planck Institut di Tubinga, in Germania,  poi, da 30 anni a questa parte, al MIT di Boston.

Professore, oltre la svolta verso l’intelligenza artificiale, cosa porterà il futuro, individui mezzo umani e mezzo robot?

“Può darsi che la prossima evoluzione dell’homo sapiens sia il cyborg”. E ride. 

Dopo tanti film avveniristici sul tema, è il caso di spiegare che cyborg deriva dalle prime tre lettere di cybernetic e organism , cioè un impasto di macchina e corpo umano? Chissà se ci sarà da ridere.

Serena Zoli  


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