Chiudi
I nostri ricercatori
Alessandro Vitale
pubblicato il 18-12-2023

SWAP-70: un potenziale bersaglio per la cura dell’osteosarcoma?



Aggiungi ai preferiti

Registrati/accedi per aggiungere ai preferiti

L’osteosarcoma infantile presenta spesso recidive e metastasi. Swap-70 potrebbe essere legato alla sua aggressività: la ricerca di Michela Rossi

SWAP-70: un potenziale bersaglio per la cura dell’osteosarcoma?

L’osteosarcoma è il principale tumore primitivo delle ossa e colpisce principalmente bambini e adolescenti, i quali si trovano nel periodo di massimo accrescimento osseo. Questo tumore origina da un difetto di “maturazione” delle cellule progenitrici, contenute nel tessuto osseo, che rimangono in una forma immatura e continuano a proliferare in modo pericoloso. Oggi è fondamentale individuare nuovi bersagli terapeutici per ridurre la percentuale di pazienti che sviluppano recidive e metastasi, spesso correlate a una prognosi infausta.

Michela Rossi è ricercatrice presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma dove studia una proteina potenzialmente coinvolta nello sviluppo del tumore, SWAP-70. Il progetto è sostenuto da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto GOLD for Kids, dedicato alla ricerca e alla cura dei tumori infantili.

Michela, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«L’osteosarcoma è un raro tumore pediatrico che mostra un alto tasso di recidive. Grazie a studi precedenti, ci siamo accorti di come alcune linee cellulari di osteosarcoma, con forte presenza della proteina SWAP-70, presentassero anche una minore aggressività. Abbiamo quindi pensato che “modulare” la presenza di questa proteina potesse aiutarci a comprendere il suo ruolo nel tumore; inoltre, potenzialmente, potremmo trovarci di fronte a un nuovo bersaglio terapeutico per terapie specifiche».

Quali sono gli aspetti poco noti da studiare?

«I meccanismi alla base dell’insorgenza e della progressione dell’osteosarcoma sono ancora poco noti, e c’è molta variabilità tra le varie forme del tumore. È davvero importante studiare nuovi meccanismi molecolari che possano chiarire i processi metabolici (legati allo sviluppo del tumore, N.d.R.) e spiegare perché alcuni tumori siano più resistenti ai trattamenti farmacologici e abbiano maggiori capacità metastatiche».

In che modo state sviluppando il progetto?

«L’obiettivo finale è sempre quello di identificare qualche nuova “via di segnalazione” (meccanismi molecolari legati a cascata, N.d.R.) che possa colpire in modo efficace il tumore. Il progetto sarà diviso in due parti. Inizialmente l’obiettivo sarà studiare il ruolo della proteina SWAP-70 in linee cellulari di osteosarcoma. Questo sarà possibile grazie a tecniche di biologia molecolare con cui andremo a modificare i livelli della proteina. Analizzeremo quindi la capacità delle cellule di diventare più o meno aggressive in base ai livelli di SWAP-70, quali meccanismi molecolari siano coinvolti, e come le cellule tumorali possano influenzare l’ambiente intorno alla neoplasia. Successivamente, queste linee tumorali saranno utilizzate in modelli animali di topo, per valutarne il comportamento in un sistema biologico completo».

Quali sono le prospettive del vostro lavoro, anche a lungo termine?

«Ci auguriamo che i nostri studi possano identificare dei bersagli molecolari nuovi per poter implementare terapie innovative per trattare questo raro tumore pediatrico».

Michela, hai mai studiato all’estero o desideri farlo?

«Non ho mai pensato di lasciare l’Italia. È questo il mio Paese e mi piacerebbe continuare a fare questo lavoro a casa mia».

Perché hai scelto di fare ricerca?

«Ero quasi alla fine del liceo, nel momento in cui scegliere che percorso intraprendere. Eventi familiari mi hanno fatto capire cosa volessi diventare “da grande”. Avevo solo promesso a me stessa che mai e poi mai avrei studiato l’osteosarcoma. È l’unica promessa che non ho mantenuto!».

Un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare e uno invece da dimenticare.

«Momenti da incorniciare: tantissimi! La gioia quando ho ricevuto la prima fellowship Veronesi, non posso dimenticarla. Ha chiuso un viaggio iniziato molti anni prima. Ma non posso dimenticare anche tutto il 2022, è stato un anno in cui, professionalmente, ho raccolto solo soddisfazioni. I momenti da dimenticare: non li ricordo più, li ho cancellati!».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Mi piace la possibilità di fare sempre cose nuove; la libertà di cambiare; la libertà di pensare. È molto gratificante sapere verificata una propria ipotesi».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«La precarietà e la continua ansia dei nostri contratti lavorativi, nonostante anni di esperienza».

Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale e professionale.

«Nella mia vita personale, i miei genitori sono la mia fonte di ispirazione. Mi hanno insegnato il rispetto per il lavoro, qualunque esso sia. Nella vita professionale: Rita Levi-Montalcini, una donna, che ha dedicato, senza mai arrendersi, la vita alla ricerca».

Qual è il messaggio più importante che ti ha lasciato?

«Lavorare con passione».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non credo ci sia un sentimento antiscientifico, credo ci sia poca conoscenza. Non è mai ben chiaro cosa fanno i ricercatori, e questo porta a “pretendere” che producano una soluzione rapida ai problemi. Non vedere questi risultati rende diffidenti, quando invece basterebbe sapere che il nostro lavoro ha bisogno di molti anni affinché diventi applicabile e attuativo».

Cosa fai nel tempo libero?

«Sono di natura curiosa ed entusiasta, mi piace riempire il tempo libero con attività estremamente variabili! Mi piace il teatro, classico, drammatico e comico, la musica (adoro i concerti), la lettura, i viaggi. Non dimentico però di passare del tempo sul mio adorato divano, per riposare!».

Sei felice della tua vita?

«Sono una persona che non riesce a godersi a pieno gli obiettivi raggiunti. Con la testa sono sempre già al passo successivo e per questo motivo ho sempre la sensazione che mi manchi la terra sotto ai piedi. Azzardo però: in questo momento ho tutto quello che voglio».

Un ricordo a te caro di quando eri bambina.

«Ricordo perfettamente mentre giocavo a pallone con mio nonno in casa, nonostante avessi pochi anni».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Grazie! È il loro contributo che ci permette di lavorare e di portare avanti i nostri studi. Decidere di sostenere la ricerca scientifica è un gesto estremamente altruista perché permette di progredire nella ricerca di nuove terapie». 

Sostieni la ricerca, sostieni la vita. Dona ora per la ricerca contro i tumori pediatrici

Fai qualcosa di grande

Fai qualcosa di grande

Sostieni la ricerca sui tumori pediatrici


Scegli la tua donazione

Importo che vuoi donare


Articoli correlati


In evidenza

Torna a inizio pagina